(4 marzo 2015) – A conclusione del convegno “LIBERA… mente per i giovani”, o della libertà d’educazione svoltosi il 27 febbraio al Teatro Ranchibile (qui il racconto di Giuseppe Lupo), abbiamo rivolto a mons. Michele Pennisi alcune domande sulla scuola in generale e la scuola cattolica in particolare.
Mons. Pennisi, nel suo intervento al convegno ha sostenuto che la Scuola Cattolica non è un problema. Perché?
Ho voluto ribadire innanzitutto l'importanza di una presenza che non è, come qualcuno vorrebbe far credere, un problema, ma una preziosa risorsa e contributo insostituibile al bene comune e alla convivenza civile del nostro Paese.
Da dove trae questo giudizio?
Dalla nota pastorale della Cei “La scuola cattolica risorsa educativa della Chiesa locale per la società” elaborata dalla Commissione Episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università, di cui faccio parte, pubblicata la scorsa estate, che interviene sul tema con un approfondimento di contenuti.
Di quali contenuti si tratta?
La nota si rivolge per prima cosa all’esistente, a partire dalle dinamiche di tutta la scuola italiana, all’interno del sistema pubblico integrato, caratterizzato dal processo dell’autonomia, che, dice, «non si può ancora ritenere compiuto» e dalla legge sulla parità scolastica, introdotta nel 2000 con la legge 62, che ancora deve diventare effettiva per dare efficacia alla libertà di scelta educativa delle famiglie. Ribadisce che «nelle scuole cattoliche si realizza una parte importante e irrinunciabile della missione stessa della Chiesa».
E poi?
Successivamente il documento si rivolge alla scuola cattolica nelle sue ragioni e nel suo valore, con l’indicazione di quella che deve essere «l’identità della scuola cattolica e i suoi tratti caratteristici». Questa identità «deve essere presente e chiaramente pensata nelle menti di coloro che vi operano; esplicitamente dichiarata nei documenti ufficiali; condivisa e partecipata con le famiglie che la scelgono; concretamente realizzata e tradotta nelle normali attività educative e nei contenuti disciplinari che quotidianamente vengono proposti; costantemente testimoniata dagli operatori della scuola;assiduamente valutata e verificata». Ma vi è una terza parte ancora più importante.
E cosa dice?
Affronta gli «orientamenti pastorali» che conseguono. In essa si afferma che la scuola cattolica deve essere «sempre considerata uno dei luoghi privilegiati nei quali la comunità cristiana è messa nella condizione di testimoniare il proprio nativo impegno a favore della persona umana cercando l’incontro con le giovani generazioni e in cordiale collaborazione con i genitori, primi interessati all’educazione dei figli».
Chi sono gli interlocutori cui si rivolge?
Rivolge «un’attenzione pastorale» ai genitori e alle Congregazioni o istituti religiosi che gestiscono scuole all’interno della diocesi e agli insegnanti, che sono «senza dubbio i principali operatori della scuola» e sulla formazione. Vengono, inoltre, esplicitate alcune caratteristiche del “fare scuola” da parte della comunità cristiana: la valorizzazione della diverse scuole statali e non statali presenti nel territorio; il rapporto con la Chiesa locale e l’«inserimento organico delle scuole cattoliche nella pastorale diocesana» per un progetto educativo evangelicamente ispirato; l’attenzione verso i più deboli, il sostegno alla formazione professionale.
Nel suo intervento ha pure citato l’evento del 10 maggio dello scorso anno, l’incontro in piazza san Pietro col papa. Perché?
Perché in quella occasione Papa Francesco ha invitato tutti ad amare la scuola tout court. Su questa scia il documento si rivolge «al bene di tutto il Paese e prende in considerazione tutti gli alunni che in Italia frequentano la scuola italiana di qualsiasi ordine e grado e quale che ne sia il gestore, per il semplice fatto che la cura pastorale della Chiesa è per sua natura rivolta a tutti indistintamente i giovani, nei quali essa ravvisa il proprio futuro inscindibilmente legato a quello dell’Italia».
Lei ha parlato anche di “buona scuola”, come Matteo Renzi, ma in che senso?
La “buona scuola”, prima ancora che un progetto politico, è un diritto umano fondamentale che deve essere garantito a tutti e assolto non perché una scuola si qualifica “statale” o “paritaria”, ma perché è “buona”, cioè eroga un servizio di qualità.
E questo come si pone nei confronti della libertà di scelta educativa?
La libertà di scelta educativa” è una “condizione” di fondo che, oltre a garantire l’esercizio di un diritto umano fondamentale, promuove e stimola un processo innovativo dell’intero sistema di istruzione e formazione stabilendo tra la scuola statale e paritaria una sana emulazione, un positivo confronto, una costruttiva collaborazione nell’interesse generale e prioritario degli alunni e delle loro famiglie.
