Quel che mi racconta Mahler. Cronaca ragionata della Terza Sinfonia al Teatro Massimo di Palermo

 

mahler-massimo-2

 

 

(24 marzo 2015) – Succede, tal volta, che ci si addormenti. E ci si abitui a dormire, ad accettare questa realtà trasognata di città inquinata e rumorosa, fatta d'uno speciale baccano di urla impossibili, cantieri indeterminabili, ingorghi irragionevoli, strade impresentabili. A non preoccuparci della nostra distanza dai fiori dei prati, dagli animali della foresta e – in definitiva – dall'Uomo stesso. La nostra sordità verso ciò che raccontano gli angeli e l'amore viene interrotta dalla voce di un mezzosoprano. Le sue parole, in tedesco, squarciano la notte.

O Mensch! O Mensch! Gibt Acht! Gibt Acht! Was spricht die tiefe Mitternacht? Ich schlief! Ich schlief! Aus tiefem Traum bin ich erwacht! Die Welt ist tief! Und tiefer als der Tag gedacht! O Mensch! O Mensch! Tief! Tief! Tief! ist ihr Weh! Tief ist ihrWeh! Lust, Lust tiefer noch als Herze leid! Weh spricht: Vergeh! Weh spricht: Vergeh! Doch alle Lust, Will Ewigkeit! will tiefe, tiefe Ewigkeit.

(O uomo! O uomo! Attenzione! Attenzione! Che dice la profonda notte? Io dormivo! Dormivo! Fui svegliato da un profondo sogno. Il mondo è profondo! E più profondo di quanto il giorno ricordi. O uomo! O uomo! Profondo, profondo, profondo è il suo dolore. Profondo è il suo dolore. Gioia, gioia più profonda ancora di quanto il cuore sopporti. Il dolore dice: passa! Il dolore dice: passa! ma ogni gioia vuole eternità! Vuole profonda, profonda eternità.)

Palermo, 19 marzo. Silenziosi e folti stanno gli alti alberi davanti a uno dei più grandi teatri d'Europa, terzo dopo l'Opéra National di Parigi e la Staatsoper di Vienna. Non corre un filo di vento in questa serata di San Giuseppe. Una strana quiete, illuminata dalle luci gialle della città, domina la scena davanti al teatro. Fra poco meno di un'ora, l'Orchestra, il Coro e il Coro di voci bianche del Teatro Massimo eseguiranno la Sinfonia n.3 in Re minore, di Gustav Mahler (1860-1911).

Aspetto l'amico Francesco, bloccato – chissà dove – su un autobus, nel sempiterno caos d'automobili di questa bella città. Appoggiato alla recinzione di ferro, un ragazzo si rolla una paglia. Qualcun altro fa jogging. Un altro ancora compone un selfie con la fidanzata, sullo sfondo del teatro. Ogni tanto spicca qualcuno con in spalla la custodia rigida e nera d'un violino, o d'una tromba. Sotto i giacconi di piuma, rigorosamente neri, si scorgono le punte un po' ottocento di un frac. Passo svelto, salgono le scale. La frotta di signori imbellettati inizia a sciamare verso il foyer. Intorno al tempio dell'arte che – cito dall'epigrafe di Camillo Finocchiaro Aprile, ai tempi ministro di grazia e giustizia – rinnova i popoli e ne rivela la vita, si allarga una delle città più inquinate, sporche e rumorose d'Italia. È lecito, quindi, chiedersi in che modo la musica sinfonica possa rinnovare questo popolo o rivelarne la vita? Nessuno mi risponde e resto con le mie domande in mano, a pugni chiusi nelle tasche. Stasera c'è un bel silenzio, sembra che lei se ne sia accorta. Palermo, c'è Mahler in città. Terza Sinfonia.

