(21 gennaio 2015) – Carmelo Zaffora (Gangi 1959) da molti anni si occupa di letteratura. Ha al suo attivo le seguenti pubblicazioni: La Finta Macchia (1989), L’Alibi (1992), Sikanie Poleis (1996), Ananke (1997). Studioso di cultura ebraica in Sicilia ha pubblicato i romanzi Golem Siciliano (2006) e Le Confessioni di Abulafia (2013). Nel 2014 pubblica Theophanie, una raccolta di racconti sul mito e la spiritualità siciliana, illustrato da Shoshannah Bromacher di New York. Vive a Catania dove lavora come psichiatra.
Quali sono le origini di Carmelo Zaffora e che rapporto ha con la memoria?
Le origini sono quelle legate all’entroterra siciliano, a Gangi, e sono fatte di altipiani, vento, luminosità, racconti, saggezza, tradizioni, mito. Tutti elementi che inevitabilmente contribuiscono alla visione del mondo di un individuo. Essi rappresentano il terreno di cultura dove la propria “weltanschauung” si sviluppa. La memoria rappresenta la continuità tra ciò che è stato, l’attualità e il futuro. Essa costituisce l’unica e grande forza che si oppone all’oblio, al nulla, all’assenza di radici.
Qual è stata la sua formazione letteraria?
Variegata e multiforme. Certamente nella formazione letteraria ha un posto principale la fortuna di incontrare buoni maestri durante il percorso scolastico, in quanto rappresentano un elemento fondamentale per la costruzione culturale di una persona. Dopo vengono le persone che incrociano la tua vita e le scoperte: la curiosità per le origini, l’approfondimento del luogo dove trascorre l’infanzia e l’adolescenza, la poesia, la brama di conoscere, la letteratura, i linguaggi che altri hanno già sperimentato. Tra gli autori prediletti vi sono certamente Borges, Pessoa, Pirandello, Kavafis, Platone, Italo Calvino, Dostoevskij.
Ananke è un sanguigno grido alla vita. Cosa esprime la sua poesia oggi?
La poesia è uno stato dell’anima, una cifra che soltanto all’interno di un “sentire” particolare può trovare voce. Ananke è un tributo all’immanenza dell’accadere, al cosiddetto destino cosmico, al fato sublime che cammina sopra la testa degli uomini, al mistero di una legge ancora da decifrare. Ananke è un poema dedicato all’esistenza, alla sua gioia di essere e alla sua contraddittorietà. La poesia oggi deve esprimere l’inesprimibile, la non ovvietà, la bellezza. Riuscire a cantare la vita, quando è possibile, con passione.
“L’alibi” è sicilianità intrisa di destino inesorabile, tradizione e giustizia. Che opinione ha della legalità della sua terra, che uomo è il siciliano medio di fronte alla giustizia?
Parlare di giustizia non sempre è facile. La Sicilia è uno dei luoghi, a mio avviso, più complicati del pianeta. Questo perché se da una parte siamo una straordinaria fabbrica di eroi (il lungo elenco di giudici e uomini di buona volontà uccisi dalla mafia), dall’altro lato siamo altresì lontani dal rispetto a volte delle regole più elementari del vivere civile, contravvenendo ai dettati più semplici del diritto, in cui l’arroganza, la prepotenza, l’indifferenza e la violenza fanno da padroni. Nessuno in questa dinamica è senza colpe: cittadini comuni, politici, istituzioni, lo stato in generale. Ecco che la Sicilia, dall’alto della sua lontana provenienza, di sovente fa della furbizia il gradino negativo dell’intelligenza, spazio nel quale tutto può accadere e tutto può essere “lecitamente” giustificato. La sicilianità è complessa. Dentro questo orgoglio coesiste spesso esasperata individualità, incapacità a condividere, sconoscenza del bene comune, violenza verso la propria terra, assoluta incapacità di pensare alle generazioni a venire.
“Il Golem” è qualcosa di magico e allo stesso tempo concreto che descrive la Sicilia come un’isola esotica che emana una luce eterna e rigenerante. Che rapporto ha con le credenze popolari?