E qual è il rapporto tra scuola cattolica e comunità cristiana?
La scuola cattolica deve essere sempre di più considerata uno dei luoghi privilegiati nei quali la comunità cristiana è messa nella condizione di testimoniare il proprio nativo impegno in favore della persona umana e alla sua educazione ad una libertà responsabile non solo morale, ma anche civile nell’ottica della promozione del bene comune. Non dimentichiamo che Papa Francesco nella Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, ha affermato che «le scuole cattoliche, che cercano sempre di coniugare il compito educativo con l’annuncio esplicito del Vangelo, costituiscono un contributo molto valido all’evangelizzazione della cultura, anche nei Paesi e nelle città dove una situazione avversa ci stimola ad usare la creatività per trovare i percorsi adeguati»
Ma la scuola cattolica non è presa in grande considerazione neppure dagli stessi cattolici?
Sì, è vero, ma perché non viene considerata una vera risorsa della Chiesa locale, ma spesso più come un fattore accessorio o una pesante incombenza gestionale.La Chiesa tutta deve arrivare a considerare la scuola cattolica strumento di educazione alla vita buona del vangelo essenziale per il suo inserimento nel territorio, per il contatto con le famiglie e le nuove generazioni.
(4 marzo 2015) – A conclusione del convegno “LIBERA… mente per i giovani”, o della libertà d’educazione svoltosi il 27 febbraio al Teatro Ranchibile (qui il racconto di Giuseppe Lupo), abbiamo rivolto a mons. Michele Pennisi alcune domande sulla scuola in generale e la scuola cattolica in particolare.
Mons. Pennisi, nel suo intervento al convegno ha sostenuto che la Scuola Cattolica non è un problema. Perché?
Ho voluto ribadire innanzitutto l'importanza di una presenza che non è, come qualcuno vorrebbe far credere, un problema, ma una preziosa risorsa e contributo insostituibile al bene comune e alla convivenza civile del nostro Paese.
Da dove trae questo giudizio?
Dalla nota pastorale della Cei “La scuola cattolica risorsa educativa della Chiesa locale per la società” elaborata dalla Commissione Episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università, di cui faccio parte, pubblicata la scorsa estate, che interviene sul tema con un approfondimento di contenuti.
Di quali contenuti si tratta?
La nota si rivolge per prima cosa all’esistente, a partire dalle dinamiche di tutta la scuola italiana, all’interno del sistema pubblico integrato, caratterizzato dal processo dell’autonomia, che, dice, «non si può ancora ritenere compiuto» e dalla legge sulla parità scolastica, introdotta nel 2000 con la legge 62, che ancora deve diventare effettiva per dare efficacia alla libertà di scelta educativa delle famiglie. Ribadisce che «nelle scuole cattoliche si realizza una parte importante e irrinunciabile della missione stessa della Chiesa».
E poi?
Successivamente il documento si rivolge alla scuola cattolica nelle sue ragioni e nel suo valore, con l’indicazione di quella che deve essere «l’identità della scuola cattolica e i suoi tratti caratteristici». Questa identità «deve essere presente e chiaramente pensata nelle menti di coloro che vi operano; esplicitamente dichiarata nei documenti ufficiali; condivisa e partecipata con le famiglie che la scelgono; concretamente realizzata e tradotta nelle normali attività educative e nei contenuti disciplinari che quotidianamente vengono proposti; costantemente testimoniata dagli operatori della scuola;assiduamente valutata e verificata». Ma vi è una terza parte ancora più importante.
E cosa dice?
Affronta gli «orientamenti pastorali» che conseguono. In essa si afferma che la scuola cattolica deve essere «sempre considerata uno dei luoghi privilegiati nei quali la comunità cristiana è messa nella condizione di testimoniare il proprio nativo impegno a favore della persona umana cercando l’incontro con le giovani generazioni e in cordiale collaborazione con i genitori, primi interessati all’educazione dei figli».
Chi sono gli interlocutori cui si rivolge?
Rivolge «un’attenzione pastorale» ai genitori e alle Congregazioni o istituti religiosi che gestiscono scuole all’interno della diocesi e agli insegnanti, che sono «senza dubbio i principali operatori della scuola» e sulla formazione. Vengono, inoltre, esplicitate alcune caratteristiche del “fare scuola” da parte della comunità cristiana: la valorizzazione della diverse scuole statali e non statali presenti nel territorio; il rapporto con la Chiesa locale e l’«inserimento organico delle scuole cattoliche nella pastorale diocesana» per un progetto educativo evangelicamente ispirato; l’attenzione verso i più deboli, il sostegno alla formazione professionale.
Nel suo intervento ha pure citato l’evento del 10 maggio dello scorso anno, l’incontro in piazza san Pietro col papa. Perché?