Tre anni fa, Sicily Present si poneva, iniziando le sue pubblicazioni online, l'obiettivo raccontare le multiformi esperienze che in Sicilia assumono la cultura e l’ingegno umano quando vanno in scena e diventano opere di bene comune, raccontando ogni giorno di persone e storie in cerca di bellezza. Questo leggiamo nell'editoriale del 12 marzo, a firma Mauro Buscemi, direttore di Sicily Present e sicuramente convinto ancora che la bellezza salverà il mondo. Ma, ne L'idiota, Fëdor Dostoevskij metteva in bocca al principe Miškin queste – oramai svilite – parole tanti anni fa. Da allora – era il 1869 – acqua sotto i ponti n'è passata. E ne continua a passare tanta da portarsi via, ogni tanto, anche i ponti. La bellezza salverà il mondo? Chiediamoci se piuttosto saprà il mondo salvare la bellezza. E non è solo questione che riguardi lontani musei distrutti da attentati o resti di antiche culture andate in frantumi per questioni religiose. È, anche e sopratutto, questione d'ascolto, di capacità d'ascoltare. E riguarda noi, per tutto il troppo rumore che ci assedia, fuori e dentro. Ma questa sera c'è un bel silenzio. Irreale, quasi.

Finalmente, trafelato, Francesco arriva. Mentre saliamo le scale che portano al foyer, dalla strada alle nostre spalle ci arriva improvviso un clacsonare d'auto, la nefasta baraonda del traffico. Mi volto e capisco. Sono le otto di sera. Hanno riaperto il traffico sull'isola pedonale di via Maqueda di fronte al Massimo. Le auto ora invadono la strada, tracciata molto tempo prima dal viceré Bernardino de Cárdenas y Portugal, duca di Maqueda, e scorrono veloci verso la stazione ferroviaria. Tutto torna nella normalità, e nel rumore. Entriamo presto in teatro, come in un rifugio.

«La mia Sinfonia sarà qualcosa che il mondo non ha ancora udito. La natura parla qui dentro e racconta segreti tanto profondi che forse ci è dato di presentire solo nel sogno. Talvolta mi sento veramente a disagio e mi pare di non essere io a comporre: proprio perché riesco a realizzare ciò che voglio».

Nel 1895, quando inizia a stendere la partitura della Terza Sinfonia, Mahler ha trentacinque anni (era nato nel 1860 a Kalischt, in Boemia). L'anno prima, in giugno, il signor Lesch, capomastro del villaggio di Steinbach sull'Attersee, gli consegna una cabina di sei metri per sei, con la porta d'ingresso e tre piccole finestre. Intorno, uno dei laghi più grandi dell'Alta Austria, prati verdi e sterminati, boschi, silenzio. In questo suo buen retiro, quasi un fantastico locus amoenus a giudicare dall'illustrazione di Ludwig Halauska del 1872, Gustav Mahler compone, durante le vacanze estive, la Sinfonia n. 3, ben lontano dal suo lavoro invernale di direttore d'orchestra e di teatro, ad Amburgo. E nei suoni di questa gigantesca sinfonia - la più lunga mai composta - c'è il colore d'una sola stagione: l'estate.

Le maschere ci fanno accomodare. Non si possono scattare fotografie durante il concerto. Dicono. Durerà un ora e quaranta. Francesco non era mai entrato al Teatro Massimo. Si guarda intorno. La grande sala a ferro di cavallo. Le raffinate composizioni dei cinque ordini di palchi e del loggione. I grandi pannelli lignei affrescati nel soffitto, sopra la platea. Il palcoscenico è affastellato di sedie per il coro e gli orchestrali. Sembrano più di quelle che ci sono in platea. Accoglieranno l'immenso organico, voluto da Mahler per eseguire i sei movimenti di questa sinfonia. L'orchestra. Trentuno violini. Dodici viole. Nove violoncelli. Otto contrabbassi. Due arpe. Quattro flauti. Quattro oboi. Cinque clarinetti. Quattro fagotti. Otto corni. Cinque trombe. Quattro tromboni. Una tuba. Due timpani. Cinque musicisti alle varie percussioni. Il coro femminile. Venti soprani. Otto mezzosoprani. Nove contralti. Il coro di voci bianche. Quarantuno bambini. Infine, una mezzosoprano solista. Qualcuno di loro sta accordando gli strumenti. La gente prende posto, e anche noi ci accomodiamo. Una voce ricorda di spegnere i cellulari. Timidi applausi mentre entra e prende posizione il coro delle voci bianche e quello femminile. Poi, a seguire, l'orchestra e la mezzosoprano, Marianna Pizzolato. Si aspetta il direttore, Gabriele Ferro. Qualcuno si fa ora largo tra gli orchestrali e dalla platea parte un applauso che rapido si smorza e svanisce. Un trombettista in ritardo. Sorride imbarazzato guardando il pubblico, poi si siede. Pochi attimi. Entra il direttore. Applausi. Le luci si abbassano. Silenzio. Mahler. Terza sinfonia in Re minore. Sei movimenti.

