(16 novembre 2013) – Mercoledì 13 novembre, su iniziativa del Centro Culturale Il Sentiero, si è svolta presso la Chiesa della Madonna di Monte Oliveto una conversazione intorno alla Lumen Fidei con Massimo Naro. A tema l'enciclica ma anche gli ultimi grandi eventi della vita della Chiesa e il rapporto dei cristiani con il mondo.
Un anno alla luce della fede: un titolo pieno di rimandi, nessuno dei quali lasciato cadere, per la conversazione proposta dal Centro Culturale Il Sentiero mercoledì scorso presso la Chiesa della Madonna di Monte Oliveto. Il punto focale è stato «la prima enciclica di Papa Francesco e l'ultima di Benedetto XVI», ma le domande che hanno fatto da traccia alla conversazione hanno toccato anche l'evento della rinuncia di Benedetto XVI, con la contestuale elezione di Francesco, e il rapporto dei cristiani con il mondo.
Un tentativo di drammatizzare l'enciclica, o meglio, di verificare se e in che modo la fede illumina i fatti che hanno riguardato tutti e le questioni che si aprono ad uno sguardo non sopito sulla propria esperienza credente. L'ospite è stato alla proposta abbracciando in pieno la sfida: Massimo Naro si è lasciato interrogare dalle domande mostrando un cuore che si confronta con tutto (filosofia, teologia, storia, arte, letteratura) e una libertà che non si sottrae all'avventura dell'interpretazione, correndone anche i rischi.
La prima sollecitazione è venuta da una frase di una lettera di Nietzsche alla sorella Elisabeth riportata nella stessa enciclica: «A questo punto si separano le vie dell’umanità: se vuoi raggiungere la pace dell’anima e la felicità, abbi pur fede, ma se vuoi essere un discepolo della verità, allora indaga». Come paragonarsi con questo giudizio nietzschiano che vede la fede come una luce illusoria, puramente consolatoria? La risposta si è dipanata come un intreccio dai molti fili. Ci limitiamo a seguire quello principale, dispiegatosi attraverso un confronto, per ovvi motivi sintetico ma ricco e personalissimo, con la storia del pensiero occidentale: il pensiero cristiano con Agostino vede i rapporti tra fede e ragione come un «reciproco innesto»: non si dà fede senza intelligenza né intelligenza senza fede. Nella formula latina, credo ut intelligam; intelligo ut credam. Tommaso, secondo Naro, «ritocca» Agostino restando con lui in una concordia fondamentale: tra ragione e fede c'è reciproca autonomia ma stretta compagnia. L'ut della prima formula diventa un et all'interno di una sostanziale continuità. Nella modernità questa reciprocità si rompe: l'ut-et diventa aut aut. O fede o ragione.
L'enciclica ripropone la fede come ciò che la ragione moderna presume non sia: luce (efficace) per illuminare la vita. E questo non per partito preso, ma in un lavoro sul campo: la fede risponde infatti ai deficit della moderna ragione autonoma; e questo non contro ma per lei (e per tutti). La fede, infatti, consiste propriamente in un «essere visti» – quello che è accaduto al peccatore pubblico Zaccheo – che permette finalmente di guardare se stessi e gli altri senza misurare ma abbracciando e valorizzando. Al punto da far dire a Naro che il respiro dell'agnostico Pirandello nella sua “lanterninosofia” è lo stesso di quello di un credente come Newman.
Seconda sollecitazione sui fatti relativi alla rinuncia di Benedetto e l'elezione di Francesco. Qui la risposta si avventura in una breve rilettura della storia del pontificato del '900, mostrando come sia una costante dell'ultimo secolo che il pontefice precedente apra la strada al suo successore in una continuità che va al di là delle stesse intenzioni manifeste. Questa la lettura di Naro anche a proposito di Benedetto XVI e Francesco: tra i due una forte continuità magisteriale, incentrata su quello che Naro considera il cuore del pontificato benedettino: la verità come relazione. Al di là di tutto questo, tuttavia, uno solo è il vero collegamento, e il massimo possibile: quello del «grande solco della vita ecclesiale», che non è costituito da affinità, corrispondenze o capacità, ma si fonda sul fatto che «siamo tutti graziati». Il cristianesimo è non ideale, non ideologia, ma una storia da cui nessuno «si può distillare».
Ultima sollecitazione a partire dal Quarto capitolo dell'enciclica: come leggere l'affermazione che la fede offre un servizio al bene comune? La risposta non può fare a meno di tornare alla sostanza della fede: essa è il frutto di un essere guardati e amati e in forza di questo è e può essere uno sguardo sul mondo. Essa viene dall'amore e «l'amore rende chiaroveggenti». Il mondo è penultimo, questa la certezza del credente; ma la presenza di Dio nel mondo nel volto dell'altro è ultima, ha valore definitivo. Servire questa presenza è l'inizio del Paradiso.