Il romanzo Golem Siciliano è un lavoro dedicato alla tradizione ebraica della Sicilia. Fino al 1492 nell’isola c’erano 52 giudecche: significa altrettanto luoghi di culto, di operosità, di sapienza e di conoscenza. In tutta la Sicilia, da Trapani a Savoca, da Petralia a Messina, da Modica a Mistretta, a Geraci, c’erano numerose comunità del popolo d’Israele. Con l’Editto di Granada, voluto da Isabella di Castiglia e da Ferdinando il Cattolico, esse vengono cancellate e distrutte nell’arco di una stagione, determinando una tragica damnatio memoriae riguardante questa numerosa comunità. In quella triste occasione la Sicilia perde uno straordinario capitale umano. Tuttavia la presenza ebraica ha lasciato molto delle sue usanze, spiritualità, desiderio del divino e della conoscenza che, nel tempo, è diventato patrimonio popolare. In numerosi modi di fare, in tanti proverbi, in molti cognomi, negli atteggiamenti dei siciliani spesso vi si può trovare molto di quanto hanno lasciato gli ebrei che in Sicilia hanno abitato per più di quindici secoli.
Ci descriva da dove nascono le Confessioni di Abulafia…
Le Confessioni di Abulafia è un tributo ad un pilastro della mistica ebraica, paragonabile nel cristianesimo, per spessore e forza culturale, a Sant’ Agostino, San Tommaso d’Aquino etc. Egli, di origini iberiche, fu un filosofo, un uomo di sapienza, un cabalista, un mistico, un cercatore di Dio. Trascorse una vita molto avventurosa e fu un instancabile studioso. Viaggiò tanto ed arrivò a vette di conoscenza così alte da arrivare a proclamarsi lui stesso Messia. Cercò anche di andare a convertire il papa di allora, Nicolò III Orsini, tentando di metterlo a conoscenza della sua sapienza, ma quest’ultimo lo condannò al rogo. L’interesse per Abulafia, oltre al mio personale attaccamento alla cultura ebraica, nasce dal fatto che egli trascorse gli ultimi dieci anni della sua esistenza terrena in Sicilia. Qui scrisse i suoi libri più importanti e fondò diverse scuole di kabbalah. Una trentina di anni fa in una biblioteca di San Pietroburgo viene trovato un manoscritto ebraico. Non appena gli studiosi lo traducono si scopre che è il resoconto di una allievo di Abulafia, messinese, in cui parla del Maestro. Non appena ho saputo di questa notizia è stato per me inevitabile mettermi al lavoro e scrivere un libro sulla sua meravigliosa biografia (la prima pubblicazione al mondo sulla vita di Avrhaham Abulafia). Questo libro, tengo a precisarlo, per la sua importanza è stato richiesto inoltre dalle più importanti biblioteche esistenti, come Yale, Harvard, Gerusalemme, Monaco di Baviera etc.
(21 gennaio 2015) – Carmelo Zaffora (Gangi 1959) da molti anni si occupa di letteratura. Ha al suo attivo le seguenti pubblicazioni: La Finta Macchia (1989), L’Alibi (1992), Sikanie Poleis (1996), Ananke (1997). Studioso di cultura ebraica in Sicilia ha pubblicato i romanzi Golem Siciliano (2006) e Le Confessioni di Abulafia (2013). Nel 2014 pubblica Theophanie, una raccolta di racconti sul mito e la spiritualità siciliana, illustrato da Shoshannah Bromacher di New York. Vive a Catania dove lavora come psichiatra.
Quali sono le origini di Carmelo Zaffora e che rapporto ha con la memoria?
Le origini sono quelle legate all’entroterra siciliano, a Gangi, e sono fatte di altipiani, vento, luminosità, racconti, saggezza, tradizioni, mito. Tutti elementi che inevitabilmente contribuiscono alla visione del mondo di un individuo. Essi rappresentano il terreno di cultura dove la propria “weltanschauung” si sviluppa. La memoria rappresenta la continuità tra ciò che è stato, l’attualità e il futuro. Essa costituisce l’unica e grande forza che si oppone all’oblio, al nulla, all’assenza di radici.
Qual è stata la sua formazione letteraria?
Variegata e multiforme. Certamente nella formazione letteraria ha un posto principale la fortuna di incontrare buoni maestri durante il percorso scolastico, in quanto rappresentano un elemento fondamentale per la costruzione culturale di una persona. Dopo vengono le persone che incrociano la tua vita e le scoperte: la curiosità per le origini, l’approfondimento del luogo dove trascorre l’infanzia e l’adolescenza, la poesia, la brama di conoscere, la letteratura, i linguaggi che altri hanno già sperimentato. Tra gli autori prediletti vi sono certamente Borges, Pessoa, Pirandello, Kavafis, Platone, Italo Calvino, Dostoevskij.