Perché in quella occasione Papa Francesco ha invitato tutti ad amare la scuola tout court. Su questa scia il documento si rivolge «al bene di tutto il Paese e prende in considerazione tutti gli alunni che in Italia frequentano la scuola italiana di qualsiasi ordine e grado e quale che ne sia il gestore, per il semplice fatto che la cura pastorale della Chiesa è per sua natura rivolta a tutti indistintamente i giovani, nei quali essa ravvisa il proprio futuro inscindibilmente legato a quello dell’Italia».
Lei ha parlato anche di “buona scuola”, come Matteo Renzi, ma in che senso?
La “buona scuola”, prima ancora che un progetto politico, è un diritto umano fondamentale che deve essere garantito a tutti e assolto non perché una scuola si qualifica “statale” o “paritaria”, ma perché è “buona”, cioè eroga un servizio di qualità.
E questo come si pone nei confronti della libertà di scelta educativa?
La libertà di scelta educativa” è una “condizione” di fondo che, oltre a garantire l’esercizio di un diritto umano fondamentale, promuove e stimola un processo innovativo dell’intero sistema di istruzione e formazione stabilendo tra la scuola statale e paritaria una sana emulazione, un positivo confronto, una costruttiva collaborazione nell’interesse generale e prioritario degli alunni e delle loro famiglie.
E qual è il rapporto tra scuola cattolica e comunità cristiana?
La scuola cattolica deve essere sempre di più considerata uno dei luoghi privilegiati nei quali la comunità cristiana è messa nella condizione di testimoniare il proprio nativo impegno in favore della persona umana e alla sua educazione ad una libertà responsabile non solo morale, ma anche civile nell’ottica della promozione del bene comune. Non dimentichiamo che Papa Francesco nella Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, ha affermato che «le scuole cattoliche, che cercano sempre di coniugare il compito educativo con l’annuncio esplicito del Vangelo, costituiscono un contributo molto valido all’evangelizzazione della cultura, anche nei Paesi e nelle città dove una situazione avversa ci stimola ad usare la creatività per trovare i percorsi adeguati»
Ma la scuola cattolica non è presa in grande considerazione neppure dagli stessi cattolici?
Sì, è vero, ma perché non viene considerata una vera risorsa della Chiesa locale, ma spesso più come un fattore accessorio o una pesante incombenza gestionale.La Chiesa tutta deve arrivare a considerare la scuola cattolica strumento di educazione alla vita buona del vangelo essenziale per il suo inserimento nel territorio, per il contatto con le famiglie e le nuove generazioni.
Quali caratteristiche e quale identità deve avere la scuola cattolica?
Di fronte ai nuovi scenari della nostra società, che richiedono capacità critica, fantasia creativa e solidi criteri di orientamento, la scuola, ha l’impegnativo compito di formare l’identità delle nuove generazioni per essere in grado di affrontare responsabilmente il mare aperto della post-modernità. La scuola cattolica “che attinge alla sorgente dell’antropologia cristiana e dei valori portanti del Vangelo, può dare un contributo originale e significativo ai ragazzi e ai giovani, alle famiglie e all’intera società, accompagnando tutti in un processo di crescita umana e cristiana”.
Ma tutti pensano che la scuola cattolica non è neutra, come invece è la scuola statale.
Meglio citare quanto ha detto il Papa nell’incontro del 10 maggio. «L’educazione – ha affermato – non può essere neutra. O è positiva o è negativa; o arricchisce o impoverisce; o fa crescere la persona o la deprime, persino può corromperla». Prima di chiederci come le scuole cattoliche debbano svolgere il loro servizio, è importante che ci chiediamo perché esse devono esistere.
E qual è la risposta della Chiesa italiana?
Ecco l’identikit della scuola cattolica tracciato dalla nota pastorale della Cei. “Le scuole cattoliche definiscono la loro identità a partire da un progetto educativo che ne precisa l’ispirazione culturale di fondo e la specifica visione della vita, della persona e dell’educazione, avendo cura che l’istruzione da esse impartita garantisca almeno lo stesso livello qualitativo delle altre scuole. I tratti essenziali possono essere così definiti: l’originalità della proposta culturale; la connotazione ecclesiale e le sue implicazioni pastorali; la connotazione comunitaria; Il significato sociale e civile.
Molti però ritengono che la scuola cattolica sia nemica del pluralismo. Cosa risponde?
Con la sua presenza, essa è espressione di un diritto della persona e offre un contributo prezioso alla realizzazione di un vero pluralismo. Non si educa se non nella libertà e solo la presenza di più modelli scolastici consente di realizzare questo diritto fondamentale. L’esistenza della scuola cattolica perciò, in quanto «espressione del diritto di tutti i cittadini alla libertà di educazione, e del corrispondente dovere di solidarietà nella costruzione della convivenza civile», non è interesse della sola comunità ecclesiale ma di tutta la società civile. La possibilità stessa di frequentare una scuola nata per la libera iniziativa di fedeli laici o consacrati testimonia uno spazio di libertà che è fondamentale in ambito educativo, perché è noto che non si può educare se non nella libertà e al fine di promuovere la libertà, cioè la crescita personale, di ognuno.
