(24 maggio 2013) – Ancora il 24 maggio 1943, nel momento cruciale dell’attacco aereo alla Sicilia, l’Impresa di Costruzioni “Antonio De Vecchi” – incaricata di realizzare alcuni rifugi antiaerei nella città dei templi – comunicava al prefetto di Agrigento e al commissario del Comune l’impossibilità di continuare i lavori ed eseguirli nei tempi stabiliti dal contratto: le scorte di legname della ditta si erano esaurite; il cemento, pagato in anticipo, non era stato consegnato; gli operai, precettati dalle autorità militari, erano stati costretti ad abbandonare il lavoro; l’impresa declinava ogni responsabilità per cause non dipendenti dalla propria volontà. Questa lettera, conservata nell’Archivio Storico Comunale di Agrigento, testimonia non soltanto la gravità della situazione e la difficoltà di reperire maestranze e materiali, ma è indicativa dell’approssimazione organizzativa con cui il Paese affrontò la guerra. Non mancò soltanto la strategia militare, vi fu anche un’improvvisazione logistica, sanitaria, alimentare che espose la popolazione agli effetti collaterali del conflitto senza un’adeguata protezione.
Si attese l’inizio della guerra per obbligare, nel 1940, i proprietari di immobili ad approntare “rifugi casalinghi antiaerei” sgombrando i locali sotterranei, le cantine e gli scantinati. Soltanto il 19 dicembre 1941 la Direzione Generale dei Servizi per la Protezione Antiaerea del Ministero degli Interni emanò la circolare numero 154 che elencava le tipologie di spesa consentite alle Prefetture per garantire la sicurezza antiaerea. Con la circolare numero 253 del 1942, poi, si comunicò ai prefetti la procedura per la costruzione, il collaudo e la manutenzione dei ricoveri pubblici. Le esigenze della burocrazia non tenevano in nessun conto la straordinarietà del momento: la circolare, infatti, imponeva che i lavori di esecuzione degli apprestamenti antiaerei non potevano essere iniziati, e la stipulazione dei contratti non poteva avvenire, se non dopo che il Ministero avesse approvato i relativi progetti e concesso il dovuto finanziamento. Intanto le bombe continuavano a distruggere le città e a colpire la popolazione.
La storiografia si è soffermata fino ad oggi sui bombardamenti Alleati e sulle terrificanti conseguenze che essi ebbero, ma non ha tenuto in considerazione la sciagurata superficialità con cui il Regime operò. Il dramma che si alzò dalle macerie della guerra e dal sangue delle vittime civili ebbe nel fascismo un cinico co-autore; non soltanto per la partecipazione alla guerra ma per il modo in cui la guerra fu affrontata.
Ad Agrigento, a Palermo, a Messina si ebbero centinaia di migliaia di vittime civili perché mancavano i rifugi antiaerei o perché quelli esistenti non erano adeguati. Non furono pochi coloro che persero la vita dentro i rifugi, crollati su se stessi perché lo spessore che serviva da copertura in molti ricoveri non era formato da materiale solido ma da materiale friabile che non aveva grandi capacità di resistenza all’urto delle bombe. Eppure ad Agrigento si spesero parecchia centinaia di migliaia delle lire d’allora in lavori di costruzione dei rifugi: dai 60.000,00 del ricovero di piazza Madonna degli Angeli ai 7.000,00 del ricovero di via Mirotta. Sarebbe interessante ricostruire questo flusso di denaro pubblico nel suo tragico itinerario e in rapporto alle vittime e ai danni. Così come sarebbe interessante conoscere l’entità dei compensi trasferiti dal Comune di Agrigento ai privati, per i danni subiti dagli immobili di loro proprietà durante la costruzione dei ricoveri. È tuttavia accertato che tra l’8 e il 16 luglio 1943, quando Agrigento fu sottoposta ad una serie di violentissimi bombardamenti, il piano di costruzione dei rifugi antiaerei predisposto per la città, non era stato ancora completato.
I sopravvissuti ricordarono certamente con rabbia quell’esercitazione di protezione antiaerea svoltasi il 18 aprile 1940 nel campo sportivo del Littorio (oggi stadio comunale Esseneto): alla presenza delle autorità civili e militari della città, delle scolaresche e dei cittadini, i Vigili del Fuoco simularono lo spegnimento di una baracca incendiata, i militari simularono l’esplosione di ordigni chimici, le squadre dell’Unione Nazionale Protezione Antiaerea equipaggiate con tute e maschere antigas simularono interventi di pronto soccorso, l’esercitazione fu burocraticamente archiviata come perfettamente riuscita. Così è se vi pare, avrebbe commentato Pirandello.
Un anno dopo, il 18 aprile 1941, l’ingegnere Giuseppe Fiocchi, incaricato dal podestà di Agrigento, e il signor Capraio Salvatore, cottimista, stipulavano un contratto per la costruzione di numero sedici ricoveri antiaerei da adibirsi per la protezione della popolazione civile. La guerra era già iniziata e l’Italia non riusciva a spezzare le reni alla Grecia.
L’apparenza, ancora una volta, trionfava sulla realtà.
(Foto - Libera Università "Tito Marrone" di Trapani)