(20 maggio 2015) – “Pellegrinaggio proviene dal latino peregrinus, da per + ager (i campi) ed è una pratica di devozione presente in tutte le religioni consistente in un viaggio alla ricerca di esperienze spirituali o di penitenza verso un luogo considerato sacro. Indica un particolare tipo di viaggio finalizzato a dedicare parte del proprio tempo per entrare in rapporto con il sacro”.
Questo è l’incipit di un volantino distribuito sugli autobus con cui circa 200 aderenti a Comunione e Liberazione hanno partecipano sabato 16 maggio ad un Pellegrinaggio mariano a Mazara del Vallo e Castelvetrano. “Per i primi cristiani – prosegue il testo – Gerusalemme fu la meta di un viaggio spirituale per conoscere i luoghi dove Gesù visse e morì. Il pellegrinaggio a Gerusalemme divenne per i cristiani un'usanza fissa a partire dal 313 d.C. A mano a mano che il culto cristiano si espandeva, crebbe anche la devozione per gli Apostoli Pietro e Paolo, martirizzati a Roma. Così Roma divenne la città meta simbolo di ogni pellegrinaggio, acquistando un'importanza maggiore rispetto a Gerusalemme. Fino all’anno 1000 il pellegrinaggio era un gesto prevalentemente personale, poi anche per motivi di sicurezza, divenne un gesto collettivo e le mete dei pellegrinaggi aumentarono viva via”.
Ma ciò che più colpisce nel seguito del volantino è il programma: esso prevede non solo la Recita del Rosario e la celebrazione della Messa, ma anche la illustrazione delle porte del santuario della Madonna del Paradiso di Mazara del Vallo e la visita alla restaurata chiesa di san Domenico a Castelvetrano. Un programma, insomma, di fede e cultura che indica una dimensione e una finalità del pellegrinaggio che vada oltre il cliché tradizionale della devozione a Maria, fatta di orazioni e di ringraziamenti per le grazie ricevute, per far comprendere che la fede non è solo “conforto” delle anime, ma anche giudizio e azione del vivere quotidiano. Il medesimo volantino, cita poi una frase di don Giussani sul tema, che aiuta a comprendere il significato più profondo del gesto. «Aspettatevi – dice don Giussani – un cammino non un miracolo che eluda le vostre responsabilità, che elida la vostra fatica, che renda meccanica la vostra libertà. No! Non aspettatevi questo. È questa una differenza profonda da prima, dal cammino percorso fino adesso: la differenza profonda è che non potrai seguirci se non teso a comprendere. Adesso dovrai incominciare ad amare realmente la vita e il suo destino».
Don Carmelo Vicari, l’assistente diocesano del Movimento a Palermo, si rivolge così ai partecipanti prima della partenza. “Il pellegrinaggio cristiano non è un semplice “viaggio”, verso mete religiose anche significative e importanti, è una metafora della vita: la fatica nel viaggiare, il riposo nel sostare, la curiosità nel cercare, l’entusiasmo nel ripartire, tutto educa all’impegno e al sacrificio, ma anche al desiderio di un luogo stabile, di una pienezza di vita e di pace. Questo è ciò che ci ha mosso ad aderire e questo è ciò che vogliamo incontrare oggi”.
Il volantino aiuta poi a comprendere il significato specifico del Pellegrinaggio mariano che trae origine da tutta la vita della Madonna segnata da un continuo peregrinare. Fin dalla sua prima apparizione evangelica Ella è in viaggio: lo è verso quel villaggio della giudea ove risiede la sua parente Elisabetta e lo è subito dopo, con Giuseppe, verso Betlemme per il censimento. E ancora, pochi giorni dopo, eccola in marcia verso l'Egitto, mettendosi lei nel flusso dei profughi, dei perseguitati, degli emigranti di tutti i secoli.
Don Carmelo Vicari conclude così prima di salire sugli autobus: “Noi siamo particolarmente abituati a viaggiare, ma oggi chiediamo a Maria di affidare alle nostre braccia il figlio suo per custodirlo assieme a Lei e camminarLe accanto tutta la vita. Nella storia della devozione mariana, particolarmente presente e diffusa nella nostra terra di Sicilia, l’icona di Maria ha avuto mille volti e in mille modi è stata espressa da tanti autori. C'è però un aspetto che emerge particolarmente dal racconto evangelico: la madre del Signore è spesso ritratta come una pellegrina. Il suo è un pellegrinaggio nella fede che si consuma anche nello spazio, come ci ricorda la Redemptoris Mater al numero 25”.
