Ci voleva un incendio e il rischio concreto che un’eredità fatta di cultura, di arte e di senso andasse in fumo, per costringere il mondo a riconoscere il valore presente di una tradizione che si esprime in modo maturo nelle cattedrali del Medio Evo.
Dici “Medio Evo” ed è difficile non finire relegati, in chi ascolta, nel cantuccio angusto di una discutibile appartenenza politica con inclinazioni più o meno xenofobe, o confinati dietro al muro insormontabile del luogo comune che getta nella pattumiera della storia, come “roba da medioevo” appunto, le radici della nostra identità presente senza sfiorarne il valore e la portata.
Brucia Notre Dame! E tutta la tecnologia di cui disponiamo serve solo a proiettare in mondovisione il senso di impotenza con cui assistiamo al rogo di una parte della nostra civiltà.
Sugli schermi televisivi le immagini della chiesa in fiamme si accompagnano ai commenti degli esperti sull’immenso valore di ciò che sta crollando sotto ai nostri occhi come la flèche, la guglia in ghisa edificata alla fine del diciannovesimo secolo, che precipita rovinosamente su sé stessa sfondando il tetto che copre la struttura del 1200.
Qui sono custodite la storia e la cultura di un popolo. Vi sono i tesori dell’arte gotica che hanno assistito al processo di riabilitazione di Giovanna d’Arco, al matrimonio di Mary Stuart con Francesco di Valois, all’incoronazione di Napoleone Bonaparte e, con essa, al seppellimento di gran parte degli ideali della Rivoluzione francese che avevano tentato di distruggere questo luogo. “Notre-Dame in preda alle fiamme”, constata con frustrazione il Presidente della Repubblica Francese, Emmanuel Macron, e aggiunge “sono triste di veder bruciare questa parte di noi".
“Ma qual è l’origine di questa bellezza e da cosa dipende il suo valore?”. Lo chiedo ai miei alunni alla fine della lezione, perché anche ciò che accade fuori possa trovare lo spazio di una domanda tra le mura scolastiche. “L’ingegno umano” azzarda Vittoria. Certo! Un ingegno che ha reso possibile l’ergersi leggero della cattedrale con le sue guglie verso l’infinito con una bellezza mozzafiato che la modernità, con tutto il suo strapotere tecnologico, invidia. Eppure non basta a spiegare quello che abbiamo davanti.
Mentre scende la sera attorno alla cattedrale in cui i re di Francia e l’ultimo pezzente del Regno potevano ritrovarsi insieme, davanti alla Croce di Cristo, a dar conto di ogni gesto e di ogni pensiero rivolto alla costruzione del bene comune, lo stesso ricercato dai padri fondatori della Comunità Europea, le telecamere registrano un fatto singolare.
Un popolo fatto di uomini e donne, di anziani e di giovani, si mette a pregare togliendo la parola agli “esperti”. Cantano Je vous salue Marie, in francese, la Salve Regina in Latino. Notre-Dame, per loro non è un museo, ha un nome e un volto: quello di Maria, la madre di Gesù. È il rapporto di gratitudine con il Mistero che ella ha accolto dentro di sé che ha fatto sorgere le cattedrali in Europa e ne ha determinato lo slancio. Il canto spontaneo attorno alla cattedrale che brucia riannoda, attraversando i secoli, quel legame originario di tenerezza e di gratitudine, che si è espresso come passione per il senso positivo dell’esistenza e come desiderio di costruzione, fino ad assumere la forma imponente e fragile di una cattedrale. È questo rapporto che regge l’urto del tempo. È in forza di esso che tutto può rinascere. Dopo millenni si chiamata ancora “fede”. Serve anche a chi non ce l’ha.