Ananke è un sanguigno grido alla vita. Cosa esprime la sua poesia oggi?
La poesia è uno stato dell’anima, una cifra che soltanto all’interno di un “sentire” particolare può trovare voce. Ananke è un tributo all’immanenza dell’accadere, al cosiddetto destino cosmico, al fato sublime che cammina sopra la testa degli uomini, al mistero di una legge ancora da decifrare. Ananke è un poema dedicato all’esistenza, alla sua gioia di essere e alla sua contraddittorietà. La poesia oggi deve esprimere l’inesprimibile, la non ovvietà, la bellezza. Riuscire a cantare la vita, quando è possibile, con passione.
“L’alibi” è sicilianità intrisa di destino inesorabile, tradizione e giustizia. Che opinione ha della legalità della sua terra, che uomo è il siciliano medio di fronte alla giustizia?
Parlare di giustizia non sempre è facile. La Sicilia è uno dei luoghi, a mio avviso, più complicati del pianeta. Questo perché se da una parte siamo una straordinaria fabbrica di eroi (il lungo elenco di giudici e uomini di buona volontà uccisi dalla mafia), dall’altro lato siamo altresì lontani dal rispetto a volte delle regole più elementari del vivere civile, contravvenendo ai dettati più semplici del diritto, in cui l’arroganza, la prepotenza, l’indifferenza e la violenza fanno da padroni. Nessuno in questa dinamica è senza colpe: cittadini comuni, politici, istituzioni, lo stato in generale. Ecco che la Sicilia, dall’alto della sua lontana provenienza, di sovente fa della furbizia il gradino negativo dell’intelligenza, spazio nel quale tutto può accadere e tutto può essere “lecitamente” giustificato. La sicilianità è complessa. Dentro questo orgoglio coesiste spesso esasperata individualità, incapacità a condividere, sconoscenza del bene comune, violenza verso la propria terra, assoluta incapacità di pensare alle generazioni a venire.
“Il Golem” è qualcosa di magico e allo stesso tempo concreto che descrive la Sicilia come un’isola esotica che emana una luce eterna e rigenerante. Che rapporto ha con le credenze popolari?
Il romanzo Golem Siciliano è un lavoro dedicato alla tradizione ebraica della Sicilia. Fino al 1492 nell’isola c’erano 52 giudecche: significa altrettanto luoghi di culto, di operosità, di sapienza e di conoscenza. In tutta la Sicilia, da Trapani a Savoca, da Petralia a Messina, da Modica a Mistretta, a Geraci, c’erano numerose comunità del popolo d’Israele. Con l’Editto di Granada, voluto da Isabella di Castiglia e da Ferdinando il Cattolico, esse vengono cancellate e distrutte nell’arco di una stagione, determinando una tragica damnatio memoriae riguardante questa numerosa comunità. In quella triste occasione la Sicilia perde uno straordinario capitale umano. Tuttavia la presenza ebraica ha lasciato molto delle sue usanze, spiritualità, desiderio del divino e della conoscenza che, nel tempo, è diventato patrimonio popolare. In numerosi modi di fare, in tanti proverbi, in molti cognomi, negli atteggiamenti dei siciliani spesso vi si può trovare molto di quanto hanno lasciato gli ebrei che in Sicilia hanno abitato per più di quindici secoli.
Ci descriva da dove nascono le Confessioni di Abulafia…
Le Confessioni di Abulafia è un tributo ad un pilastro della mistica ebraica, paragonabile nel cristianesimo, per spessore e forza culturale, a Sant’ Agostino, San Tommaso d’Aquino etc. Egli, di origini iberiche, fu un filosofo, un uomo di sapienza, un cabalista, un mistico, un cercatore di Dio. Trascorse una vita molto avventurosa e fu un instancabile studioso. Viaggiò tanto ed arrivò a vette di conoscenza così alte da arrivare a proclamarsi lui stesso Messia. Cercò anche di andare a convertire il papa di allora, Nicolò III Orsini, tentando di metterlo a conoscenza della sua sapienza, ma quest’ultimo lo condannò al rogo. L’interesse per Abulafia, oltre al mio personale attaccamento alla cultura ebraica, nasce dal fatto che egli trascorse gli ultimi dieci anni della sua esistenza terrena in Sicilia. Qui scrisse i suoi libri più importanti e fondò diverse scuole di kabbalah. Una trentina di anni fa in una biblioteca di San Pietroburgo viene trovato un manoscritto ebraico. Non appena gli studiosi lo traducono si scopre che è il resoconto di una allievo di Abulafia, messinese, in cui parla del Maestro. Non appena ho saputo di questa notizia è stato per me inevitabile mettermi al lavoro e scrivere un libro sulla sua meravigliosa biografia (la prima pubblicazione al mondo sulla vita di Avrhaham Abulafia). Questo libro, tengo a precisarlo, per la sua importanza è stato richiesto inoltre dalle più importanti biblioteche esistenti, come Yale, Harvard, Gerusalemme, Monaco di Baviera etc.
