(23 maggio 2015) – Raccogliendo i numerosi e accorati appelli di Papa Francesco, la Conferenza Episcopale Italiana ha proposto in Italia e in tutte le comunità del mondo, di dedicare la Veglia di Pentecoste, che si terrà sabato 23 maggio 2015, ai martiri contemporanei, quelli che in tantissime parti del mondo sono vittime di persecuzione e di odio. Papa Francesco è tornato su questo tema anche al termine dell'udienza generale di mercoledì scorso in Piazza San Pietro dicendo: “La Conferenza Episcopale Italiana ha proposto che nelle Diocesi, in occasione della Veglia di Pentecoste, si ricordino tanti fratelli e sorelle esiliati o uccisi per il solo fatto di essere cristiani. Sono martiri. Auspico che tale momento di preghiera accresca la consapevolezza che la libertà religiosa è un diritto umano inalienabile, aumenti la sensibilizzazione sul dramma dei cristiani perseguitati nel nostro tempo e che si ponga fine a questo inaccettabile crimine”.
La CEI aveva emesso uno specifico comunicato in cui si dice tra l’altro: “Questa situazione ci interroga profondamente e deve spingerci ad unirci, in Italia e nel mondo, in un grande gesto di preghiera a Dio e di vicinanza con questi nostri fratelli e sorelle. Imploriamo il Signore, inchiniamoci davanti al martirio di persone innocenti, rompiamo il muro dell'indifferenza e del cinismo, lontano da ogni strumentalizzazione ideologica o confessionale”.
L’ultimo numero della rivista TRACCE ha riservato all’argomento un ampio dossier da cui emergono due dati tra tutti: quello dei 24.344 cristiani uccisi nel mondo nel 2014 e quello delle 1.062 chiese attaccate, bruciate o distrutte tra il 1 novembre 2013 e il 31 ottobre 2014.
Le testimonianze riportate nella rivista, che è l’organo ufficiale di Comunione e Liberazione, descrivono una modalità di accettazione della morte che ricorda quella dei primi martiri cristiani che nel Colosseo, come qualche film di successo ci ha fatto vedere, cantavano e pregavano di fronte alle belve feroci pronte a dilaniarli.
Riportiamo la testimonianza di Padre Bernardo Cervellera, missionario del PIME e direttore di AsiaNews, che ha voluto condividere la condizione dei fratelli residenti ad Erbil, in Krdistan, nei campi profughi. “E’ impressionate. Ti chiedono solo di pregare per loro. Se io piombassi in una indigenza del genere mi mancherebbe il fiato. Invece, ho visto una fede che da senso alla vita, a tutta la vita anche ai disastri. Questo mi ha cambiato. Ha messo i problemi che affronto in una luce diversa, non li drammatizzo più”.
«Aderendo all’iniziativa della Chiesa italiana», ha dichiarato don Julián Carrón, presidente della Fraternità di CL, «vogliamo unirci a tutti coloro che sentono le ferite dei martiri di oggi come inferte a se stessi, per mostrare quanto ci sentiamo vicini a questi nostri fratelli che soffrono. Come parte del corpo che è la Chiesa, vorremmo portare anche noi un po’ del peso di incomprensione, di intolleranza e di violenza che il mondo che rifiuta Cristo riversa sui nuovi martiri del ventunesimo secolo. Ma proprio dai cristiani perseguitati giungono continue testimonianze di persone che trovano nella fede la ragione adeguata per vivere e per morire. La loro testimonianza risvegli la nostra fede dal torpore e dall’indifferenza. Per questo invito tutte le comunità di CL presenti in Italia e nel mondo al grande gesto di preghiera del 23 maggio, Veglia di Pentecoste, in unità con tutta la Chiesa, partecipando ai gesti organizzati dalle diocesi».
Abbiamo posto a don Carmelo Vicari, nella sua duplice veste di parroco di sant’Ernesto e di assistente diocesano di Comunione e Liberazione alcune domande.
Don Carmelo, come vede innanzitutto dal suo punto di osservazione il fenomeno e come lo vedono le persone di cui ha la cura pastorale?
Siamo di fronte ad un fenomeno grave per la sua vastità e per le sue caratteristiche: è un attacco diretto e violento, come non si riscontrava da secoli, alla fede cristiana. Ogni altro tentativo di spiegazione non rende ragione alla evidenza dei fatti. Inoltre la tradizione della Chiesa insegna che il sangue dei martiri non è versato invano. Lo abbiamo imparato a Palermo da Padre Puglisi. Ora il fenomeno si ripropone in termini planetari. Vi è una testimonianza di santità che ci riguarda tutti e alla quale tutti dobbiamo saper guardare.
