Da lunedì 8 luglio, la cella che ospita nella sede della Missione di Speranza e Carità di Via Decollati, fratel Biagio Conte è nuovamente vuota. Biagio ha ripreso uno dei suoi ormai tradizionali pellegrinaggi a piedi con destinazione Europa. Da qualche anno a questa parte ci ha ormai abituati a queste iniziative, perché sono divenute costitutive dal suo DNA, del suo modo di incarare la testimonianza e la missionarietà.
Questa volta però ha lasciato Palermo con una profonda tristezza nel cuore e lasciandosi dietro una scia di polemiche, che in altre occasioni non c’erano state.
La decisione di fratel Biagio è maturata dopo una settimana di digiuno e preghiera in cui, come in tante altre occasioni in passato, ha chiesto “al buon Dio”, cosa fare. Tornato a Palermo domenica sera 7 luglio lo ha comunicato agli ospiti e ai volontari della Missione, con una lettera resa poi nota a tutti.
Abbiamo cercato di comprendere le ragioni di tutto ciò parlandone con il comunicatore sociale della Missione Riccardo Rossi che è anche un missionario laico sposato.
“Il motivo dell’amarezza – afferma Riccardo Rossi - nasce dalla conclusione della vicenda di Paul Yaw, il ghanese ospite della Missione di Speranza e di Carità che rischiava di essere espulso perché privo di permesso di soggiorno e per il quale fratel Biagio ha fatto 16 giorni di digiuno mobilitando l’opinione pubblica palermitana e non”. La magistratura ha poi sospeso il provvedimento, ma Paul rimane ancora uno dei tanti immigrati senza documenti e senza prospettive.
“Questa amarezza – aggiunge - nasce anche dal dolore di tanti immigrati che vivono nelle stesse condizioni. Sia chiaro però che fratel Biagio conosceva perfettamente le leggi inumane che abbiamo in Italia sul settore immigrazione e sapeva altresì quanti altri nelle medesime condizioni si trovano in Missione, a Palermo e in Italia”. Ed è così, perché chi lo conosce bene sa che mai si è intestato e si intesterà battaglie che richiedono la violazione delle leggi, pur di giungere a positivi risultati. Non lo ha fatto quando ha occupato immobili che poi gli sono stati dati in comodato d’uso, non lo ha fatto quando sono venuti meno i finanziamenti pubblici su cui ha potuto contare negli ultimi anni.
“Fratel Biagio – spiega Rossi – anche questa volta ha utilizzato le armi di cui dispone e che sempre ha utilizzato: preghiera, digiuno e coinvolgimento dell’opinione pubblica. Non ha chiesto la modifica della legge, non ha chiesto manifestazioni popolari per impedire il rimpatrio dei “senza permesso”, ha solo voluto evidenziare che dietro il caso di Paul ci sono persone, non numeri, che essendo sul nostro territorio e finché sono sul nostro territorio, hanno bisogno da noi risposte che diano loro una speranza per il futuro”.
La problematica della speranza sul futuro è molto concreta e urgente. Pur non avendo stime ufficiali sono tanti i sans papier, per dirla con terminologia francese molto appropriata, le persone prive di qualunque titolo giuridico per stare in Italia, che non hanno alcuna prospettiva sul loro futuro, neanche quella del rimpatrio. Ma ciò che più conta è che questo numero non può che aumentare, stando così le cose. A questi infatti vanno sommati quanti continuano a giungere, con barchini o con le navi delle Ong, nei nostri porti, i quali certamente non hanno in tasca un permesso di soggiorno, altrimenti atterrerebbero a Fiumicino, come hanno fatto tanti altri che poi si sono persi nel nulla, dopo la scadenza del visto di soggiorno, magari per motivi turistici. Ci sono poi ancora quelli che giungono in aereo dalla Germania, rimpatriati a norma delle leggi europee. E per finire quelli che entrano dalla rotta balcanica. Pochi o tanti il totale tende ad aumentare, anche perché non abbiamo notizie di rimpatri numerosi. In molto casi espulsi dai centri di accoglienza, vagano nelle nostre città apparentemente invisibili, ma concretamente privi di tutela. “Alcuni di costoro, - aggiunge Riccardo Rossi – non sapendo più a chi votarsi sono preda della malavita, altri finiscono nel lavoro nero ancora molto diffuso in Italia, o a chiedere l’elemosina, o a fare i parcheggiatori abusivi, i lavavetri.”
Bisogna aggiungere a tutto ciò che con l’entrata in vigore del Reddito di cittadinanza e l’aumento dei controlli sul territorio, queste persone non possono più sperare in diverse tipologie del lavoro nero perché nessuno è più disposto a darlo.
Questa situazione, di cui ovviamente si parla poco, si sta manifestando anche nella nostra città ed ancora una volta l’anello debole sono le donne alcune delle quali vengono arruolate delle organizzazioni malavitose di alcuni paesi africani per essere inserite nel ciclo della prostituzione.
