(22 ottobre 2013) – Giorno 21 ottobre alle 18.30 presso l’Auditorium SS. Salvatore è stato aperto l’appuntamento annuale con la “Settimana degli studi danteschi”, un’occasione per docenti e studenti liceali e universitari di misurarsi con le parole ancora scottanti del Sommo Poeta, alla luce di esperienze, impellenze e sensibilità odierne. Questo primo appuntamento, Virgilio, dolce pedagogo, dolcissimo patre, è stato tenuto dal professore Giuseppe Lo Manto, dalla professoressa Michela Sacco Messineo e dal teologo e scrittore Vito Mancuso, con un intervento iniziale del rettore dell’Università di Palermo Roberto Lagalla.
Il titolo richiama immediatamente l’emergenza dell’educazione: oggi la chiamiamo in tanti modi, l’abbiamo divisa in branche, le abbiamo dato dignità scientifica: eppure, dirà Mancuso a incontro quasi finito, oggi è «quasi impossibile trovare un maestro».
Lo Manto e Mancuso concordano nel dire che il problema, checché ne vogliano le (futili) accuse di faziosità rivolte a Mancuso nel finale da un professore di filosofia, è anzitutto un problema di tempi. Dove dicendo ciò né vogliamo incastrare Dante e l’uomo contemporaneo in uno sterile concetto di milieu storico e culturale capace di manovrare dall’inizio alla fine ogni singola esistenza, né tantomeno, riprendendo l’elegante risposta di Mancuso alle suddette lamentele, vogliamo effettuare una laudatio temporis acti. «L’uomo medievale – attacca così Lo Manto – era perfettamente consapevole del fatto che esistesse la felicità, in un modo preciso e distinto. Al contrario Dante non avrebbe scritto mai di un Sole raggiungibile al di là di un monte». Ma l’unico modo per raggiungere il Sole è un maestro, ovvero uno «che sa – dice poi Mancuso – ma che non sa solamente: vive quello che sa, e porta il discepolo a voler vivere come lui. Qui sta la sua differenza dal professore». Continua poi: «Ed è per questo che, mentre un professore ti capita, un maestro viene eletto da te. E lo eleggi quando vedi che a sua volta lui è discepolo. Perché Dante non si sarebbe aspettato nulla da un Virgilio venuto in nome della sua autorità. Dante elegge Virgilio nel momento in cui Virgilio si fa portavoce del suo destino».
Mancuso non nega fino alla fine le storture, i problemi e talvolta le atrocità che hanno contraddistinto certe fasi del Medioevo, e infatti il suo intervento non è partito enunciando l’eccezionalità di quell’epoca, bensì della nostra: «Non si era mai vista nella storia un’epoca come la nostra. Nessuna certezza, autorità, tradizione». Né tantomeno ha preso una parte in merito («c’è chi piange il crollo delle autorità e chi ne gioisce. Chi ha ragione? Entrambi probabilmente») ma s’è limitato a provocare: noi giovani crediamo ancora che esistano uomini a cui dire “Tu duca, tu segnore, tu maestro”? E ancora, è possibile trovare conveniente una simile figura, così lontana dai modelli pedagogici odierni?
Secondo Mancuso è difficile, se non impossibile, trovarlo, o trovarlo senza cadere in ideologismi, in cupole asfissianti di idee, e «guai a chiudervi dalla caoticità dell’esistenza, a diventare dogmatici, ma camminateci sempre dentro col costante desiderio di portare l’ordine». E ancora più difficile è trovarlo conveniente: ma altrettanto difficile, chiude Mancuso, è non ammettere che «tutti vogliamo essere salvati»: non è un appannaggio per l’uomo religioso. Nessuna soluzione precostituita dunque, nessun sistema dogmatico, nessun catechismo: c’è bisogno di ritrovare un’etica, un canone, e serve sì un maestro, ma è una ricerca che non possiamo delegare ad altri, che ci appartiene intrinsecamente.
Quante volte, come ci ricorda Lo Manto, Virgilio (ma anche Cacciaguida o Beatrice) chiede a Dante di domandare, non perché non sappia leggergli i pensieri, ma per spronarlo a capire da solo cosa desidera! Colpisce il modo in cui le due personalità, quella critico-letteraria di Lo Manto e quella filosofica di Mancuso, si intrecciano, creando una trama continua, senza dare l’impressione di salti e punti vuoti, mettendo al centro sempre l’emergenza tutta odierna di una “ragione educata”, di un “sentimento educato”.
In un’epoca come la nostra, dove si grida al sapere “umano” e non soltanto umanistico (riprendendo Bacchielli in una vecchia edizione da lui curata dell’Eneide), i due hanno mostrato la capacità di due saperi apparentemente distanti di venirsi incontro di fronte ad un’emergenza educativa, di fronte a studenti che, rompendo ogni pregiudizio sul loro conto, hanno mostrato di apprezzare l’ondata di verità e bellezza che li ha travolti.