E lei pensa che ciò stia avvenendo, per esempio, anche a Palermo?
Noi vediamo e ci rendiamo conto dei problemi quando sono vicini e ci toccano direttamente. Mi spiace dover rilevare che molti continuano a pensare che in fondo il problema non ci riguarda sul serio perché accade in zone lontane.
Ma molti però pensano ad esempio che se l’ISIS sbarcasse in Italia inizierebbe a tagliare le teste. È così?
Tralasciamo i racconti fantastici e atteniamoci alla realtà. Questa vicenda evidenzia una fragilità della fede pur vissuta con apparente coerenza e impegno che certo non basterebbe di fronte a situazioni di reale pericolo.
Cioè?
Le rispondo con ciò che mi è accaduto e che va compreso solo per il suo valore simbolico. L’altro giorno ascoltavo due bambini che parlavano proprio dell’ISIS e di quanto avevano visto e capito in televisione, forse poco. Uno era visibilmente atterrito che potesse accadere a lui, ai suoi genitori, ai suoi fratelli, l’altro con più disincanto rispondeva: “Ma se questi vengono io mi faccio islamico, mica mi faccio tagliare la testa”? Ecco: forse in questa frase ingenua e spontanea di un bambino sta più verità di tante affermazioni di principio che ascoltiamo ogni giorno su stampa e televisione.
Com’è stata accolta la proposta della CEI e della Diocesi nella sua parrocchia?
Da molti con interesse e piacere, perché ne riconoscono l’importanza e il valore. Ma credo che siamo ancora ad una fase epidermica e iniziale. Ciò che è difficile da far capire è il rapporto concreto che esiste tra quei fatti e la nostra vita, apparentemente lontana e serena, che facciamo a Palermo. Quelle morti non ci dicono che dobbiamo morire allo stesso modo, ma che la fede in Gesù Cristo chiede una morte al mondo, anche se con forme e modalità diverse.
Può essere più chiaro?
Cito una testimonianza che ho letto, quella di Padre Douglas Bazi in Iraq. Alla domanda se lui e i suoi hanno paura di morire risponde: “Qualche volta essere morto è lo scenario migliore. Perché quando muori sei nelle mani di Dio. E’ meglio essere nelle mani di Dio che in quelle di certa gente” Gli chiedono poi come mai non provano odio per i loro carnefici. E risponde: “L’unica risposta è perché siamo cristiani. Chi sono io per lamentarmi? Chi sono io per dire a Dio: perché ci fai questo? Si è cristiani non solo quando le cose vanno bene”.
E questo come c’entra nel rapporto con i parrocchiani, per esempio?
Noi ci lamentiamo per molto meno e vogliamo conto e ragione da Dio non solo se ci muore un figlio giovane, ma anche se a causa di una influenza dobbiamo rinunciare ad un viaggio. Questi fratelli ci stanno testimoniando una fede di cui abbiamo bisogno e che deve incidere in tutta la vita, anche quando, a nostro avviso, le cose non vanno bene.
Come si è preparata la comunità di Comunione e Liberazione di Palermo all’incontro in Cattedrale?
Ne abbiamo parlato più volte per trovare le motivazioni per una partecipazione al gesto che non sia formale o doverosa.
E quali argomentazioni ha dato?
Ai giovani ho semplicemente ricordato che non è chiesto, fortunatamente per loro, il martirio ma di fare una piccola rinuncia: non trascorrere il sabato sera come al solito tra birrerie e pizzerie. Solo una convinta adesione a questo gesto potrà aiutarli a vive in comunione con quanti rischiano la vita per la fede. Altrimenti è generico solidarismo, che alla prima occasione può svanire come neve al sole.
E ai meno giovani?
In fondo la stessa cosa: parlatene con i vostri figli e insieme trovate le ragioni per aderire. Vi lamentate sempre che vivete poca unità in famiglia? Ecco un gesto che può fare unità, purché sia chiaro che chi vi mette insieme è un Altro, e non la vostra buona volontà. Questo aiuterà la vostra famiglia più di tante iniziative pensate a tavolino. Ricordate che il giorno del matrimonio siete stati uniti indissolubilmente non tra voi, ma tra voi con il Signore. Senza di Lui non potreste vivere l’unità che desiderate. Questa è un’occasione in cui potete concretamente far vedere ai vostri figli di quale pasta è fatto il vostro matrimonio.