“Nobiles Officinae”: a Erice l’antica tecnica di produzione del santino a teatrino

 

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(22 gennaio 2015) – “De l’ombroso Pelasgo Erice in vetta esterna ride ivi Afrodite e impera e freme tutto amor la benedetta da lei costiera”: così Giosuè Carducci in “Primavere elleniche” parla delle antiche e mitologiche origini di Erice, borgo medievale in provincia di Trapani che conserva pressoché immutata l’originale configurazione urbana e l’antico assetto viario; e proprio questa citazione è posta all’ingresso del laboratorio Nobiles Officinae che, lungo la centrale via Guarrasi, durante il periodo natalizio ha realizzato ed esposto al pubblico un grande presepe su due ampie corsie popolato da numerose costruzioni artigianali e da una moltitudine di personaggi tutti realizzati a mano con la tecnica della ceroplastica che dona particolare realismo e vitalità all’impianto scenografico.

Ad accogliere il pubblico è Jeamy Callari che spiega la tecnica utilizzata per la costruzione del presepe e i particolari artistici legati ad essa.

Ma l’amore per le tradizioni storiche e la passione per l’arte ha fatto in modo che “Nobiles Officinae”, costituito dal Maestro Callari e da Roberta Fontana, riscoprisse un’altra antica tecnica produttiva legata ad un oggetto che vanta numerosi collezionisti in tutto il mondo, stiamo parlando del santino, in particolare quello tridimensionale o “a teatrino”. Esso nasce dall’intuizione di riprodurre i volti di Maria e dei Santi in piccole icone, prodotte in numerose arcaiche varianti sin dal V secolo fino a tutto il Medioevo.

Il santino è uno degli oggetti che da diversi secoli viene stampato in tutto il versante europeo e nella sua storia è possibile ripercorrere per intero l’evoluzione stessa della stampa; sin dai primi anni del Quattrocento ogni innovazione tecnica investe proprio la produzione delle immaginette religiose la cui continua distribuzione nei luoghi sacri ha consentito di tramandarne la tradizione fino ai giorni nostri, generando una cospicua branca del mondo del collezionismo cartaceo denominata filiconia.

Nel corso dei secoli che ci distanziano dall’invenzione della stampa a caratteri mobili, venne utilizzata prevalentemente la tecnica xilografica, tramite la quale le immagini sacre erano stampate con matrici in legno, e la tecnica incisoria su lastre di rame; nel Seicento sono particolarmente attive le tipografie francesi e spagnole che, mediante il sapiente uso della metodologia dell’acquaforte riescono a donare alle icone particolare realismo pittorico.

Il Settecento è l’epoca delle immagini denominate “canivet”, dal nome dello strumento, chiamato “canif”, adibito al taglio della pergamena ed alla sua sagomatura; nasce così la tipologia di “santino a merletto”.

Negli anni a seguire sarà la Chiesa ad appropriarsi dell’esclusività della produzione delle immagini sacre che saranno adesso stampate non più su pergamena ma sulla carta, avranno dimensioni ridotte e tendenzialmente non saranno più manufatti prodotti in esemplari unici, come quelli creati nei monasteri, ma stampati su larga scala con i più moderni mezzi tipografici: celebri e preziose sono le stampe avvenute presso gli editori francesi Bouasse-Lebel e Maison Basset o la torinese Leonardi.

A metà dell’Ottocento il Canivet diventa un prodotto esclusivamente industriale e viene creato in serie ed in forme sempre più raffinate ed elaborate, assumendo la denominazione di “canivet meccanico”; con la tecnica della cromolitografia, finalmente, i santini si arricchiranno del colore che, impresso con appositi inchiostri su una lastra di pietra levigata, donerà nuova vitalità e lucentezza alle immagini e ne decreteranno il successo fino ad oggi.

Ed è proprio la cromolitografia la tecnica riscoperta da “Nobiles Officinae” che ne hanno studiato la storia, le caratteristiche tecniche e ne riproducono la stampa utilizzando gli antichi cliché. I santini prodotti, spiega Callari, sono della tipologia “a teatrino” e non ne vengono stampati dagli anni ’20 del secolo scorso: hanno una struttura costituita da due o più strati di cartoncino di altezza crescente posti uno davanti all’altro, creando un senso di profondità e di dinamicità all’interno di immaginarie piccole quinte teatrali.

La tridimensionalità è donata dai bordi che non sono rettilinei ma sagomati e dalla superficie cartacea che non è piatta, come l’antica produzione italiana e francese, ma a rilievo secondo la tradizione tedesca.

La spiegazione della tecnica cromolitografica dell’artista, conosciuto come “Il Gangino” per le sue origini madonite, si arricchisce della descrizione della sua collezione personale composta da circa 110.000 santini, che vanta esemplari stampati nel 1887, e che è stata oggetto della tesi di Laurea conseguita presso l’Accademia delle Belle Arti di Palermo.

Parte della collezione è stata esposta in seno alla mostra “Videmus nunc per speculum” ma presso la bottega “Nobiles Officinae” sono tanti gli esemplari che è possibile ammirare, tutti variopinti ed elegantemente decorati e tante sono le storie legate all’affascinante quanto poco conosciuto mondo della realizzazione e del collezionismo del santino, in cui è possibile ripercorrere per intero l’evoluzione della stampa stessa.


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(ph. Carlo Guidotti)


 

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