 

mahler-massimo-2

 

 

(24 marzo 2015) – Succede, tal volta, che ci si addormenti. E ci si abitui a dormire, ad accettare questa realtà trasognata di città inquinata e rumorosa, fatta d'uno speciale baccano di urla impossibili, cantieri indeterminabili, ingorghi irragionevoli, strade impresentabili. A non preoccuparci della nostra distanza dai fiori dei prati, dagli animali della foresta e – in definitiva – dall'Uomo stesso. La nostra sordità verso ciò che raccontano gli angeli e l'amore viene interrotta dalla voce di un mezzosoprano. Le sue parole, in tedesco, squarciano la notte.

O Mensch! O Mensch! Gibt Acht! Gibt Acht! Was spricht die tiefe Mitternacht? Ich schlief! Ich schlief! Aus tiefem Traum bin ich erwacht! Die Welt ist tief! Und tiefer als der Tag gedacht! O Mensch! O Mensch! Tief! Tief! Tief! ist ihr Weh! Tief ist ihrWeh! Lust, Lust tiefer noch als Herze leid! Weh spricht: Vergeh! Weh spricht: Vergeh! Doch alle Lust, Will Ewigkeit! will tiefe, tiefe Ewigkeit.

(O uomo! O uomo! Attenzione! Attenzione! Che dice la profonda notte? Io dormivo! Dormivo! Fui svegliato da un profondo sogno. Il mondo è profondo! E più profondo di quanto il giorno ricordi. O uomo! O uomo! Profondo, profondo, profondo è il suo dolore. Profondo è il suo dolore. Gioia, gioia più profonda ancora di quanto il cuore sopporti. Il dolore dice: passa! Il dolore dice: passa! ma ogni gioia vuole eternità! Vuole profonda, profonda eternità.)

Palermo, 19 marzo. Silenziosi e folti stanno gli alti alberi davanti a uno dei più grandi teatri d'Europa, terzo dopo l'Opéra National di Parigi e la Staatsoper di Vienna. Non corre un filo di vento in questa serata di San Giuseppe. Una strana quiete, illuminata dalle luci gialle della città, domina la scena davanti al teatro. Fra poco meno di un'ora, l'Orchestra, il Coro e il Coro di voci bianche del Teatro Massimo eseguiranno la Sinfonia n.3 in Re minore, di Gustav Mahler (1860-1911).

Aspetto l'amico Francesco, bloccato – chissà dove – su un autobus, nel sempiterno caos d'automobili di questa bella città. Appoggiato alla recinzione di ferro, un ragazzo si rolla una paglia. Qualcun altro fa jogging. Un altro ancora compone un selfie con la fidanzata, sullo sfondo del teatro. Ogni tanto spicca qualcuno con in spalla la custodia rigida e nera d'un violino, o d'una tromba. Sotto i giacconi di piuma, rigorosamente neri, si scorgono le punte un po' ottocento di un frac. Passo svelto, salgono le scale. La frotta di signori imbellettati inizia a sciamare verso il foyer. Intorno al tempio dell'arte che – cito dall'epigrafe di Camillo Finocchiaro Aprile, ai tempi ministro di grazia e giustizia – rinnova i popoli e ne rivela la vita, si allarga una delle città più inquinate, sporche e rumorose d'Italia. È lecito, quindi, chiedersi in che modo la musica sinfonica possa rinnovare questo popolo o rivelarne la vita? Nessuno mi risponde e resto con le mie domande in mano, a pugni chiusi nelle tasche. Stasera c'è un bel silenzio, sembra che lei se ne sia accorta. Palermo, c'è Mahler in città. Terza Sinfonia.

