Conversazione sulla scuola/3

 

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(14 ottobre 2013)Un nuovo anno, un nuovo inizio. Indossa la sua camicia d’ordinanza, s’allaccia le scarpe tenendo ben strette le stringhe, un’occhiata all’orologio ed esce da casa. In macchina, mentre guarda lo specchietto retrovisore, già pensa alle parole su cui punterà il suo primo giorno di scuola.

Signori buongiorno,

questa è la prima volta che ci vediamo. La prima di una lunga serie: abbiamo da attraversare insieme un intero anno. Un anno di fatica, un anno di scoperte, un anno di problemi, un anno di soluzioni. Un nuovo anno.

A ciascuno di noi potrebbe capitare la cosa più bella o più brutta della nostra vita. A ciascuno di noi potrebbe capitare un anno senza vertici di consapevolezza. Un altro anno.

Non dubito che ciascuno di voi è già preparato ad amare e odiare le materie che preferite o che non riuscite neanche a pronunciare. Questo però equivale già ad aver dato un passo: che presuppone che “quello che sarà” sia molto simile, se non uguale, a “quello che è stato”. Questo è un pre-giudizio rispetto al nuovo anno. Ai secondi, ai minuti, alle ore, ai mesi che passeremo insieme. A quel nugolo di attimi in fila che ci stanno già aspettando, che stanno già aspettando i nostri sguardi, le nostre parole, i nostri pensieri. Noi.

Non dubito che noi abbiamo già un’immagine su quel che sarà. Ma questa è già una scelta, che nel migliore dei casi vi potrebbe lanciare con entusiasmo verso le materie che già amate; ma che molto probabilmente vi ostacolerà per comprendere e stupirvi di tutto il resto. Un ostacolo dovuto esclusivamente alla scelta di dare credito a un’immagine. Ad un passato.

Chi può escludere che ci accada di scoprire che la matematica non è una bestia a tre teste? Che la grammatica, tutto sommato, ha una sua ragion d’essere? Che tutto ciò che farete quest’anno, piacevole, immediato o apparentemente solo faticoso, non sia un aiuto per affrontare ciò che vi accade anche fuori dalla scuola?

Che la precisione di un disegno tecnico, vi possa servire per inquadrare perfettamente l’incrocio dei pali? Che imparare quell’eccezione della regola di grammatica vi possa permettere di ricordare più rapidamente il “suo” numero di telefono? Che studiare le cause della prima guerra mondiale vi possa aiutare a capire perché ogni volta che vi sedete a tavola c’è il finimondo?

Chi l’ha detto che l’italiano e la matematica sono due mondi separati? Che la vita e la scuola non hanno nulla a che vedere? Che l’occhio e la bocca, che lo sguardo e le parole, che vivono, pulsano, urlano a scuola siano diversi da quelli che mettiamo in moto la sera davanti a un bel film?

Per scrivere un problema di matematica è necessario conoscere bene le regole grammaticali e la punteggiatura, per conoscere le regole grammaticali è d’aiuto mantenere una ferrea logica scientifica. Pirandello scriveva racconti seguendo gli stessi procedimenti di un teorema dell’assurdo e Einstein non era poi così male quando scriveva.

Tenere occhi aperti e cuore spalancato, rimanere disposti alla fatica, condividere le difficoltà con chi abbiamo a fianco. Cosa c’è di più importante quando entriamo in classe se non aprire le serrande o accendere la luce?

Gogol’ sapeva molto bene tutto questo e quando l’ho letto la prima volta mi ha stupito. Lasciatevi cogliere dallo stupore e dalla sua smisurata attesa:

«Dove che sia, fra mezzo al ruvido squallore degli umili che muffiscono nella miseria come nella fredda monotonia e nell'annoiato decoro dei signori, dove che sia, almeno una volta nella vita l'uomo ha occasione di incontrare sulla propria strada qualcosa che non somiglia a nulla di ciò che gli è capitato vedere fino a quel momento, qualcosa che almeno una volta risveglierà in lui un sentimento che non somiglia a nulla di quanto gli è dato provare nella vita. Dove che sia, una gioia splendente farà allegra irruzione attraverso gli affanni di cui è intessuta la nostra vita, come una splendida carrozza con finimenti dorati, cavalli statuari, vetri risplendenti di luce attraversa improvvisa un povero villaggio sperduto che mai ha conosciuto se non il rustico carro, e i contadini restano immobili, la bocca aperta, le braccia ciondoloni, il cappello in mano, anche quando la meravigliosa carrozza da un pezzo è volata via e si è nascosta alla vista».

 (Nikolaj Gogol’, Le anime morte)

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