Ma troniamo a fratel Biagio. Perché ha deciso un nuovo viaggio? Perché ha compreso che la vastità e la complessità del fenomeno non può essere affrontata da Palermo e dall’Italia. Ed ancora una volta ha messo in campo le sue armi: la condivisione e la persuasione.
Nella lettera che ha lasciato prima di partire ha scritto: “Profondamente umiliato e tristemente sofferente nel più intimo del mio cuore mi preparo ad andare via dall’Italia come un esiliato ma come cittadino italiano anch’io mi faccio e mi rendo un’emigrante ma già lo sono come tantissimi emigranti umiliati nel passato e che fino ad oggi continuano ad andare via dall’Italia. E dove mi recherò in tale città, paese e nazione sarò anch’io un immigrato straniero in terra straniera così finalmente potrò condividere ed essere solidale con i tanti fratelli e sorelle emigranti e con i tantissimi fratelli e sorelle immigrati di tutto il mondo”.
Ecco il primo giudizio per tutti noi che rimaniamo e dal quale sono nate le prime polemiche. In un momento in cui in tanti vogliono prendere le distanze dalle persone degli immigrati, regolari o irregolari poco importa, fratel Biagio non ci invita ad essere appena più caritatevoli, ma decide di condividere la loro condizione, non solo quella materiale, (abitazione, alimentazione, cure, servizi, ecc.), ma quella giuridica ed umana, ripercorrendo sentieri percorsi non più di due generazioni or sono da tante nostre famiglie.
Ma nella sua lettera c’è un altro impegno molto significativo. Ha scritto: “Prenderò anch’io la barca, il traghetto come gli emigranti del passato e gli immigrati di oggi, da Palermo fino a Genova e poi continuerò a piedi in preghiera e penitenza fino al confine con l’Europa portando nel cuore e per iscritto i veri diritti umani e il vero umanesimo……. Poi a piedi entrerò in Europa e nei vari stati e nazioni, mi recherò al Parlamento Europeo comunicando il prezioso dovere e impegno nel costruire la tanto attesa Unione Europea e al più presto quella mondiale per costruire così tutti insieme un mondo migliore nel rispetto di tutti gli esseri umani, dell’ambiente e della natura”.
Perché questo appello all’Europa? Tutti sanno, ma non tutti vogliono ammetterlo, che l’unico luogo in cui il tema immigrazione in Europa possa trovare un barlume di soluzione è l’Europa con le sue istituzioni. Fratel Biagio, Ministro degli esteri sui generis, vuol dire la sua al massimo livello. Un illuso? Un presuntuoso? Un credulone? Chissà!
Viene in mente l’anniversario di un fatto altrettanto incredibile accaduto ottocento anni fa. L’incontro tra Francesco d’Assisi e il Sultano d’Egitto Malik Al Kamil. L’avvenimento sarà riproposto in una mostra al Meeting di Rimini di fine agosto. Nella sua presentazione si legge: “Tutta la mostra nel suo percorso suggerirà che non stiamo parlando solo di fatti del passato, ma che incontri come quello tra Francesco e Al Kamil possono ancora accadere”. San Francesco non convertì il Sultano, ma pose un fatto nella storia con cui allora e da allora ad oggi tutti hanno fatto i conti. Fratel Biagio sa che non potrà chiedere di modificare i Trattati europei, ma vuol parlare al cuore (e non solo alle menti) di coloro che possono intervenire nelle decisioni.
Ed ora veniamo alle polemiche. Sul web, dietro il solito anonimato che serve sol a far comprendere effettivamente il pensiero della gente quando non deve giustificarlo con la propria faccia, l’occasione è stata ghiotta per riprendere gli ormai triti giudizi e insulti per invitarlo come minimo a non tornare più a Palermo e possibilmente a non occuparsi più del tema immigrazione. Quanto ha fatto negli ultimi 30 anni per la città di Palermo, e non solo per essa, è già dimenticato e quindi ignorato. Che gli immigrati siano parte integrante della nostra società italiana ed europea è un’evidenza che non può essere negata neanche da coloro che vorrebbero riportarli in Libia, facendo finta di non sapere cosa li attenderebbe in questo caso.
Nei momenti di maggiore confusione, nella storia del popolo d’Israele, come nella storia di tutti i popoli, sono emerse figure difficili da comprendere e decifrare: si chiamano profeti. Persone che riescono a guardare oltre, ad andare verso direzioni che non abbiamo ipotizzato, a fare cose che non avremmo mai pensato di fare. A buttare il cuore oltre l’ostacolo.
Piuttosto che dare consigli a fratel Biagio sarebbe meglio chiedersi cosa dice la sua persona a ciascuno di noi. A me che scrivo e a te che leggi.
Biagio ci chiede non di imitarlo nei suoi gesti, ma nella ragione che ci sta alla base.
Biagio ci chiede non di avere la sua misura di generosità, ma di non porre limiti alla nostra.
Biagio ci chiede non di usare le sue metodologie, ma di non ritenere uniche le nostre.
Spetta a noi il compito e la responsabilità di trovare il modo e le forme che riteniamo più opportune all’interno della nostra vita per raccogliere il suo appello evitando di assomigliare agli struzzi, magari senza volerlo.