(28 dicembre 2015) – La quarta Porta Santa della Misericordia dell’Arcidiocesi di Palermo è stata aperta da mons. Corrado Lorefice la sera della vigilia del santo Natale in un luogo emblematico e significativo della nostra città: la Missione Speranza e Carità, fondata da Biagio Conte.
Una cerimonia semplice e al tempo stesso ricca di riferimenti simbolici legati alla storia e al contesto in cui la Missione opera da oltre 25 anni.
Don Pino Vitrano, che condivide con Biagio la vita e la responsabilità delle tre strutture gestite nei pressi della stazione centrale, così racconta mentre è indaffarato ad organizzare gli ultimi dettagli. “La notizia della scelta della Missione come luogo ove lucrare l’indulgenza del Giubileo – dice – ci ha colto alla sprovvista. Non lo avremmo mai immaginato e ci ha riempito il cuore di gioia e di maggiore responsabilità, per la testimonianza che diamo ai fratelli che accogliamo. All’inizio non sapevamo nemmeno da dove cominciare. Pensate che nella futura chiesa mancano ancora tante cose, tra cui il pavimento e le porte. Ne abbiamo fatta una di compensato grazie al lavoro e alla fantasia di uno dei nostri più valenti carpentieri”.
Ma gli aspetti simbolici proseguono subito perché all’ingresso della chiesa è stato posto un presepe fatto di terra, sabbia e pietre. Un presepe che è sembra un pezzo di carta geografica capovolta. In basso la Sicilia, con al centro la famiglia di Nazaret insieme all’Etna e al mare che la circonda. Poi al centro il mar Mediterraneo con un barcone pieno di profughi che tenta di attraversarlo. In alto uno spicchio di Africa con capanne, sabbia del deserto ed uomini neri intenti alle occupazione quotidiane.
Mentre i tanti fedeli giunti dalle parrocchie vicine salgono il viale che porta alla futura chiesa e i volontari si adoperano per gli ultimi adempimenti, tutti cercano Biagio. Ma Biagio non si presenta, non perché non ami stare con la gente, ma “perché – come spiegherà dopo – ho pregato fino all’ultimo momento perché Dio ci faccia vivere come una grande opportunità di conversione questa bella circostanza che stiamo attraversando”.
Anche mons. Corrado Lorefice è contento e commosso. Nella prima parte dell’omelia parte proprio da questo concetto dell’incompiutezza. “Incompiutezza: vi rendete conto che questa non è una chiesa che ancora risplende in tutto il suo fulgore? Vi rendete conto che questa chiesa non ha ancora un pavimento? Non ha un altare definivo? Non ha un ambone definitivo? E’ una chiesa in costruzione, ma è una chiesa che ci accoglie, che ci fa stare insieme lo stesso, anzi direi che proprio per questo è veramente una chiesa, come chiesa deve essere ogni nostra casa, ogni strada, che vede incontrare gli uomini, perché questa chiesa, così incompiuta è comunque una chiesa che allarga le braccia e ci ospita lo stesso. E’ una chiesa che apre porte di accoglienza e di misericordia”.
Attorno all’altare si raccolgono oltre venti sacerdoti, amici della Missione, parroci del circondario invitati a condividere un gesto di fratellanza che prende significato attorno alla mensa del Signore. Prima dell’inizio della Messa mons. Lorefice pone il bambinello, rigorosamente nero, sotto l’ambone e lo addita all’assemblea come colui che salva dai peccati del mondo. Poi benedice la campana che molto presto sarà collocata nella sommità della chiesa.
Le poche autorità presenti sono mischiate tra la folla. In prima fila tanti malati in carrozzina e tanti bambini che sono assistiti, insieme alle loro famiglie, dalla Missione.
Lorefice nell’omelia spiega così la Misericordia di Dio. “Le Scritture di oggi ci parlano di un Dio che è capace di tenerezza: Tu non ti chiamerai più terra devastata, tu sarai più non sposata, ma tu sarai mia gioia, mia corona, tu sarai terra del mio compiacimento. Questo è il Dio che noi incontriamo attraverso le Scritture; un Dio che non tiene nel cuore rancore, nonostante il fatto che il suo popolo lo abbia rinnegato e si sia votato all’idolatria”.