Ma la convinzione dominante è che la scuola cattolica sia una scuola per i cattolici?
La scuola cattolica ha sviluppato una propria visione interculturale della società, considerando ricchezza la differenza culturale e proponendo quante più possibili vie di incontro e di dialogo. La presenza stessa al suo interno di alunni appartenenti a culture e a religioni diverse deve comportare «un vero cambiamento di paradigma a livello pedagogico» e favorire il passaggio «dall’integrazione alla ricerca della convivialità delle differenze», sforzandosi di armonizzare identità e accoglienza senza cadute nell’ambiguità.
Quindi non è una scuola confessionale?
In questo caso si tratta anche di superare qualche diffuso pregiudizio. La scuola cattolica non è propriamente parlando un’istituzione educativa confessionale, poiché essa si pone per suo statuto al servizio di tutti e accoglie tutti, con l’obiettivo primario di curare l’educazione della persona e promuoverne la crescita libera e umanamente completa. L’adesione al progetto educativo della scuola cattolica – come previsto espressamente dalla legislazione statale – non potrà mai essere pertanto motivo di esclusione per alcuno o ostacolo all’accoglienza di chi guarda ad essa con simpatia. Al contrario, dialogo e apertura saranno regola fondamentale dei rapporti tra e con gli alunni e tra e con le famiglie che vengono a farne parte, quali che siano le loro appartenenze culturali e religiose, se è vero– come è vero – che la Chiesa anche attraverso la scuola cattolica testimonia la propria capacità di accoglienza e servizio disinteressato.
È notizia di questi giorni che 5400 ragazzi fra i 14 e i 15 anni non sono messi in grado di frequentare la scuola dell’obbligo.
Voglio ricordare il comunicato finale della sessione primaverile della Conferenza Episcopale Siciliana del 2014 nel quale i vescovi delle Sicilia" hanno espresso la loro preoccupazione per i ritardi nell’avviare i Percorsi OIF (= obbligo istruzione e formazione) servizio di interesse pubblico che non può essere interrotto. Si tratta di un canale alternativo alla scuola che assolve i compiti previsti dalla normativa ministeriale in materia Istruzione e Formazione Professionale, strumento educativo e formativo per i minori che intendono assolvere l’obbligo di istruzione nella Formazione Professionale con la peculiare metodologia laboratoriale. Per evitare la dispersione scolastica e impedire di favorire che questi giovani diventino manovalanza di organizzazioni criminali è fondamentale garantire, l’attuazione del diritto-dovere all’istruzione assolvendo l’obbligo di istruzione. Ci auguriamo che finisca questo palleggio di responsabilità fra Ministero e regione Siciliana.
Lei ha concluso il suo intervento citando Luigi Sturzo.
“Finché gli italiani – scriveva don Luigi Sturzo con vigore profetico nel 1947 tornato dall’esilio – non vinceranno la battaglia delle libertà scolastiche in tutti i gradi e per tutte le forme, resteranno sempre servi: servi dello stato (sia democratico o fascista o comunista), servi del partito (quale ne sia il colore), servi di tutti, perché non avranno respirato la libertà, – la vera libertà che fa padroni di sé stessi e rispettosi e tolleranti degli altri, – fin dai banchi di scuola, di una scuola veramente libera”. Sturzo chiedeva la libertà per le scuole non statali ma anche per la scuola statale sottraendola alla burocrazia centralizzatrice, consapevoli che solo la libertà costituiva il termometro di ogni democrazia.
Qual era la scuola che immaginava Sturzo?
Sturzo sognava una scuola vera, libera, gioiosa, piena di entusiasmi giovanili, sviluppata in un ambiente adatto, con insegnanti impegnati alla nobile funzione di educatori, che non può germogliare nell’atmosfera pesante creata dal monopolio burocratico statale. Nel 1959 alcuni mesi prima della morte in un Appello ai Siciliani scriveva che per un autentico progresso civile ed economico della Sicilia bisognava puntare su “scuole serie, scuole importanti, scuole numerose, scuole che insegnano anche senza dare diplomi, al posto di scuole che danno diplomi e certificati fasulli a ragazzi senza cultura”.
E oggi?
Don Luigi Sturzo voleva spingere la scuola italiana verso una riforma attuata nella maggior parte dei paesi civili basata sulla libertà di insegnamento e sulla parità fra le scuole statali e quelle non statali, realizzata in Italia sulla carta con la legge n.62 del 2000, ma che ancora deve trovare completa e pratica attuazione nei fatti.