Tre anni fa, Sicily Present si poneva, iniziando le sue pubblicazioni online, l'obiettivo raccontare le multiformi esperienze che in Sicilia assumono la cultura e l’ingegno umano quando vanno in scena e diventano opere di bene comune, raccontando ogni giorno di persone e storie in cerca di bellezza. Questo leggiamo nell'editoriale del 12 marzo, a firma Mauro Buscemi, direttore di Sicily Present e sicuramente convinto ancora che la bellezza salverà il mondo. Ma, ne L'idiota, Fëdor Dostoevskij metteva in bocca al principe Miškin queste – oramai svilite – parole tanti anni fa. Da allora – era il 1869 – acqua sotto i ponti n'è passata. E ne continua a passare tanta da portarsi via, ogni tanto, anche i ponti. La bellezza salverà il mondo? Chiediamoci se piuttosto saprà il mondo salvare la bellezza. E non è solo questione che riguardi lontani musei distrutti da attentati o resti di antiche culture andate in frantumi per questioni religiose. È, anche e sopratutto, questione d'ascolto, di capacità d'ascoltare. E riguarda noi, per tutto il troppo rumore che ci assedia, fuori e dentro. Ma questa sera c'è un bel silenzio. Irreale, quasi.

Finalmente, trafelato, Francesco arriva. Mentre saliamo le scale che portano al foyer, dalla strada alle nostre spalle ci arriva improvviso un clacsonare d'auto, la nefasta baraonda del traffico. Mi volto e capisco. Sono le otto di sera. Hanno riaperto il traffico sull'isola pedonale di via Maqueda di fronte al Massimo. Le auto ora invadono la strada, tracciata molto tempo prima dal viceré Bernardino de Cárdenas y Portugal, duca di Maqueda, e scorrono veloci verso la stazione ferroviaria. Tutto torna nella normalità, e nel rumore. Entriamo presto in teatro, come in un rifugio.

«La mia Sinfonia sarà qualcosa che il mondo non ha ancora udito. La natura parla qui dentro e racconta segreti tanto profondi che forse ci è dato di presentire solo nel sogno. Talvolta mi sento veramente a disagio e mi pare di non essere io a comporre: proprio perché riesco a realizzare ciò che voglio».

Nel 1895, quando inizia a stendere la partitura della Terza Sinfonia, Mahler ha trentacinque anni (era nato nel 1860 a Kalischt, in Boemia). L'anno prima, in giugno, il signor Lesch, capomastro del villaggio di Steinbach sull'Attersee, gli consegna una cabina di sei metri per sei, con la porta d'ingresso e tre piccole finestre. Intorno, uno dei laghi più grandi dell'Alta Austria, prati verdi e sterminati, boschi, silenzio. In questo suo buen retiro, quasi un fantastico locus amoenus a giudicare dall'illustrazione di Ludwig Halauska del 1872, Gustav Mahler compone, durante le vacanze estive, la Sinfonia n. 3, ben lontano dal suo lavoro invernale di direttore d'orchestra e di teatro, ad Amburgo. E nei suoni di questa gigantesca sinfonia - la più lunga mai composta - c'è il colore d'una sola stagione: l'estate.

Le maschere ci fanno accomodare. Non si possono scattare fotografie durante il concerto. Dicono. Durerà un ora e quaranta. Francesco non era mai entrato al Teatro Massimo. Si guarda intorno. La grande sala a ferro di cavallo. Le raffinate composizioni dei cinque ordini di palchi e del loggione. I grandi pannelli lignei affrescati nel soffitto, sopra la platea. Il palcoscenico è affastellato di sedie per il coro e gli orchestrali. Sembrano più di quelle che ci sono in platea. Accoglieranno l'immenso organico, voluto da Mahler per eseguire i sei movimenti di questa sinfonia. L'orchestra. Trentuno violini. Dodici viole. Nove violoncelli. Otto contrabbassi. Due arpe. Quattro flauti. Quattro oboi. Cinque clarinetti. Quattro fagotti. Otto corni. Cinque trombe. Quattro tromboni. Una tuba. Due timpani. Cinque musicisti alle varie percussioni. Il coro femminile. Venti soprani. Otto mezzosoprani. Nove contralti. Il coro di voci bianche. Quarantuno bambini. Infine, una mezzosoprano solista. Qualcuno di loro sta accordando gli strumenti. La gente prende posto, e anche noi ci accomodiamo. Una voce ricorda di spegnere i cellulari. Timidi applausi mentre entra e prende posizione il coro delle voci bianche e quello femminile. Poi, a seguire, l'orchestra e la mezzosoprano, Marianna Pizzolato. Si aspetta il direttore, Gabriele Ferro. Qualcuno si fa ora largo tra gli orchestrali e dalla platea parte un applauso che rapido si smorza e svanisce. Un trombettista in ritardo. Sorride imbarazzato guardando il pubblico, poi si siede. Pochi attimi. Entra il direttore. Applausi. Le luci si abbassano. Silenzio. Mahler. Terza sinfonia in Re minore. Sei movimenti.

