(23 febbraio 2015) – Venerdì 20 febbraio 2015 ha debuttato “Il Mercante di Venezia” di Shakespeare sul palco del teatro “Al Massimo”. La pièce, in programma già a novembre, era stata rinviata a causa di un malore accusato da Giorgio Albertazzi.
In una commedia in cui si alternano, si sfiorano e si contraddicono il tema dell’amicizia e del nemico, della giustizia e dell’iniquità, dell’amore e dell’odio, all’ultranovantenne Albertazzi spetta la goccia di male infuso che l’autore inglese più famoso d’ogni tempo non manca di iniettare nei suoi drammi.
Al centro di storie d’amore mescolate d’ingenuità e di malizia, di dicerie e di tradimenti, di rapimenti e di imprevisti, s’inserisce quella di un debito. Antonio, un mercante noto in Venezia si fa carico, per ricambiata amorosa amicizia (almeno così sul palco), di un debito per il suo giovane amico Balsanio. Il debito viene però contratto con una obbligazione particolare: “una libbra di carne” scelta dal corpo di Antonio potrà venir tolta dal ricco ebreo Shylock qualora non gli vengano restituiti i tremila ducati entro l’esatta scadenza stabilita.
Albertazzi, nella rappresentazione scenica curata dal regista Giancarlo Marinelli, interpreta Shylock l’usuraio che non recederà sino all’ultimo dall’obbligazione contratta, l’ebreo che cozza in uno scontro ostinato e continuo con i cristiani che ha intorno. Colui che viene abbandonato dalla figlia, che è ossessionato dall’accumulo del denaro, che non vuole neanche sentire parlare della parola “pietà”. Eppure quel grumo di male che crudele si mostra con gli altri è l’escluso da cui si elevano le domande d’uomo che non comprende le barriere. “Un ebreo non ha occhi? Non ha mani, membra, sensi, affetti, passioni? Non si nutre dello stesso cibo, non è ferito dalle stesse armi, non si ammala e non guarisce cogli stessi mezzi, non ha il freddo dello stesso inverno e il caldo della stessa estate d’un cristiano?”.
E risulterebbe pletorico spendere parole sull’interpretazione di un artista che non ha voglia di smettere di calcare le scene neanche alla sua veneranda età. Il contrasto tra lui e la giovane compagnia di attori rispecchia la scelta del regista di interpretare la commedia shakespeariana secondo la direzione dell’eccentricità. Non ha centro la pièce e non ne vuole avere, anzi vive delle contraddizioni poste in essere, scegliendo l’inclinazione alla giustapposizione di giovinezza e vecchiaia, sensualità e livore, divertimento e rancore. E così al sapore di “commedia dell’arte” di un servitore che parla in veneziano e che ricalca un’ambiguità sessuale disseminata anche altrove nelle pieghe del dramma (buona la performance di Cristina Chinaglia), si mescolano un tono da fiaba e una recitazione musicale che non sono certo il punto di forza della rappresentazione.
Si replica presso il teatro “Al Massimo” fino a domenica 1° marzo 2015.