Quel supplente venuto da lontano…
«Vedete ragazzi, ciò che è stato quest’anno nulla e nessuno potrà cancellarlo, niente può strapparci il ricordo, nessuno potrà mai estirpare la concretezza di questo frammento di memoria. Ciò che noi siamo è innanzitutto il nostro presente, è il nostro sperare, ma è anche il nostro passato, bello o brutto che sia, un passato che ci riconsegna alla nostra umanità, che lascia in noi delle forti tracce, dei continui residui che ci formano e ci rendono, per l’appunto, uomini».
Li salutò così quel supplente venuto da lontano, entrato in quella scuola, fra quei ragazzi in punta di piedi, alla sua prima esperienza. Loro, con sorriso malinconico, con lacrime palpitanti, allungavano il loro sguardo verso di lui che asciugava, a sua volta, il proprio volto. Una ragazzina si avvicinò dicendo: «le chiedo scusa di queste lacrime, non è questa l’immagine che vorrei lasciarle di me». Le rispose, quel supplente, con una frase di Goethe: «anche se gli altri ti faranno pagare caro il sentimento, è quando è commosso che l’uomo sente nel profondo l’immensità».
Immensità: a lui era questa la parola che risuonava nella mente alla vigilia del ritorno a casa, del ritorno tra gli affetti della famiglia, degli amici. Ma se all’inizio di questa avventura in un paesino così lontano dalla propria casa la mente spesso tornava ai propri cari, adesso sentiva che gli veniva a mancare qualcosa e ciò che temeva che gli mancasse di più era proprio questa immensità.
Così disse ai ragazzi: «sono partito per venire da voi pieno di ansie, di dubbi, di timori. Lasciare la propria casa così, senza un vero preavviso è stata una prova che in quel momento mi ha fatto tremare le gambe. Ma ho riflettuto su una cosa, che se sto perseguendo la strada dell’insegnamento dovevo necessariamente fare in fretta e furia una valigia, metter su un cappotto e riempirne le tasche di speranza. Adesso vado via con tanta nostalgia, ma con una certezza che voi e soltanto voi mi avete donato, che questo è, per me, il più bel mestiere del mondo, perché mettere a disposizione le mie esperienze, libresche e di vita, raccontarvele, condividerle, è stato quanto di più grande potessi immaginare. Non mi sono mai sentito lontano da casa, e l’ho capito perché voi siete stati la mia famiglia, i miei piccoli amici, il mio perché e se hai un perché, nella vita, puoi superare ogni come. Non importa come e dove eserciterò questo mestiere, mi importa solo e soltanto di poter condividere il vostro sguardo, di poter essere per voi un maestro di vita, farvi assaporare Dante, Manzoni, farvi capire quanto quei grandi poeti hanno pianto proprio come stiamo facendo noi, farvi capire come la scuola può essere un momento fatto non soltanto di interrogazioni, verifiche e note disciplinari, ma di esperienze, di fuoco, sangue, Vita.
Adesso non ho più dubbi sul mio futuro, e lo devo a voi, alle vostre domande, a quanto mi avete fatto urlare, a quanto mi avete fatto sorridere, a quanto mi state facendo piangere; non ho dubbi sul fatto che voglio dedicare la mia vita a voi, perché questo mestiere è una vocazione, perché ha un non so che di mistico, di sovraumano, un qualcosa che cambia ogni giorno, perché è materiale umano quello che hai davanti e che come tale può cambiare di ora in ora, un qualcosa che ti proietta in una dimensione altra, che mi ha dato la sensazione non solo di essere vivo, ma di essere più vivo, di travalicare le normali barriere dell’esistenza per portarmi a contatto con l’eternità, con l’immensità. Ho trovato, grazie a voi, qualcosa di più grande per cui vivere, un qualcosa che ha un timbro, una musica inconfondibili, una voce che viene da lontano, dal profondo, una luce verso cui non smetterò mai di camminare. Ho trovato una speranza per cui vivere, una meta, un fondamento autentico per colorare la mia vita, e l’ho fatto spiegandovi cosa è la poesia, spiegandovi l’analisi grammaticale, provando a consolarvi dopo una nota disciplinare, dopo un brutto voto, provando a darvi la forza per affrontare due o tre interrogazioni in un giorno. Mi chiedo ancora se questo è il mio mestiere? Non è più una domanda, è una certezza la mia, e lo devo ai vostri piccoli-grandi cuori, ai vostri sguardi ingenui di bambini di una piccola scuola di un piccolo paesino, occhi all’interno dei quali ho scorto l’immensità».
Articoli correlati
Conversazione sulla scuola/1 – di Mauro Buscemi
Conversazione sulla scuola/2 – di Cinzia Billa
Conversazione sulla scuola/3 – di Giuseppe Lupo
Conversazione sulla scuola/5 – di Paolo Minà
Conversazione sulla scuola/6 – di Francesco Inguanti
Conversazione sulla scuola/7 – di Mario Tamburino
Conversazione sulla scuola/8 – di Mario Tamburino
Conversazione sulla scuola/9 – di Francesco Inguanti
Conversazione sulla scuola/10 – di Diana Cammareri
Conversazione sulla scuola/11 – di Chiara Giacopelli