Dalla parola al movimento: è questo che echeggia quasi nell’immediatezza nel pensare a un grande masterpiece dell’Estetismo, quale è “Il ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde, e a Marcello Carini, danzatore, coreografo e regista. Al Teatro Orione di Palermo sabato 27 maggio alle ore 21.30 va in scena la rivisitazione che ne ha scritto Chiara Giacopelli. Abbiamo incontrato Marcello Carini, che ne ha curato la regia. – Sicily Present
Quale legame intercorre tra queste due forze che si sono unite, la danza e la drammaturgia nuova, per rimettere in discussione questo grande capolavoro letterario?
“Tutto nasce da un’intenzione comune, mia e dell’autrice, di partire prima di tutto da un’idea intensa e forte di creatività. Il passo, come la parola, trasmette delle emozioni e delle sensazioni fortissime. Entrambe le arti hanno la stessa quantità e qualità di potere ipnotico: sono entrambe in grado di creare crisi. Quello che lega queste due arti non è altro che la loro indiretta somiglianza, una capacità insita di scavare nell’animo umano attraverso l’immagine mobile”.
Chi ha già parlato di questo attesissimo debutto, ha alluso a un vero sperimentalismo criptato. “Dorian” è stato definito un vero codice segreto da decodificare. Dalla drammaturgia alla coreografia attoriale: da Dorian Gray a Dorian. Qual è stata la sua evoluzione?
“Trovare un’unica chiave perfettamente capace di corrispondere alle intenzioni letterarie dell’autrice, Chiara Giacopelli, e quelle mie, registiche, è stato fin da subito il mio proposito, e anche il suo. La mia regia non cambia nessuna parola, ma le sfida tutte. Più che di un codice segreto, credo sia più opportuno parlare di scavi interiori. Anche per me è stata una sfida; attori e danzatori non sono la stessa cosa e hanno tormenti interiori assai differenti; ma ciò che, al contempo, li accomuna perfettamente è proprio questo: il viaggio interiore col corpo”.
Il piacere e la contraddizione sono le prime parole che salgono alla mente pensando a Dorian Gray. Chi è Dorian Gray per Marcello Carini?
“Dorian Gray rappresenta, nella mia regia, il mondo stesso: confuso, affamato, indeciso, scontento, presuntuoso, incapace, voluttuoso. Meriti e vizi si mescolano in una personalità complessa di un uomo che vuole tutto, prende tutto e confonde tutto. Il suo ritratto, che a un certo punto è persino più vivo di lui, lo avvolge e travolge come una macabra maledizione che lo svuota completamente, lo crea e lo distrugge senza mezze misure, senza nessuna indecisione. Dorian non ha nessuna empatia: non soffre e non gioisce; si compiace del momento e se ne dimentica l’istante successivo. Una macchina da guerra che fa guerra a se stessa e non trova pace”.
Si parla di coreografia applicata al racconto scritto, di movimento e parola in perfetta simbiosi. Cosa intendiamo esattamente con questa insolita eclissi tra testo e passo?
“L’intero cast degli attori, ben undici, per affrontare questa traversata oceanica, ha dovuto inevitabilmente conoscere la propria interiorità attraverso il movimento. Così come Dorian col ritratto, ciascun attore ha dovuto dipingere da solo, con tutto il suo bagaglio sensuale, il proprio ritratto. In favore di questa causa sono stati di immenso aiuto dei Laboratori Emotivi, tenuti da me, insieme a loro, per permettere a loro stessi di prendere libere o guidate iniziative di gestualità e movimento guardandosi dentro, allo specchio o uno di fronte all’altro. Il risultato è stato veramente incredibile”.
Ci si aspetta qualcosa di provocante e originale. D’altronde, non si può non parlare di provocazione senza Dorian Gray. Ma quali sono le provocazioni di questa rivisitazione? Chi sono i personaggi che trasformano “Il Ritratto di Dorian Gray” in “Dorian”?
“Sono ritratti. Ciascun personaggio mi ha attraversato personalmente. Ognuno di questi detiene un fascino e una contraddizione incredibili. Ogni personaggio si presenta in un modo in una determinata circostanza, per poi rinnegarsi poco dopo una volta cambiata quella circostanza. Si tratta di un vero circo di folli, dove tutti impazziscono nel cercare loro stessi senza decidere mai definitivamente chi essere e come. Forti e deboli, cauti e terribili: sì, è tutta una contraddizione, ma del resto lo è anche il mondo e tutti noi”.