Per far comprendere questo significato cita la storia di Davide e Salomone. E dice: “Sapete che cosa significa quella sottolineatura del testo del Vangelo che abbiamo letto che dice che Salomone nasce dalla moglie di Uria? Significa una cosa grandiosa: che Davide fece un grande peccato, fece uccidere il marito di una donna che lui desiderò avere nel suo corpo. Uria era uno dei suoi migliori soldati; non volle andare a casa perché i suoi soldati combattevano in prima linea e lui non poteva dormire con sua moglie e mangiare il cibo che Davide gli aveva donato, come tranello e anche per risollevarsi da quella colpa di cui si era macchiato, perché era stato con la sua moglie e quindi in un atto di adulterio”. E aggiunge: “Dio non ha paura del peccato dell’uomo; anzi Dio ci dice in questa genealogia che dentro le trame negative del peccato degli uomini Lui continua a disegnare il Suo progetto di salvezza e di misericordia. Ecco perché siamo qui oggi. Siamo qui perché abbiamo aperto una porta della Misericordia, per essa siamo entrati, per dire che nella nostra vita concreta vogliamo questo Dio, che da terra devastata ci vuole terra del Suo compiacimento, che non si schernisce del nostro peccato. E qui tutti, a partire da chi vi parla, siamo peccatori perdonati”.
L’abbraccio della pace, com’è consuetudine nella Missione, dura parecchi minuti. Tutti desiderano abbracciare tutti. Biagio scende tra i fedeli e si forma subito un lungo serpentone di volontarie e amici che desiderano augurargli la pace.
Sono tanti i protagonisti della serata, a partire dal nuovo che Arcivescovo per la prima volta fa visita alla Missione. Biagio cerca di schernirsi, rimanda tutti alla figura del Vescovo, ma tutti conoscono lui.
Ma chi è Biagio Conte? A questa domanda ha voluto rispondere mons. Lorefice nella parte finale dell’omelia: “Voi sapete che il carissimo Biagio non ama essere messo in vista, non ama tanto meno essere messo sugli altari. Ma domandiamoci: chi è Biagio? Biagio è uno di noi, non è un prete, è uno che stava qui tra noi, uno di noi. Che cosa ha fatto Biagio nella sua vita? Ha aperto le porte del suo cuore a Cristo e Biagio oggi è un uomo che apre porte, strutture diroccate; le apre e le fa diventare strutture di accoglienza. Lui è un cristiano che ha fatto sul serio con il Signore”.
Poi si rivolge ai fedeli ponendo la domanda su come sia stato possibile tutto ciò. La sua risposta è: “Ha fatto tutto ciò perché lui nella sua vita ha sperimentato quanto è buono il Signore che gli ha cambiato l’esistenza. In questo momento Biagio potrebbe essere altrove, potrebbe essere un uomo in carriera, potrebbe essere un uomo rivolto alle cose del mondo, quelle che sembrano darci la felicità. Invece Biagio è qui”.
Cita poi un famoso avvenimento della vita di san Francesco d’Assisi, quando il Signore gli disse: Va, ripara la Mia chiesa. “Francesco d’Assisi - spiega Lorefice - ripara la Sua chiesa perché lui ha conosciuto il volto di Dio nel volto del Suo crocifisso, quel crocifisso che staccava la mano e lo abbracciava, che gli permetteva di abbeverarsi direttamente al suo costato, a quell’amore che trasforma una vita e una città. Palermo oggi può vantare di essere una città che accoglie e che certamente non respinge; e deve ciò a Biagio, cristiano serio, discepolo del Signore, radicale nella fede”.
Prima di concludere con gli auguri finali c’è spazio per ascoltare alcune canzoncine natalizie dei bambini in prima fila da ore. Poi si accendono le candele e un silenzio denso di significato avvolge tutti. In fine un appello alla pace e alla preghiera anche per coloro che provengono da altre religioni. Un invito a pregare tutti perché la pace giunga in ogni famiglia e in ogni angolo di mondo.
La cerimonia si conclude con l’assalto finale a mons. Lorefice. Tutti desiderano salutarlo e conoscerlo e per tutti c’è un parola di conforto, di augurio, una carezza per gli anziani e un bacio per i più piccoli. Ed un arrivederci alla prossima volta.