(4 ottobre 2013) – No, quanto è accaduto nella notte del 3 ottobre in prossimità delle coste siciliane dell’isola di Lampedusa non può passare nell’archivio muto delle tragedie e restare sotto il silenzio della coscienza e della parola. Le proporzioni del dolore suscitate da questo naufragio ennesimo sono prive di limiti e il conteggio sempre più preciso di vittime e superstiti può soltanto acuire la portata della sofferenza. Centinaia di vite umane sono ancora sotto quel barcone naufragato proprio di fronte al lembo di terra che dell’Italia e dell’Europa è la porta d’ingresso.
Persone e popoli hanno attraversato il Mar Mediterraneo portando il carico delle proprie storie ricche di desideri e destini; lungo la linea del tempo si è formato un bilancio segnato da eventi non sempre positivi, come è noto. I fatti tragici registrati negli annali contemporanei sono numerosi e ne portano il peso quanti lasciano la propria terra in cerca di un’avvenire migliore: sono profughi che abbandonano terre desolate e impoverite, dove sovente regnano guerre di cui si propagano nel mondo deboli echi e dove la speranza della vita non trova comoda dimora. Proprio pochi giorni fa, a Scicli, si è consumata una tragedia simile: un barcone che arriva vicino alla meta, a un passo dalla terra, e non approda.
Intorno a questi eventi possono girare diverse cifre di giudizio e valutazione. E non v’è dubbio che nel loro intreccio si possano trovare contenuti e spunti coerenti, fondati, veri. Ogni discorso sui migranti del Mediterraneo, peraltro, nasce da domande ineludibili: dov’è l’Europa e con quali politiche comunitarie per l’immigrazione essa affronta tali urgenze divenute ormai quotidiane? come e quanto possono incidere la politica e la legislazione nazionale per determinare un approccio adeguato allo scenario complesso di un fenomeno migratorio che si sviluppa in nazioni la cui guida politica è in questo momento mutevole, precaria e soggetta quindi a notevole criticità? Ma c’è un’altra domanda che dovremmo tenere presente ogni giorno che passa. È la domanda sul valore che ha lo stare al mondo secondo un nesso di condivisione e reciprocità solidale.
Queste domande contengono una provocazione al sapere e al fare, perché sono concrete e vere se muovono la commozione e la ragione verso un prendersi cura del prossimo, di quel volto dell’Altro che nell’orizzonte totale dell’umanità è fratello. C’è un legame che tiene insieme persone e popoli. E questo legame fa puntare il discorso su parole diventate ideali e tracciati di verità che avanzano nel tempo senza perdere valore e consistenza. Ne hanno parlato e discusso variamente in moltissimi. Nel corso dei secoli con una parola l’hanno chiamata “fraternità”, o secondo altri termini e sinonimi nei quali la vita di ciascuno è riverbero e valore della vita di tutti. S’incontrano qui i temi dei diritti umani e le questioni riguardanti il loro fondamento. Ed è al centro di questa parola che ogni volta riaffiora tutto l’insieme dei diritti legati alla vita e alla ricerca della felicità. I migranti del Mediterraneo ricordano al mondo fin dove arriva il sacrificio offerto per questi diritti.
Alle porte della Sicilia arriva un’umanità ferita che cerca la vita.
Immagine tratta dal video della Guardia Costiera riguardante le fasi del primo soccorso prestato ai migranti giunti a Lampedusa nella notte del 3 ottobre 2013.