(24 marzo 2015) – Succede, tal volta, che ci si addormenti. E ci si abitui a dormire, ad accettare questa realtà trasognata di città inquinata e rumorosa, fatta d'uno speciale baccano di urla impossibili, cantieri indeterminabili, ingorghi irragionevoli, strade impresentabili. A non preoccuparci della nostra distanza dai fiori dei prati, dagli animali della foresta e – in definitiva – dall'Uomo stesso. La nostra sordità verso ciò che raccontano gli angeli e l'amore viene interrotta dalla voce di un mezzosoprano. Le sue parole, in tedesco, squarciano la notte.
O Mensch! O Mensch! Gibt Acht! Gibt Acht! Was spricht die tiefe Mitternacht? Ich schlief! Ich schlief! Aus tiefem Traum bin ich erwacht! Die Welt ist tief! Und tiefer als der Tag gedacht! O Mensch! O Mensch! Tief! Tief! Tief! ist ihr Weh! Tief ist ihrWeh! Lust, Lust tiefer noch als Herze leid! Weh spricht: Vergeh! Weh spricht: Vergeh! Doch alle Lust, Will Ewigkeit! will tiefe, tiefe Ewigkeit.
(O uomo! O uomo! Attenzione! Attenzione! Che dice la profonda notte? Io dormivo! Dormivo! Fui svegliato da un profondo sogno. Il mondo è profondo! E più profondo di quanto il giorno ricordi. O uomo! O uomo! Profondo, profondo, profondo è il suo dolore. Profondo è il suo dolore. Gioia, gioia più profonda ancora di quanto il cuore sopporti. Il dolore dice: passa! Il dolore dice: passa! ma ogni gioia vuole eternità! Vuole profonda, profonda eternità.)
Palermo, 19 marzo. Silenziosi e folti stanno gli alti alberi davanti a uno dei più grandi teatri d'Europa, terzo dopo l'Opéra National di Parigi e la Staatsoper di Vienna. Non corre un filo di vento in questa serata di San Giuseppe. Una strana quiete, illuminata dalle luci gialle della città, domina la scena davanti al teatro. Fra poco meno di un'ora, l'Orchestra, il Coro e il Coro di voci bianche del Teatro Massimo eseguiranno la Sinfonia n.3 in Re minore, di Gustav Mahler (1860-1911).
Aspetto l'amico Francesco, bloccato – chissà dove – su un autobus, nel sempiterno caos d'automobili di questa bella città. Appoggiato alla recinzione di ferro, un ragazzo si rolla una paglia. Qualcun altro fa jogging. Un altro ancora compone un selfie con la fidanzata, sullo sfondo del teatro. Ogni tanto spicca qualcuno con in spalla la custodia rigida e nera d'un violino, o d'una tromba. Sotto i giacconi di piuma, rigorosamente neri, si scorgono le punte un po' ottocento di un frac. Passo svelto, salgono le scale. La frotta di signori imbellettati inizia a sciamare verso il foyer. Intorno al tempio dell'arte che – cito dall'epigrafe di Camillo Finocchiaro Aprile, ai tempi ministro di grazia e giustizia – rinnova i popoli e ne rivela la vita, si allarga una delle città più inquinate, sporche e rumorose d'Italia. È lecito, quindi, chiedersi in che modo la musica sinfonica possa rinnovare questo popolo o rivelarne la vita? Nessuno mi risponde e resto con le mie domande in mano, a pugni chiusi nelle tasche. Stasera c'è un bel silenzio, sembra che lei se ne sia accorta. Palermo, c'è Mahler in città. Terza Sinfonia.
Tre anni fa, Sicily Present si poneva, iniziando le sue pubblicazioni online, l'obiettivo raccontare le multiformi esperienze che in Sicilia assumono la cultura e l’ingegno umano quando vanno in scena e diventano opere di bene comune, raccontando ogni giorno di persone e storie in cerca di bellezza. Questo leggiamo nell'editoriale del 12 marzo, a firma Mauro Buscemi, direttore di Sicily Present e sicuramente convinto ancora che la bellezza salverà il mondo. Ma, ne L'idiota, Fëdor Dostoevskij metteva in bocca al principe Miškin queste – oramai svilite – parole tanti anni fa. Da allora – era il 1869 – acqua sotto i ponti n'è passata. E ne continua a passare tanta da portarsi via, ogni tanto, anche i ponti. La bellezza salverà il mondo? Chiediamoci se piuttosto saprà il mondo salvare la bellezza. E non è solo questione che riguardi lontani musei distrutti da attentati o resti di antiche culture andate in frantumi per questioni religiose. È, anche e sopratutto, questione d'ascolto, di capacità d'ascoltare. E riguarda noi, per tutto il troppo rumore che ci assedia, fuori e dentro. Ma questa sera c'è un bel silenzio. Irreale, quasi.
