(13 maggio 2015) –I preparativi sono finiti: striscioni, magliette, servizio d’accoglienza, Vigili Urbani, genitori e invitati, sono tutti pronti. Il piazzale dell’Istituto Comprensivo "Leonardo Sciascia" di Camporeale è gremito. Si attendono gli ospiti di quest’anno. Ecco l’autobus in lontananza da cui dopo poco scendono gli 80 studenti dei quattro istituti superiori de L’Aquila in Sicilia per la tradizionale (che però di tradizionale ha ben poco) gita scolastica.
Alle 9.00 in punto si parte: la passeggiata “Accura unni metti i peri…” anche quest’anno porterà i partecipanti dopo un cammino di 7 Km per i campi che circondano Camporeale alla contrada Macellaroto, il luogo in cui il 18 novembre del 1988 fu ucciso in un agguato mafioso il dottore Giuseppe Montalbano, medico condotto del paese. L’iniziativa fa parte degli eventi previsti per la Borsa di Studio “dott. Giuseppe Montalbano” giunta alla VII Edizione, voluta dai familiari per ricordare la figura e l’opera del medico.
Lasciato ben presto il paese ci si inerpica per i viottoli di campagna, tra filari di viti ben curate e spighe di grano in attesa di biondeggiare. L’atmosfera è quella della gita scolastica in un clima di sobrietà, che accompagna i partecipanti. Si parla, si chiede, si spiega, si scherza e si ride, ma nessun comportamento oltre le righe. Gli studenti di Camporeale frequentano la terza media, quelli dell’Aquila hanno qualche anno in più, ma si familiarizza subito.
La prima domanda è: “Ma perché se siete in gita scolastica venite fino a Camporeale per partecipare ad una manifestazione contro la mafia?” Ed ecco svelato il mistero. Studenti e docenti sono in Sicilia da tre giorni e per una precisa scelta preparata e condivisa: non porteranno a casa il ricordo della cappella Palatina o del primo bagno a Mondello, ma degli incontri fatti in alcuni luoghi simbolo della lotta alla mafia.
Si passa così alla seconda: “Quale Sicilia avete incontrato?” Il giudizio è pressoché unanime: abbiamo visto una Sicilia che non conoscevamo e che non pensavamo nemmeno che esisteste. Una Sicilia in positivo, fatta di persone che lavorano, magari in silenzio e nell’anonimato, che contrastano la mafia con i comportamenti di ogni giorno, lontano dai riflettori, ma a contatto la gente.
La strada si inerpica, il paesaggio si addolcisce nelle curve delle colline della zona, finalmente baciate dal primo sole primaverile. Si procede spediti, e senza che gli insegnanti debbano richiamare alcuno all’ordine; sembra quasi che ognuno abbia un compito da svolgere.
C’è anche un altro argomento che unisce: il terremoto. Le ferite di quello de L’Aquila sono ancora aperte, ma quelle del terremoto del Belice non sono ancora tutte rimarginate. Molti dei presenti non erano nati in quel tragico gennaio del 1968, ma le sue conseguenze sono ancora visibili lungo la strada nei ruderi di casolari abbandonati quella notte e mai più abitati. Un’insegnate, pur sotto voce, ammette che anche la mafia esiste a L’Aquila e la vicenda del terremoto l’ha fatta conoscere a tutti. “Ora anche noi dobbiamo prendere coscienza che non è più un problema dei siciliani, ma di tutti ed è bello vedere come voi state reagendo”, conclude.
Dopo due ore di cammino si giunge alla croce che svetta nella vallata e che ricorda quel tragico pomeriggio autunnale del 1988. All’arrivo: panini e acqua fresca per tutti. Poi si passa alle testimonianze.
Quest’anno sono stati invitati Placido Rizzotto, nipote di Placido Rizzotto sindacalista ucciso il 10 marzo 1948 e Antonella Azoti, figlia di Nicolò Azoti sindacalista ucciso il 23 dicembre 1946.
Raccontano la loro storia di parenti cui la mafia ha tolto innanzitutto un congiunto, ma che da questa privazione hanno fatto nascere un impegno che non avrebbero mai assunto in condizioni normali. Attraverso i loro interventi si può ricostruire e trasmettere ai giovani studenti un pezzo significativo della nostra storia del secondo dopoguerra con molti fatti accaduti nei comuni vicini a Camporeale. Si fa memoria più volte del sacrificio dei 36 sindacalisti uccisi dalla mafia nel corso degli anni: solo per tre di loro si celebrarono i processi e per nessuno fu emessa una sentenza di condanna nei confronti dei loro assassini. “Se facciamo tutto quello che facciamo – conclude Valerio Montalbano, l’ultimo figlio del dottore Giuseppe – è anche per ringraziare, attraverso la memoria, tutte queste persone che non sapevano neanche cosa significasse ‘fare l'eroe’, semplicemente vivevano con un desiderio di giustizia e di verità nel proprio cuore”.
L’amplificazione si spegne ed ecco che il silenzio della campagna prende il sopravvento. Nessuna distrazione tra gli studenti, né tra i locali né tra gli invitati. Un’insegnate commenta sotto voce: “Quanta fatica per ottenere il silenzio in classe, quanta attenzioni oggi di fronte all’incontro con persone così significative!”
Gli studenti de L’Aquila vanno via. Li attende un altro incontro in un luogo simbolo: Portella della Ginestra. I rimanenti proseguono. Alla fine la parola agli studenti. “Cosa avete preparato quest’anno - chiede Valerio Montalbano”? Tre studenti vanno al microfono ed esclamano: “Abbiamo una sola domanda: cosa farebbe oggi il dottore Montalbano se fosse vivo?”
Risponde per primo Valerio: “Farebbe quello che ha sempre fatto: il suo lavoro e il suo dovere. Certo avrebbe 90 anni e forse sarebbe in pensione”. Luigi suo fratello aggiunge: “Se potesse sarebbe certamente qui con noi, non per manifestare odio o rancore, ma per condividere il piacere della vita, soprattutto in questo posto dove ha lungamente vissuto ed è morto”. La brevissima testimonianza dei due fratelli fa comprendere a tutti che il papà anche se ucciso è vivo e presente e continua ad essere un papà premuroso e rispettoso come sempre è stato in vita.
L’ultima parola è per la preside, Francesca Cusumano. Ringrazia i suoi studenti e li richiama al prossimo appuntamento, la premiazione del concorso. Non c’è bisogno di fervorini morali. Ricorda loro che l’anno prossimo non ci saranno, saranno in altri istituti del palermitano per portare il ricordo e la testimonianza di questa mattinata.
Si è giunti alla fine: saluti, abbracci, appuntamenti, ringraziamenti.
C’è un signora, certo non giovanissima, che tutti conoscono e che tutti si affrettano a salutare: è la signora Angela Montalbano, la moglie del dottore Giuseppe. Non manca mai ad alcun appuntamento tra i tanti che si svolgono nel corso dell’anno. Non parla mai. La sua presenza è silenziosa, ma significativa. Non vive di ricordi sentimentali, ma della testimonianza del marito e di quanto i figli hanno fatto dopo la sua morte per raccoglierne il testimone. Da quel pomeriggio uggioso del 1988 dice col silenzio che la lotta alla mafia si fa anche in questo modo.
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Foto di Roberto Alabiso.