«Scrittori di mare aperto», incontro con Gianni Riotta al Biondo

 

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(26 febbraio 2014) – «Scrittori di mare aperto» è il titolo dato a una serie di incontri che si sono tenuti presso la Sala Strehler del Biondo di Palermo con quattro giornalisti di successo nati a Palermo ma che, ormai da anni, svolgono fuori dalla Sicilia la loro attività.

Le quattro grandi firme del giornalismo hanno incontrato il pubblico e sono stati intervistati da giornalisti e scrittori siciliani. Dal 20 al 23 febbraio si sono alternati sul piccolo palcoscenico Fulvio Abbate, Giuseppe Di Piazza, Gianni Riotta e Marcello Sorgi.

La Sala Strehler, sita al primo piano del Teatro Stabile Biondo, si è riempita la sera di sabato 22 febbraio, quando Roberto Puglisi ha intervistato Gianni Riotta. L’incontro ha dato modo al pubblico presente di ascoltare ricordi e giudizi di Riotta relativi all’inizio della carriera e all’evoluzione del giornalismo intercorsa negli anni ultimi anni. Il giornalista di Palermo si è soffermato sulle ragioni che hanno ispirato negli anni tanti luoghi comuni, spiegando perché questi non siano aderenti alla realtà.

Il primo luogo comune passato sotto osservazione è quello che ha suggerito il titolo della rassegna, cioè la possibilità di definire secondo rigide categorie un determinato scrittore siciliano come “siciliano di scoglio” o “siciliano di mare aperto”, basandosi soltanto sulla residenza anagrafica o sulla quantità di viaggi all’estero. Il “siciliano di scoglio” è lo scrittore che rimane radicato al territorio e che, osservando la realtà dal suo interno, la descrive; il “siciliano di mare aperto”, invece, è colui che mette in pratica un altro classico motto siciliano, “chi esce riesce”, cioè l’uomo che, nato al sud, va a fare fortuna altrove, studiando e mettendo a profitto il bagaglio culturale acquisito lontano dalla sua terra. In realtà, però, le due definizioni non possono che coincidere, annullandosi a vicenda. E ciò si capisce se si guarda con attenzione la biografia dei grandi della letteratura siciliana: da Pirandello a Vittorini, da Tomasi di Lampedusa a Quasimodo e Sciascia.

Tanti sono gli avvenimenti che vengono raccontati e che dimostrano la tesi di Riotta; un esempio è il fatto che la prima trasmissione televisiva europea, mandata in onda dalla BBC negli anni Trenta del secolo scorso e trasmessa in esclusiva presso la casa reale inglese, sia stata la versione tradotta dell’opera pirandelliana L’uomo dal fiore in bocca o che la prefazione all’edizione americana del 1949 di Conversazione in Sicilia del siracusano Elio Vittorini sia stata scritta da Ernest Hemingway.

Anche le narrazioni di Leonardo Sciascia, in un primo momento, sono state apprezzate maggiormente in Francia piuttosto che in Italia. E non va dimenticato, peraltro, che su 6 italiani sono ben 2 i siciliani insigniti del massimo riconoscimento internazionale, cioè il Premio Nobel per la letteratura: a Pirandello viene assegnato nel 1934, a Quasimodo nel 1959.

Come è possibile, allora, categorizzare questi ed altri letterati come siciliani “di scoglio” o “di mare aperto”? L’operazione è tanto ardua quanto inutile, in quanto essi sono sia l’uno che l’altro, “tutti sono di mare e tutti sono di scoglio, in quanto lo scoglio se lo portano dentro l’anima”, continua Riotta, e ne è una testimonianza il fatto che l’Europa abbia attribuito, ad esempio, all’opera di Tomasi di Lampedusa il simbolo del crollo del mondo consolidatosi nei due secoli precedenti e veda in Pirandello “lo scrittore che ha meglio interpretato la crisi delle coscienze europee dell’uomo vissuto tra le due grandi guerre”, perché politicamente fascista ma capace di produrre al tempo stesso un’opera anti-totalitarista e profondamente individualista.

Sicilia, migliaia di anni di storia e tante contraddizioni che generano quindi luoghi comuni come la fantomatica esistenza di una “sicilianitudine”, cioè una sorta di DNA unico che tende quasi ad accomunare i destini dei siciliani. Per non dire dell’idea riguardante l’esportazione della malavita organizzata con la classica frase “la palma si sposta al nord”, o del falso concetto di “città irredimibile”.

Nulla di più falso, puntualizza Riotta, perché non esiste un fato soprannaturale comune e non esiste una città con un destino preassegnato che la possa rendere irredimibile; il destino di un popolo, o di una città in particolare, dipende esclusivamente dalle scelte sociali e politiche di chi vi abita, e Palermo non fa eccezione a questa regola. Del resto, come è stato detto da Vittorini, “la cultura non può essere massificata”.

Durante la conversazione con Gianni Riotta sono stati letti dei brani tratti dal suo volume Le cose che ho imparato (Mondadori, Milano 2011). E anche questa è stata una maniera adeguata per ritrovare la via vera di un legame che conduce alle origini attraverso il racconto di un’esperienza.

 

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