Il convento di Sant’Antonino dopo il restauro e lo scavo del 2013. Incontro a Palermo

 

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(28 febbraio 2014) – Il 25 febbraio presso la Sala delle Capriate dello Steri si è tenuto l’incontro “Palermo, il convento di Sant’Antonino: il restauro e lo scavo del 2013”, primo di una serie di appuntamenti della rassegna “Aggiornamenti archeologici per la conoscenza della città di Palermo e del territorio”, curati dalla U.O.5 Beni archeologici della Soprintendenza BB.CC.AA. di Palermo con la collaborazione delle Edizioni d’arte Kalós.

Ecco il racconto degli argomenti trattati.

Dopo l’introduzione del soprintendente Maria Elena Volpes, prende la parola Giuseppe Rotolo, il quale narra, mediante la proiezione di slide, la genealogia del convento di Sant’Antonino e le sue vicende costruttive. I monaci di Santa Maria di Gesù posero la prima pietra del convento cittadino, posto fuori dal circuito murario, nel 1630 dedicandolo a Sant’Antonio da Padova ed iniziandovi ad abitare a partire dal 1632.

Nel 1713 si sente la necessità di creare uno spazio circolare antistante che facesse da raccordo tra la fine della Strada Nuova, via Maqueda, e lo Stradone d’Alcalà, odierna via Lincoln. Della grande piazza venutasi a creare oggi rimane soltanto un piccolo lembo antistante l’ingresso principale della Chiesa e la grande fontana monumentale che la adornava è stata trasferita in piazza Alberigo Gentili nel 1873.

A metà del XIX secolo il convento viene per buona parte destinato a caserma e un rilievo del febbraio 1864 evidenzia come ai frati è destinata soltanto una piccola porzione del grande edificio. Un’area era destinata alla produzione del pane per tutti i militari e una parte del primo piano conserva ancora alcune strutture del mulino, del forno e dei binari montati sul pavimento ed utilizzati per il trasporto del grano e del pane prodotto; questa porzione di edificio, ultimato il restauro, è diventata quindi un interessante sito di archeologia industriale.

Dalla fine dell’Ottocento in poi il complesso conventuale subisce pesanti manomissioni e inappropriate modifiche architettoniche, fino al degrado e all’assoluto abbandono.

Nella seconda parte dell’incontro interviene Domenico Policarpo spiegando che nel 2004 il demanio ha concesso l’uso perpetuo della struttura all’Università degli studi di Palermo che si occuperà dei restauri per il totale recupero dell’ex convento. Mediante l’intervento di ripristino della struttura, suddiviso in 2 lotti funzionali, vengono reinterpretati gli spazi nel pieno rispetto degli elementi presenti e della loro originaria funzione, permettendo così una completa rilettura del convento seicentesco di cui era rimasto ben poco: vengono così realizzate ed arredate aule, studioli, sale lettura, stanze per i docenti ed uffici amministrativi.

Suggestiva è stata la descrizione, corredata da abbondante materiale fotografico, di una delicata fase del restauro che ha svelato la presenza di una scala, completamente murata, tramite la quale si è potuto accedere alla cripta, riportata così finalmente alla luce. Carla Aleo Nero descrive gli esiti dell’indagine stratigrafica condotta su una parte del pavimento, da cui è emerso un tratto dell’originale acciottolato seicentesco.

Nella parte occidentale della stratigrafia archeologica vengono scoperte due grandi cavità definite “fosse di cantiere”, ossia grandi buche verticali mediante le quali si accedeva alle vasche per la lavorazione della calce.

Nei pressi di queste due cavità, di cui una scavata fino alla profondità di 4 metri, sono stati rinvenuti preziosi reperti islamici databili tra la metà del X e la metà del XI secolo. Trattasi di vasi, lucerne, tazze in ceramica invetriata con insoliti motivi zoomorfi quali pavoni e lepri. Fra i reperti è stato trovato anche un raro esemplare di flauto, sempre di epoca islamica, in osso di cigno: rinvenuto in due pezzi, sono ancora visibili i segni d’usura lungo il corpo dello strumento.

La presentazione si chiude con la proiezione di una slide nella quale è ridisegnata la città islamica di Palermo alla luce delle nuove testimonianze archeologiche, mettendo in evidenza gli antichi quartieri arabi e la loro corrispondenza con l’attuale assetto viario cittadino.

 

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