Finalmente, trafelato, Francesco arriva. Mentre saliamo le scale che portano al foyer, dalla strada alle nostre spalle ci arriva improvviso un clacsonare d'auto, la nefasta baraonda del traffico. Mi volto e capisco. Sono le otto di sera. Hanno riaperto il traffico sull'isola pedonale di via Maqueda di fronte al Massimo. Le auto ora invadono la strada, tracciata molto tempo prima dal viceré Bernardino de Cárdenas y Portugal, duca di Maqueda, e scorrono veloci verso la stazione ferroviaria. Tutto torna nella normalità, e nel rumore. Entriamo presto in teatro, come in un rifugio.
«La mia Sinfonia sarà qualcosa che il mondo non ha ancora udito. La natura parla qui dentro e racconta segreti tanto profondi che forse ci è dato di presentire solo nel sogno. Talvolta mi sento veramente a disagio e mi pare di non essere io a comporre: proprio perché riesco a realizzare ciò che voglio».
Nel 1895, quando inizia a stendere la partitura della Terza Sinfonia, Mahler ha trentacinque anni (era nato nel 1860 a Kalischt, in Boemia). L'anno prima, in giugno, il signor Lesch, capomastro del villaggio di Steinbach sull'Attersee, gli consegna una cabina di sei metri per sei, con la porta d'ingresso e tre piccole finestre. Intorno, uno dei laghi più grandi dell'Alta Austria, prati verdi e sterminati, boschi, silenzio. In questo suo buen retiro, quasi un fantastico locus amoenus a giudicare dall'illustrazione di Ludwig Halauska del 1872, Gustav Mahler compone, durante le vacanze estive, la Sinfonia n. 3, ben lontano dal suo lavoro invernale di direttore d'orchestra e di teatro, ad Amburgo. E nei suoni di questa gigantesca sinfonia - la più lunga mai composta - c'è il colore d'una sola stagione: l'estate.
Le maschere ci fanno accomodare. Non si possono scattare fotografie durante il concerto. Dicono. Durerà un ora e quaranta. Francesco non era mai entrato al Teatro Massimo. Si guarda intorno. La grande sala a ferro di cavallo. Le raffinate composizioni dei cinque ordini di palchi e del loggione. I grandi pannelli lignei affrescati nel soffitto, sopra la platea. Il palcoscenico è affastellato di sedie per il coro e gli orchestrali. Sembrano più di quelle che ci sono in platea. Accoglieranno l'immenso organico, voluto da Mahler per eseguire i sei movimenti di questa sinfonia. L'orchestra. Trentuno violini. Dodici viole. Nove violoncelli. Otto contrabbassi. Due arpe. Quattro flauti. Quattro oboi. Cinque clarinetti. Quattro fagotti. Otto corni. Cinque trombe. Quattro tromboni. Una tuba. Due timpani. Cinque musicisti alle varie percussioni. Il coro femminile. Venti soprani. Otto mezzosoprani. Nove contralti. Il coro di voci bianche. Quarantuno bambini. Infine, una mezzosoprano solista. Qualcuno di loro sta accordando gli strumenti. La gente prende posto, e anche noi ci accomodiamo. Una voce ricorda di spegnere i cellulari. Timidi applausi mentre entra e prende posizione il coro delle voci bianche e quello femminile. Poi, a seguire, l'orchestra e la mezzosoprano, Marianna Pizzolato. Si aspetta il direttore, Gabriele Ferro. Qualcuno si fa ora largo tra gli orchestrali e dalla platea parte un applauso che rapido si smorza e svanisce. Un trombettista in ritardo. Sorride imbarazzato guardando il pubblico, poi si siede. Pochi attimi. Entra il direttore. Applausi. Le luci si abbassano. Silenzio. Mahler. Terza sinfonia in Re minore. Sei movimenti.