(14 dicembre 2014) – Il 13 dicembre, Santa Lucia, non è un giorno come un altro in Sicilia. I bar meno conosciuti accolgono un fervente viavai di occasionali avventori in cerca di arancine, i bar già assiduamente frequentati diventano bolge all’interno dei quali allo scontrino bisogna aggiungere un po’ di pazienza e il numeretto del turno per raggiungere il tanto agognato bancone dove regnano sovrane e incontrastate le prelibate pietanze a base di riso.
Per legittimare l’improvviso spinno collettivo di arancine ci si appella anche a proverbi e tradizioni di dubbia origine, secondo cui chiunque dovesse mangiare farinacei il giorno di Santa Lucia rischierebbe addirittura la vista. L’argomento appassiona e quindi si vede gente affannata a rintracciare i segni per cui la santa avrebbe prescritto una dieta tanto rigorosa.
Poi si arriva finalmente a gustare la propria arancina, e si comprendono tante cose. Si comprende, nel senso che si abbraccia ironicamente tutto il palinsesto scenico, e ci si abbandona al piacere del palato e all’unto delle dita.
Ma il 13 dicembre quest’anno c’è chi ha anche voluto ricordare Santa Lucia con un’attenzione ben maggiore rispetto alle solite interessate menzioni fugaci. Presso la Chiesa di Santa Maria Valverde, uno dei gioielli del Barocco in marmi mischi di Palermo, è partita dalla nicchia riservata alla santa siracusana una “processione della luce”, che ha coinvolto un folto gruppo di bambini del centro storico.
Inoltre rientrando in chiesa i bimbi hanno trovato Mimmo Cuticchio, con la sua prominente barba bianca e la sua candida camicia, pronto ad offrire loro il “cunto su Santa Lucia”. I sipari barocchi e il trompe-l’oeil della chiesa sono stati superati dalla capacità affabulatoria del cantastorie siciliano, che ripercorrendo le vicende della martire siciliana uccisa dal suo pretendente geloso, scalzato da un ben più quotato rivale come Dio, ha incantato il pubblico seduto sulle panche di legno giallo.
Si è partiti da lontano, dal lontano tempo in cui regnava Diocleziano, in cui professarsi cristiani era un’accusa sufficiente per essere uccisi, in cui però già il cristianesimo aveva posto le sue radici. In un’epoca di questo genere, capita che Lucia vada a Catania sulla tomba di Sant’Agata per pregare per la salute della madre. E proprio in quel luogo le venga in apparizione la patrona di Catania. E qui la voce di Cuticchio si assottiglia, sibila quasi e contemporaneamente urla per inscenare il trambusto che circonda Lucia, durante l’apparizione. Ma niente, rimane rapita da ciò che vede. E Agata le preannuncia il miracolo, per cui guarirà la madre di Lucia. Davanti al miracolo, nulla rimane come prima. Così la benestante Lucia, orfana di padre, convince alla madre di donare ai poveri il vasto patrimonio che possiede. Atto che costerà caro alla giovane, perché l’uomo a cui era stata promessa, vedendosi privato della dote e scoprendo la fede di Lucia non solo ricusa il patto matrimoniale, ma la denuncia. Da questo suo atto il martirio della giovane siracusana, che morirà dopo essere stata trafitta alla gola. E qui Cuticchio che armeggia per aria la sua spada di legno a mimare il gesto del soldato romano sulla povera Lucia. Infine Lucia che torna in sogno all’uomo che l’ha denunciata per chiedergli il motivo per cui avesse potuto volerle tanto male e lui che le risponde “i tuoi occhi mi hanno stregato” e quindi Lucia che si strappa gli occhi dalle orbite per porgerli come dono estremo e scempio.
Ma il cunto non finisce qui. E quindi le vicissitudini che hanno costretto la salma della Santa ad essere trasportata da una città all’altra. E infine il miracolo del 13 maggio e la nave carica di furmento. Nave che tratta in salvo da una dragunara (tempesta fatta rivivere da Mimmo Cuticchio nei suoi ampi movimenti delle braccia e calcate lettere soffiate sul microfono), offre il suo carico in segno di gratitudine e riconoscenza alla cittadinanza. Proprio da quel carico di frumento, la nuova ricetta della cuccìa. Da lì, anche a Palermo si festeggia Santa Lucia.