(11 agosto 2015) – «L'arte non è niente se non è vita». Ed effettivamente catturare la vita, catturare la vitalità della vita, immedesimarsi con la vitalità della vita, sembra l'ideale onnipresente di tutte le opere in esposizione: dalla Suite dei Saltimbanchi alle venti raffigurazioni dei poemi di Gongora, alle splendide ceramiche, nella mostra "Pablo Picasso e le sue passioni", a Milazzo dal 10 luglio al 6 settembre, Picasso viene incontro nella sua passione, perché «por desgracia uso las cosas según me lo dicta mi pasión».
Il visitatore si sente assalire di domande: cos'è questa passione? cos'è questa vita che tracima da tutte le parti? Lo sguardo alle opere provoca, in certi casi disturba: per Picasso la vita sembrerebbe, a volte, un fenomeno violento, una forza primordiale, l'energia animale, il rapporto con il femminile – non disteso, non piano, non puro. Ma altrove è la separatezza e la tristezza, la giocosità mesta del saltimbanco. Ancora, è, progressivamente, il tentativo di un'estrema semplicità: stupendi i volti delineati con tre o quattro tratti, spiazzante il piatto con la rappresentazione dell'arena - il puro bianco e due trattini, il toro e il toreador.
Sicuramente val la pena andare a vedere questa mostra: per paragonarsi, per farsi sollecitare – non certo per bearsi o trovare risposte. Risulta anche alquanto insoddisfacente andarci per velleità intellettuale: senza domande, perché «l'arte è per l'arte» – e quindi va bene se manco io. La mostra è un fenomeno umano: non finisce guardando, ma lì comincia, aprendo la tenzone e il dialogo tra il cuore dell'artista e il cuore del fruitore.
E la mostra è tutto: ad esempio, la dolcissima ed elegantissima signora che, se si è fortunati, si può trovare ad accogliere i visitatori e che, se interpellata, svela i numerosi segreti di un'intelligenza che ha osato il paragone. È anche la splendida cornice che ospita la mostra, Palazzo d'Amico, palazzo nobiliare di fondazione cinquecentesca rimaneggiato nel Settecento, con i suoi splendidi soffitti e le scale con le rose a otto punte (le lettere di "Ave Maria"). È, ovviamente, soprattutto, Picasso: come suggeriva Luca Doninelli in un suo articolo del 2012, proviamo a guardare, a guardare veramente i pezzi esposti e forse intravedere lui.