Pagina 2

 

Primo movimento. Kräftig. Entschieden (Con forza. Deciso). In questo lungo inizio, forse il più lungo movimento della storia della sinfonia, si capisce subito cosa abbia fatto Mahler in quelle estati a Steimbech, nella cabina sul lago. Lo immagino immobile tra gli alberi, gli occhi chiusi, le orecchie tese a ricevere tutti quei suoni che il vento gli portava e che nel sogno poi rielaborava per la sua musica. Corni, trombe, ottoni. E poi flauti, a solo di oboe e violino. Tamburi, fiati. Tutti gli strumenti concertano una grande messa in scena: la Natura, che evocata in distinti ronzii, gracchiar di corvi, balzar di ruscelli, presenta il risveglio di Pan e l'irrompere dell'estate. Così almeno nelle didascalie del programma redatto inizialmente dal compositore boemo e poi eliminate, come un'impalcatura utile alla costruzione e da smontarsi alla fine dei lavori.

Secondo movimento. Tempo di Menuetto. Sembra davvero di trovarsi in un campo giallo di grano spazzato da un vento gentile. La mente non riesce a trovare altra immagine nella memoria, o nei sogni.

«Non ho scelta se desidero essere ascoltato, non posso essere troppo difficile e così questo modesto piccolo pezzo mi presenterà senza dubbio al pubblico come il voluttuoso profumato cantore della natura. Che questa natura nasconda in se stessa tutto ciò che è orribile, grande e anche amabile (che è proprio ciò che ho voluto esprimere nell'intero lavoro, in una specie di evolutivo sviluppo) naturalmente nessuno lo capirà mai».

Questo minuetto possiede il romantico potere di evocare Was mir die Blumen auf der Wiese erzählen (Che cosa mi narrano i fiori sul prato), come appuntato nelle intenzioni della didascalia programmatica. Eppure, a dispetto della diffidenza di Mahler verso gli ascoltatori, certi passaggi più cupi riescono efficacemente a rivelare l'essenza non sempre benevola della natura, se non a volte distruttiva.

Terzo movimento. Comodo. Scherzando. È davvero uno scherzo. Un gioco di versi d'uccelli e voci d'altri animali. Was mir die Tiere im Walde erzählen (Che cosa mi narrano gli animali nella foresta). Rielaborazione del materiale musicale del Lied Ablösung im Sommer, composto da Mahler al principio del 1880 e tratto da una antologia di racconti popolari, qui la musica si fa puntuale narrazione del cambio di guardia estivo tra un cuculo morto e l'usignolo, suo successore. L'immaginazione vola alta, ma nemmeno tanto. A un certo momento la tromba (che in origine doveva essere la cornetta d'un postiglione, strumento popolare in uso nelle bande di paese) arriva come un richiamo misterioso, da un altro mondo. Avrebbe dovuto squillare da dietro il palcoscenico, almeno nelle intenzioni dell'autore, per scompigliare la vita nella foresta e lentamente riconsegnarla al silenzio. Il primo violino ne approfitta per asciugarsi la fronte. Il direttore arretra sul suo rialzo di legno. Sfoglia pagina. Avanza nuovamente, sicuro.