Ci parli del suo ultimo lavoro, Theophanie.
Il mio ultimo libro, Theophanie, parla di apparizioni divine. La Sicilia, possedendo grandissime stratificazioni culturali, è intrisa di miti, credenze, spiritualità, desiderio di conoscenza. I racconti in esso contenuti parlano di Platone (fondatore del pensiero d’Occidente), di Falaride tiranno d’Agrigento, di Von Platen, poeta tedesco che sull’onda del Grand Voyage, venne a morire a Siracusa transitando da Gangi, di Omero, di Kavafis, di una fiera incantata, di una giacca che attraversò due volte l’Atlantico, dell’amore nella sua impossibile crudeltà.
Dieci racconti di cui alcuni ispirati dalla spiritualità delle nostre zone. È qualcosa ancorata nel passato o ne vede continuazione pure attualmente?
Il passato è il nostro maestro. Noi, come posteri, dobbiamo sforzarci di superarlo recuperando il suo insegnamento. Quando riusciamo a fare ciò esso diventa attualità e futuro, lotta contro l’oblio e memoria che si reifica.
Ci anticipi qualcosa del Cuntu, uno dei racconti incentrato sulla Fiera incantata. È un racconto che ci narravano da bambini…
Questo racconto appartiene alla tradizione della città di Gangi. Esso attinge al lungo solco della tradizione e della memoria. Le Madonie sono custodi un grandissimo patrimonio culturale, avendo accolto molteplici civiltà e popoli differenti. Ogni gente che vi è transitata ha lasciato tracce nei racconti, i “Cunti”, come si diceva una volta. La Fiera Incantata appartiene a questa tradizione e si collega a quello molto diffuso della Truvatura, del tesoro nascosto, della ricchezza che appare, del segreto occulto, della scoperta che si può fare soltanto eseguendo alcune modalità e giuramenti. Io ho messo dentro la figura archetipica del Minotauro essendo la città di Gangi di remote origini cretesi e, reinventando la storia, ho cercato di farla rivivere consegnandola alle nuove generazioni.
Quali altri progetti ha in cantiere?
Vorrei scrivere qualcosa sull’incontro tra Baruch Spinoza e Leibnitz e qualcos’altro sul senso dello Spirito Maligno, vale a dire della negatività che s’impossessa delle persone quando smarriscono il vero senso spirituale che alberga dentro ognuno di noi. Nella tradizione ebraica esso viene chiamato dibbuk.
Cosa la spinge a scrivere?
Scrivere è disciplina e liberazione, ricerca del bello e invenzione, trasformazione della realtà, capacità di osservazione. L’arte di scrivere non è facile poiché esistono persone che sanno scrivere e non hanno niente da raccontare, altre che avrebbero tantissimo da raccontare ma non sanno scrivere. Ecco che la scrittura è equilibrio, armonia, sapienza che si trasforma in storia. In definita per me scrivere è una passione che diventa necessità.
Ha avuto maestri? Intravede suoi epigoni?
Sono un autodidatta non avendo avuto maestri diretti. Certamente penso che ogni uomo di cultura deve sapere cosa farsene della propria istruzione, poiché non si può essere persone colte fine a se stessi, senza produrre niente. In fondo l’uomo si giudica dai frutti che dà. Se ci saranno epigoni non sarò io a dirlo. Una cosa tuttavia è certa: su tanti semi che si piantano qualcuno ha la possibilità di diventare pianta.
Come sogna questa isola?
Sogno quest’isola scrollata dalla violenza e dalla sua tragicità. Sogno quest’isola onesta, sogno quest’isola padrona della propria bellezza.
CONVERSAZIONI - Carmelo Zaffora: un'isola padrona della propria bellezza
Intervista di Francesco Bongiorno.