(27 giugno 2014) – Una storia 'quasi vera', quella di un amore sbocciato all'interno di un giardino comunale, quella di una donna stupita che qualcuno si prenda cura di lei, quella di un suicida che viene salvato da un cellulare che squilla.
Dopo essere stato selezionato al Taormina Film Fest e aver vinto premi in giro per l’Italia l’anno scorso, è uscito nelle sale italiane “Ore diciotto in punto”, il primo lungometraggio del palermitano Giuseppe Gigliorosso. La particolarità di questo lavoro è la coproduzione a cui hanno partecipato attori, tecnici e volontari: non ci sono stati, infatti, finanziamenti statali alle spalle di questo film, ma ciascun membro dello staff ha prestato volontariamente la propria partecipazione. Solo alcuni sponsor privati hanno dato il proprio contributo alla realizzazione di questa pellicola.
Un ufficio di funzionari preposti ad accompagnare i suicidi nell'aldilà fa da sfondo alla strana storia d'amore tra un clochard (interpretato da Salvo Piparo) e Stella, una ragazza avvenente e misteriosa (interpretata da Roberta Murgia). L’ufficio viene chiamato in causa perché secondo “le carte” Nicola, il clochard, sarebbe dovuto morire “alle diciotto in punto”, ma qualcosa sconvolge i progetti del “piano superiore”.
Ciò che spariglia le carte è la libertà umana, che ricomincia, che riparte nell’esperienza di uno sguardo innamorato. Per questo Gigliorosso, parlando del proprio lungometraggio, ha affermato che “si tratta della storia di un riscatto”.
Certo, la scommessa di pensiero tentata è molto rischiosa ed incerta nel suo esito: per tessere l’elogio del libero arbitrio – “non c’è destino senza volontà degli uomini” una delle battute-chiave – si pone a tema la morte, cioè il limite in cui forse è più palese la caducità dell'uomo. E la conclusione che fa tornare sulle labbra il motto virgiliano omnia vincit amor, sembra più una trovata cinematografica che una coerente chiusa.
Però forse questo film non è tanto da analizzare sotto il profilo del pensiero. L’abbiamo già detto è una trama semplice e non priva di punti di interesse. Per esempio Salvo Piparo offre una prestazione convincente, soprattutto nella capacità di salvaguardare il silenzio e l’incertezza del personaggio che interpreta: c’è una scena in cui parla della propria volontà di farla finita in cui i veri canali di comunicazione sono lo sguardo fisso e le contrazioni del viso. Quella è una scena riuscita. Proprio in quella scena Nicola si rivolge a Duchessa, una senzatetto un po’ particolare: lei è quella che lungo tutti i 96 minuti, attraverso la finzione di una maschera, riesce a parlare all’uomo della vita. Che ad interpretare questo ruolo sia una scrittrice, Valentina Gebbia, è davvero azzeccatissimo.
Un altro nome che bisogna assolutamente citare è quello di Paride Benassai, l’impiegato del cielo che da 3000 anni si occupa di anime appena morte e che si ritrova in mano il fascicolo del caso strano della vita del clochard che non rientra nel disegno preordinato. Benassai interpreta molto bene un personaggio che dà leggerezza alla trama e accende sorrisi sui volti degli spettatori, che con il suo atteggiamento ironico e picaresco contrasta con la solennità del ruolo.
Ma tanti sarebbero i nomi da citare e che sono già cari al pubblico siciliano, da Ernesto Maria Ponte a Lollo Franco, da Stefania Blandeburgo a Gigi Borruso, da Giuseppe Santostefano a Giuditta Perriera.
Tante anche le battute che rimangono impresse nella mente degli spettatori. Tra tutte ricordiamo quella che rivolge Paride Benassai all’anima di un uomo che si è appena suicidato, condotto sino alla collina da cui si apre l’aldilà: “Questo è reale, ma non l'hai mai visto perchè non l'hai mai cercato. Hai dimenticato di vivere”.
Ci sentiamo davvero di stare al fianco di una scommessa palermitana, che speriamo possa essere vincente anche come modello di produzione dal basso per il cinema italiano. Che si conceda spazio a chi accetta di rischiare, piuttosto che a coloro che attendono aiuti dalla politica.
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