(21 giugno 2013) – Parliamo di loro. Nascono esattamente come e dove tutti gli altri nascono, eppure, quando non parlano ancora, è sufficiente che un disco vecchio parta all'improvviso per farli fermare e zittire di colpo, per farli legare per sempre a una madre che non li tradirà mai: la musica. Dopo quel giorno, tutto si trasformerà per loro in fonte di creazione o d'ascolto; una centrifuga, due cucchiai che picchiano sul tavolo, l'avviso di fermata di un tram, due coperchi di pentola che si scontrano, due mani che battono, un bicchiere di vetro; ogni cosa, ogni suono, richiamo costante, diventerà un irresistibile appuntamento con la musica, il primo di una lunga serie. E la musica, che è assai paziente, aspetterà in silenzio che ognuno di questi eletti cresca abbastanza, fino a quando uno di loro non si siede per la prima volta sullo sgabello di un pianoforte.
Li incontriamo ovunque. In una stazione ferroviaria di provincia, seduti sulla panchina di un parco ad appuntare idee su un taccuino pentagrammato di cui non ammetteranno mai l'esistenza; sono persone semplici, che non vivono bene nelle complicazioni. Si nutrono di vibrazioni, dominandole. Non vivono bene se non possono vivere di musica, perché ciascuno di loro è nato per una ragione precisa; chi per comporre, chi per suonare, chi per cantare, chi per dirigere, e lo fanno insieme.
Questo sanno fare, questo è giusto che facciano: questo faranno, per tutta la vita.
Sono giovani bardi con un grosso zaino sulle spalle, un pesante violoncello che si portano sulla schiena anche a piedi, per chilometri, come un guscio, una casa, un rifugio sicuro. Non lo lasciano. Sono quelli che fanno della notte una tregua dal mondo, dalle delusioni, la concretizzano suonando.
Sono quelli che si riconoscono per le strade, anche quando non si sono mai visti, perché se uno strumento sporge dalle loro schiene, si guardano, come se fossero costretti a contarsi tutti, come se provenissero da una terra comune. E mi viene in mente Virgilio, in Dante, che allo scoprire un mantovano lungo il suo cammino non resiste al bisogno di abbracciarlo, pur ignorando la sua identità. Sono loro, e sono questo. Questo sono i musicisti, questa piccola cosa che contiene le grandi, questa grande cosa fatta di piccole. E noi abbiamo un ruolo: dobbiamo lasciare che suonino.
Come affronteremo le nostre coscienze se non permetteremo a costoro di far parte delle nostre vite? Possiamo forse dimenticarci dei Conservatori o delle orchestre, tempio e casa dei musicisti? No.
Come possiamo ricostruire la cultura se nessuno salva più la musica? Come possiamo dormire la notte quando un'orchestra cessa di esistere all'improvviso? Voi forse dormirete, loro invece no.
Ma si sappia, una volte per tutte, che se anche l'intero globo si dimenticasse della loro esistenza, ci sarebbe ancora la musica a rincorrerli nel sonno, nella disperazione, nel pianto, e a salvarli, in un modo o nell'altro, dalle sorti ingiuste: perché la musica è madre.
LUOGHI & STORIE – Storie di musicisti per sempre. Sono quelli che si riconoscono per le strade, anche quando non si sono mai visti, perché se uno strumento sporge dalle loro schiene, si guardano, come se fossero costretti a contarsi tutti, come se provenissero da una terra comune. Come affronteremo le nostre coscienze se non permetteremo a costoro di far parte delle nostre vite? Possiamo forse dimenticarci dei Conservatori o delle orchestre, tempio e casa dei musicisti? Come possiamo ricostruire la cultura se nessuno salva più la musica? Come possiamo dormire la notte quando un'orchestra cessa di esistere all'improvviso?
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