Quarto movimento. Sehr langsam. Misterioso (Molto adagio) e Quinto movimento. Lustig in Tempo und keck im Ausdruck (Tempo allegro ed espressione vivace). Finora la mente s'era abituata a leggere i suoni, a farsi stimolare dalle concertazioni sonore immagini e visioni nutrite dai sogni, o forse dal ricordo d'una passeggiata nei boschi, o d'una estate in campagna. La voce del mezzosoprano spiazza tutti. Un altro linguaggio, quasi dimenticato, piomba nel teatro. L'omino seduto accanto a me, che per tutto il tempo ha guardato, insofferente e spazientito, il luminoso cellulare, si alza e se ne va. Chi s'era assopito si ridesta. È questo, ritengo, l'effetto voluto da Mahler. O Mensch! O uomo! L'arrivo della voce – le cui parole in tedesco tutti possono leggere in traduzione sullo schermo sospeso in alto sul proscenio – porta a una riflessione sulla profondità della notte, sulla profondità del mondo, sulla profondità del dolore e infine, sulla profondità della gioia che sottende alla sofferenza. E attraverso la quale si rivela, annunciando il tema della Resurrezione che oltrepassa la Natura. Il testo nietzschiano, riadattato da Mahler e avvolto da un'atmosfera notturna, è tratto dal penultimo capitolo di Also sprach Zarathustra. Nelle originali didascalie questo momento era definito Was mirder Mensch erzählt (Che cosa mi narra l'uomo).

Quando successivamente entra il coro, il cuore va in estasi. Si accendono le luci sul fondo del palcoscenico, dove i bambini e le donne che finora hanno aspettato pazientemente seduti, si alzano in piedi. Senza pause si procede così al quinto movimento, Was mir die Engel erzählen (Che cosa mi narrano gli angeli), dove la tensione accumulata da O Mensch! può finalmente avere sfogo. Si scioglie, dunque, sia nel giocoso Bimm, bamm intonato dal coro di voci bianche a mo' di campane, sia nel canto del coro femminile che narra il pentimento di Pietro, l'apostolo, e di come venga invitato da Gesù a pregare e lodare Dio.

CORO DI BAMBINI Bimm, bamm, bimm, bamm. Bimm, bamm, bimm, bamm...

CORO FEMMINILE Tre angeli cantavano una dolce canzone; di gioia facevan risuonare il cielo, ed esultavano di felicità perché Pietro era senza peccato. E quando Gesù sedette alla tavola coi suoi dodici apostoli per l'ultima cena, così parlò Gesù: perché ancora stai qui? Quando ti guardo tu piangi per me!

MEZZOSOPRANO E non dovrei io piangere, mio buon Dio?

CORO FEMMINILE Tu non devi piangere! Non devi piangere!

MEZZOSOPRANO Io ho infranto i dieci Comandamenti. Io vado e piango amaramente.

CORO FEMMINILE Tu non devi piangere! Non devi piangere!

MEZZOSOPRANO Ah! vieni e pentiti! Ah! vieni e pentiti davanti a me!

CORO DI BAMBINI E CORO FEMMINILE Bimm, bamm, bimm, bamm. Bimm, bamm, bimm, bamm...

CORO FEMMINILE Tu hai infranto i dieci Comandamenti, quindi cadi in ginocchio e prega Dio! Ama solo Dio in ogni tempo! Così conseguirai la gioia celeste!

CORO DI BAMBINI Ama solo Dio! La gioia del cielo è una santa città, la gioia del cielo che è senza fine!

CORO DI BAMBINI E CORO FEMMINILE La gioia del cielo era a Pietro riservata e a noi, grazie a Gesù, in santità. Bimm, bamm, bimm, bamm...

Nel contesto costruito da Mahler però l'apparente semplicità del racconto popolare rivela, a chi sia rimasto immerso nell'ascolto e abbia messo in gioco le sue esperienze, delle verità profonde, tutt'altro che ingenue. Nella marcia oscura e cupa del quarto movimento, viste dal fondo della sala, le teste del pubblico sembravano cere immobili nella penombra della platea e niente si muoveva sui palchetti. Nel quinto movimento invece la marcia diventa festosa e riesco solo a pensare a come la bellissima musica che mi invade le orecchie svanisca, nota dopo nota, nell'aria, e ora abiti l'inconsistenza. Ne avverto però gli effetti concreti delle sue onde sonore, sul mio corpo agitato dalle palpitazioni crescenti, sul pulsare delle vene nelle mie tempie. Tutto ora si spegne e tace, per cedere il passo all'ultimo movimento, l'Adagio finale.

Sesto movimento. Langsam. Ruhevoll (Adagio. Tranquillo). «All'incirca potrei definire l'ultimo tempo così: "Ciò che Dio mi racconta". E precisamente proprio in quel senso che Dio infine può essere inteso solo come amore».