Sui pullman si prega e si canta. Si riprendono e si ripassano i canti più tradizionali della devozione a Maria. Molti tra i più giovani li ascoltano per la prima volta, spesso non ne comprendono le parole, trattandosi di testi di molti decenni or sono. Anche questo aiuta a comprendere il significato storico del pellegrinaggio.
Prima di entrare al Santuario della Madonna del Paradiso di Mazara si compie una processione per la recita del Rosario nelle strade adiacenti. Sono le 11 di sabato mattina. Gli abitanti del quartiere sono meravigliati: incuriositi, chiedono se si tratti di una nuova festa rionale, ma poi la recita delle Ave Maria induce tutti ad un attimo di silenzio e riflessione.
Si entra in chiesa recitando le litanie. Il parroco don Giuseppe Fullone dà il benvenuto ai partecipanti e racconta la storia del quadro della Vergine, la Madonna del Paradiso, patrona della Diocesi e compatrona della Città di Mazara del Vallo. Spiega che l’importanza di santuario è legata ad una serie di eventi miracolosi che la tradizione attribuisce al dipinto su tela posto sull’altare e che riguardano il movimento degli occhi e le lacrime versate dall’immagine stessa. Quello più antico risale alla sera del 3 novembre 1797. “Il miracolo - aggiunge - si ripeté più volte durante la notte sicché il giorno seguente, fu disposta la traslazione della sacra immagine alla Cattedrale. Si fecero delle veglie notturne durante le quali i fedeli poterono constatare che la Vergine a volte abbassava gli occhi, a volte li innalzava, qualche volta li girava a destra o a sinistra e li fissava sui presenti, altre volte li chiudeva e li riapriva”. Il racconto del parroco prosegue sulle modalità con cui il prodigio si ripeté e che portò il Vescovo di allora, mons. Orazio La Torre, che anche lui aveva potuto osservare il miracolo, a provarne la veridicità. Il 23 agosto 1798, il Vescovo proclamò l'autenticità del miracolo e il 10 aprile del 1803 il venerabile dipinto venne solennemente incoronato. Il movimento degli occhi della Sacra immagine si è ripetuto nel tempo: il 20 ottobre 1807, nel 1810, ancora il 21 gennaio 1811, il 5 marzo 1866 ed altre volte ancora, anche in occasioni particolarmente significative di valenza positiva o negativa, come per esempio il 4 novembre 1918 quando la Madonna del dipinto aveva aperto e chiuso gli occhi più volte per annunciare la fine prossima della prima guerra mondiale.
“Non vi chiedo di credere ciecamente a tutto quello che vi ho raccontato – conclude – ma di comprendere il significato della particolarità del miracolo attribuito al quadro. Il movimento degli occhi richiama all’importanza dello sguardo che la Madonna ha inteso e intende rivolgere a tutti gli uomini e in tutte le direzioni. Questo è quello che il quadro vuole dirci da sempre e questo è quello che dobbiamo imparare da esso e, quindi, dalla Madonna. Uno sguardo capace di accogliere e comprendere, come Maria ha fatto nei secoli con tutti gli uomini”.
Al benvenuto del Parroco segue la testimonianza di Salvatore Taormina che racconta alcuni avvenimenti della sua giovinezza che legarono la sua persona alla storia della beata Pina Suriano e alle apparizioni della Madonna di Medjugorje. Fatti risalenti a oltre trenta anni fa, quando ancora a pochi era nota la vicenda di Medjugorje e anche il culto di Pina Suriano era poco diffuso, ma che proprio per questo dimostrano l’attenzione e l’affetto che la Madonna ha espresso nella sua vita, “anche se in forme e modalità che non sono quello che io mi sarei atteso”.
Segue la celebrazione della messa durante la quale don Carmelo, nella qualità di parroco di sant’Ernesto a Palermo, comunica che le reliquie di Pina Suriano saranno ospitate nelle sua parrocchia nel mese di ottobre del 2015.
Durante la pausa per il pranzo a sacco, mentre alcuni genitori approfittano per dare quattro calci al pallone con i figli più piccoli, c’è pura la possibilità di ammirare le nuove porte del Santuario della Madonna del Paradiso realizzate nel 2010 dallo scultore Disma Tumminello, su progetto iconografico di don Leo Di Simone. Una circostanza quanto mai opportuna per vedere come l’artista ha saputo tradurre le indicazioni ricevute e la sua esperienza di fede, illustrando episodi dell'Antico e del Nuovo Testamento. Secondo una consuetudine che risale al Medioevo, ogni pannello concentra in sé la raffigurazione di diversi episodi biblici, legati insieme da un filo narrativo e/o simbolico. “La porta di una chiesa – spiega i parroco – ha già in sé un valore simbolico, in quanto si pone come limite tra l'umano e il divino, tra il finito e l'infinito, che dalla realtà terrena proietta nella realtà celeste. Per questo già il modo di entrare in chiesa esprime la concezione che ciascuno di noi ha della propria vita e della propria fede”.
