Maria Teresa Santalucia Scibona, Le rotte del vento (Los rumbos del viento), Prefazione di Renzo Montagnoli, Versione in spagnolo di Emilio Coco, Raffaelli Editore, Rimini 2014
I poeti hanno il privilegio di parlare alle anime, che li ascoltano quale che sia il timbro della loro voce, se alto o basso, sonoro o tenue. Maria Teresa Santalucia Scibona da decenni cattura le anime più sensibili col richiamo irresistibile del suono leggero delle sue parole ritmate.
Giunta alla sua ennesima silloge, Le rotte del vento edita da Raffaelli, l’autrice senese molto legata alla Sicilia ribadisce la sua poetica aliena alle tonalità squillanti e alle metafore ardite. Con versi apparentemente semplici frutti di una felice assimilazione della liricità classica, Maria Teresa Santalucia Scibona, nel pieno della sua maturità stilistica, continua il suo discorso poetico ispirato prevalentemente da una profonda religiosità accompagnata da tensione etica.
Nelle poesie de Le rotte del vento, infatti, seppure mai invocato né esplicitamente richiamato, Dio è sempre presente. Lo si coglie nella natura rigogliosa e prospera espressione della «perfezione del creato», come nota Renzo Montagnoli nella sua sapiente prefazione. Si pensi, ad esempio, ai versi brevi resi ancor più melodiosi dai reiterati enjambement, di Sinfonia agreste, una sorta di “pastorale” autentico inno alla natura: «Sotto lo sguardo ardito/ dei papaveri, ballavano/ le margherite, scuotendo/ il giallo capolino al ritmo/ sonoro del vento che aveva/ imbastito l’allegra serenata,/ per farle innamorare». Quella natura accattivante nella sua maestosa e policroma magnificenza a cui è lieto abbandonarsi, come ne Il gabbiano peregrino: «Nel tramonto ramato/ non v’era alcuno, oltre me/ nella silente solitudine./ Cresceva il desiderio di calarmi/ fra gli spazi votivi dell’anima,/ per godere con lo stupore/ del bimbo, l’incanto del creato». Quella natura di cui viene cantata la forza e a cui i frutti della terra oppongono una caparbia resistenza: «L’ulivo contorto innestato/ nell’armoniosa terra,/ non si spezza, si torce/ al fiato spietato del vento».
Anche gli uomini, nella vanità delle loro brame e nell’effimero dei loro piaceri, sono fuscelli (“canne al vento” si direbbe pensando a Pascal) in balia della potenza di una natura imperscrutabile: «Ospiti di scarsi giorni/ anche noi corrucciati/ bramosi gaudenti/ di terrene delizie/ navighiamo a vista/ eludendo ignari/ le rotte del vento». E persino la loro sofferenza è testimonianza della presenza divina, non perché il Dio in cui tenacemente crede la Santalucia Scibona sia un Dio punitivo, ma per una misteriosa e a volte estrema prova d’amore: «Il dolore mi aggredisce, / scortica la carne/ con unghie di tigre. / Esclusa dalla vita/ intravedo un timido bagliore,/ uno spiraglio di luce./ Memore del conforto,/ supplico che tale rugiada/ non evapori e sempre/ sia fonte di letizia».
La Santalucia Scibona ha conosciuto e conosce l’asprezza del dolore fisico, ma se l’incanto delle parole che si sublimano nella poesia leniscono le sofferenze («Le trame infinite dei versi/ rifugio esclusivo dell’anima/ che rinfrancata respira, sono paglia e foraggio/ per la letizia dei tribolati»), è la fede l’ancora di salvezza, l’approdo sicuro, il nutrimento sostanzioso dell’anima. E la fede, in lei salda quanto lancinante è lo strazio fisico, genera e moltiplica l’amore: «Finalmente,/ la diga elettrizzante/ del mio amore ha invaso/ lo spazio vuoto/ della tua esistenza». Come pure ne fortifica, «farcita di adrenalina pura», la volontà di far sentire la propria voce, limpida e forte, nel travaglio dell’umanità smarrita («niente è come si vorrebbe./ Il vascello sfasciato/ scivola negli irosi flutti»), con l’orgoglio di conservare, pur nella debolezza e tribolazione del proprio involucro corporale, la dignità morale: «Sebbene ingabbiata/ in larva ambulante, /ogni singolo istante/ resto fedele/ ai miei principi».
A riprova del rilievo del messaggio poetico di Maria Teresa Santalucia Scibona – vibrante ancorché affidato ad una versificazione dalle tonalità soffuse – Le rotte del vento è una silloge bilingue: le poesie possono leggersi in italiano e in spagnolo. La versione in spagnolo è di Emilio Coco.