Sublimato, ritorna il vibrante tema iniziale, quel risveglio della natura così caotico e così animale. Ma è tutto trasfigurato in un'atmosfera quasi mistica, dove torniamo sì al punto di partenza ma con nuova consapevolezza. Dio è amore. Was mir die Liebe erzählt (Che cosa mi narra l'amore). Il lungo Adagio porta qui l'uomo, parte della Natura come i fiori dei campi e gli animali della foresta, attraverso il sentimento del dolore. Per chi ha seguito l'esecuzione il cuore accelera i suoi battiti e il corpo si protende, andando in bilico sulla sedia, verso l'origine di quella musica immateriale e al contempo così tangibile. La Sinfonia ripercorre il cammino fatto e nella sua conclusione insiste a lungo in un'ultima ostentata nota (per dovere di cronaca, un Re maggiore) dove anche la vista finalmente gode nel colpo d'occhio di braccia che muovono su e giù continue e rapidissime su tutti gli archi, nelle prime file. L'ultima nota dell'Adagio, e della Sinfonia, sembra voler svegliare definitivamente l'Uomo dal suo residuo torpore, e affermare per sempre ciò che ha imparato nei suoi lunghi novanta minuti: come l'amore viva naturalmente dell'esperienza del dolore.

Niente mahler! chiosa ridendo Francesco. Niente mahler! Questo genere d'arte, oggi, può sembrare destinato solo a un pubblico colto, educato all'ascolto e ricco d'esperienze musicali sinfoniche o di qualsivoglia nozioni basilari sulla storia della sinfonia austro-tedesca nella seconda metà dell'Ottocento. Non è così. E non sarà certo un articolo, o una guida all'ascolto – per quanto autorevole – a colmare la mancata esperienza diretta con questo genere d'arte. El pueblo entiende la poesia. C'è qualcosa nelle vere faccende poetiche che supera le contingenze culturali e i limiti storico-geografici. Quel che mi racconta Mahler può arrivare a chiunque abbandoni il suo spirito nel silenzio del puro ascolto, unico coraggioso requisito affinché la verità, dimenticata dai più e recuperata dall'artista, possa essere restituita ad altri.

Ora in sala, sopra il lungo scrosciare d'applausi dell'intero teatro, si riaccendono le luci. S'inchina il direttore, s'inchina la mezzosoprano, si alzano gli orchestrali tutti, e anche il coro in fondo al palcoscenico. Poi la gente in platea riprende i cellulari e torna fuori dal sogno, giù nel presente. Qualcuno è volato su, dai campi all'Uomo, e fino agli angeli e a Dio. Qualcun altro no, è soltanto sprofondato sulla poltrona. La sala si svuota piano. Restano le maschere a ispezionare i palchetti e le poltrone. Fuori dal teatro, un ragazzo, probabilmente pakistano, suona con la fisarmonica un pezzo struggente, sembra My way, mentre un suo compagno prova a vendere rose alla gente. Qualche anziana signora impellicciata gli lascia delle monete ma non prende la rosa, mentre alle sue spalle si chiudono i pesanti battenti del teatro. Gli alti e folti alberi continuano a stare. In silenzio, nel già spento traffico della sera, andiamo a prenderci qualcosa da mangiare. Il ragazzo pakistano, ormai lontano, suona una musica allegra, da balera. Il nostro autobus non arriva. Viene invece la notte, con il suo O uomo! Attenzione! Il dolore dice: passa! ma ogni gioia vuole eternità! Vuole profonda, profonda eternità.

 

Post Scriptum. Ho passato molte ore a scrivere questo articolo. Molte di più dei novanta minuti che servono per ascoltare la Terza Sinfonia di Mahler. Ci sarà un motivo. Termino così questo scritto, col dubbio che non si possa scrivere ciò che va solamente ascoltato. 


 

SPETTACOLI - Quel che mi racconta Mahler. Cronaca ragionata della Terza Sinfonia al Teatro Massimo di Palermo 

 (ph. Alberto Francesco Culotta) 


 

Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti, per offrire servizi in linea con le tue preferenze. Se non accetti le funzionalità del sito risulteranno limitate. Se vuoi saperne di più sui cookie leggi la nostra Cookie Policy.