Nel pomeriggio è in programma la visita alla chiesa restaurata di San Domenico a Castelvetrano. Don Giuseppe Undari accoglie i pellegrini grato per aver scelto di visitare la sua chiesa e aggiunge subito: “Vi porto il saluto affettuoso e fraterno del nostro Vescovo, mons. Domenico Mogavero, che è stato molto contento quando gli ho comunicato della vostra vista in questa Diocesi e che spera di potervi incontrare in una prossima occasione”. Anche in questo saluto è possibile cogliere il senso dell’appartenenza alla chiesa: la chiesa è il popolo di Dio in cui fedeli e pastori insieme concorrono alla sua glorificazione.
La vista della chiesa lascia tutti a bocca aperta. Quasi nessuno l’ha vista prima di allora in tutto il suo splendore.
La decorazione, soprattutto del presbiterio e del coro, colpisce innanzitutto per la sua ricchezza e complessità. “Certamente dietro l’ideazione di essa – spiega la prof. Rita Martorana Tusa - vi è un sapiente teologo. Non dimentichiamo che la chiesa era destinata ai domenicani, che è probabile abbiano avuto una profonda influenza nell’ideazione e nell’impostazione simbolico-didascalica dei soggetti”.
I soggetti principali descrivono un cantico gioioso che unisce episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento, figure di Profeti e Sibille, Apostoli e Santi, che ha il suo culmine nella raffigurazione dell’Albero di Jesse nell’arco trionfale. Questa iconografia rappresenta la genealogia di Cristo, a partire da Jesse che è il padre del re Davide, fino ad arrivare a Maria. Qualcuno ha voluto assimilare questa chiesa alla Cappella Sistina, ma forse si potrebbe citare anche Monreale per l’aspetto didascalico che in essa si può riscontrare.
“Si è parlato spesso – proseguire Rita Martorana Tusa – per l’arte del Manierismo di un horror vacui che accumula figure e motivi decorativi senza lasciare spazi vuoti nella decorazione, interpretandolo come un inutile affastellare immagini, come un virtuosismo fine a se stesso, privo di naturalezza e di ispirazione autentica. Ciò è vero nella misura in cui per “vuoto” si intende il “nulla” come significato ultimo delle cose, e la conseguenza del dominio del nulla è la mancanza di un “centro”. Osservando la decorazione di San Domenico, al contrario, la sensazione è piuttosto di un “pieno” di una complessità di contenuti che non può non esprimersi nella sovrabbondanza delle immagini. Adesso gli artisti rispecchiano una concezione drammatica dell’uomo: egli non è più il centro dell’universo, ma deve guardare ad un Altro in cui ricentrarsi, per trovare un senso alle cose. La summa è l’albero di Jesse che invita ad alzare lo sguardo verso Maria e Gesù, “centri” narrativi di tutta la decorazione”.
La conclusione segna in qualche modo quella dell’intensità della giornata vissuta. “Dalla visione d’insieme dei soggetti raffigurati emerge quindi una visione provvidenziale del cosmo e della storia, che vede il suo fulcro nel Mistero dell’Incarnazione, a cui tende tutta la storia d’Israele, e che si sviluppa attraverso la Chiesa, giungendo fino a noi”.
Rita Martorana Tusa conclude il suo intervento con una citazione di Julián Carrón, attuale presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione e successore di don Giussani.: “Attraverso la Resurrezione la Chiesa ci fa guardare a tutta la storia […] è la storia nella quale si rivela finalmente ai nostri occhi la positività ultima della realtà….La luce che domina la notte di Pasqua ci consente di comprendere tutta la storia della salvezza, dalla liberazione dalla schiavitù d’Egitto a tutta la storia dei profeti, una storia che non ha altro scopo se non quello di farci entrare nella logica del disegno di Dio che si è svelato lentamente nel tempo”.
Risalendo sui pullman la percezione dei partecipanti è che la Chiesa è giunta fino a noi non solo per quanto ci hanno lasciato artisti e monumenti, ma anche per la storia del suo popolo che ha raggiunto in modo misterioso ogni partecipante al pellegrinaggio. La gratitudine di tutti è palese. Molti non sanno rispondere se hanno partecipato ad un pellegrinaggio o ad un viaggio culturale. Ma la convinzione più concreta è che la fede c’entra con la vita e può incidere in essa in ogni circostanza.
Nella foto: un momento della comunicazione di Rita Martorana Tusa nella chiesa di San Domenico a Castelvetrano.