«Imparare a volersi bene». Intervista a Silvio Cattarina

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(18 novembre 2015) – Incontriamo Silvio Cattarina in procinto di tornare a Pesaro, dopo quattro giorni di tournée siciliana dedicata alla presentazione del suo ultimo libro: Un fuoco sempre acceso (Itaca, Castelbolognese, 2014).

La prima domanda è sulle ragioni del viaggio in Sicilia.

“Certamente – dice – siamo venuti in Sicilia, io e alcuni dei ragazzi ospiti della comunità L’Imprevisto, anche per presentare il libro che racconta un pezzo di questa storia, ma siamo qua soprattutto per raccontare questa storia, attraverso i protagonisti che sono i ragazzi nostri ospiti, certamente non io né i pur validi operatori della struttura”.

Gli chiediamo allora di parlare degli incontri avuti.

“Attraverso il Centro Culturale Il Sentiero e la cooperativa Parsifal di Palermo e altri amici e associazioni di Castellammare e di Termini Imerese abbiamo avuto modo – prosegue subito – sia di presentare, ma anche di essere ospiti in alcune scuole, dove abbiamo parlato di noi, della nostra esperienza in cooperativa, ma soprattutto abbiamo risposto alle tante domande che ci sono state poste”.

Nelle scuole, in particolare, chi avete incontrato?

“Insegnanti, studenti, genitori e operatori della formazione; tutta gente interessata e che vive, spesso in modo drammatico, il problema dell’educazione. Tanti che pur nella difficoltà che richiede il compito educativo non vogliono delegare ad altri questa responsabilità e che chiedono, magari in modo inconsapevole, di essere aiutati”.

Ma la vostra è una esperienza particolare, rivolta a evidenti casi di devianza, soprattutto con tossicodipendenti. Come potete aiutare una mamma o un insegnante che hanno problemi più semplici, come quello di far studiare meglio i propri allievi o i propri figli?

“Il problema è lo stesso – risponde – anche se si presenta in forme diverse. Si tratta di far appassionare tutti al valore della vita e della propria vita, a partire dalla condizione che ciascuno vive, sia essa apparentemente normale o formalmente diversa. La prima cosa che noi chiediamo ai ragazzi che chiedono di entrare in comunità non è di cambiare, ma di imparare a volersi bene, per quello che sono”.

E come comunicate questo a loro?

“Nel modo più semplice e ovvio – replica – cominciando noi per primi a guardarli e a percepirli per quello che sono e non per l’etichetta che la società ha appiccicato loro”.

Chiediamo allora a uno dei due ragazzi che lo accompagnano di spiegare meglio questa affermazione, magari di svelarci qual è il segreto della buona riuscita dell’attività della cooperativa.

“Il segreto della esperienza che ho fatto e faccio all’Imprevisto – dice Massimo – sta nella parola sguardo. Mi riferisco cioè al modo in cui sono stato guardato fin dal primo giorno che ho messo piede per il primo colloquio nella comunità. La società giudica me, e quelli come me, con l’etichetta tossico, una parola che ognuno riempie di ciò che vuole, ma sempre con valore negativo. Per tutti siamo persone da cui difendersi, che non meritano fiducia, cui non si può affidare alcun compito, forse recuperabili in futuro, ma sempre inesorabilmente marchiati dalla dipendenza dalla droga. In comunità sono stato preso sul serio da subito e da subito sono stato costretto a prendere sul serio gli altri”.

Torniamo a Cattarina e gli chiediamo: ma come fate, allora, a far funzionare tutta la baracca? Ci vorranno pur delle regole? Subito riprende:

“Le regole sono tante e spesso molto faticose da rispettare. Per esempio appena arrivano chiediamo ai ragazzi di consegnare telefonini e strumenti elettronici. Richiesta molto dura che ben presto viene condivisa perché la vita in comune impegna tutta la giornata nei rapporti e nelle cose da fare. Chiediamo lo stesso ai genitori”:

Cioè?

“Cioè chiediamo loro di non preoccuparsi ogni giorno o ogni minuto di avere notizie dei loro figli, come abitualmente fanno tanti genitori. Se hanno affidato i loro figli a noi devono fidarsi, pur con le necessarie verifiche. Noi li teniamo costantemente e periodicamente informati, secondo i tempi stabiliti da noi e non da loro. Così possono venire in comunità per incontrarli e poi andando avanti i figli possono tornare periodicamente anche a casa. Garantisco che funziona. Chiedetelo a loro.”

Ed in effetti i due ragazzi presenti annuiscono visibilmente. Vi è un pezzo di questa storia dettagliatamente raccontata nel libro che merita di essere detta. Ci riferiamo al percorso fatto per giungere alla organizzazione di due luoghi di convivenza uno per ragazze e uno per ragazzi. Chiediamo a Cattarina ragione di questa scelta.

“All’inizio dell’esperienza la comunità era una sola – spiega – perché pensavamo che fosse giusto fare così. Poi decidemmo di dividere gli ospiti in comunità maschili e femminili. Una decisone lungamente discussa e sofferta, proprio perché ‘non politicamente corretta’. Ma alla fine furono proprio i giovani ospiti a capirla e sostenerla fino a dire, potete leggerlo nel libro: «Perché avete impiegato tutto quel tempo a capire una cosa così semplice? … Voi la sera andavate a casa vostra, ma noi stavamo qui giorno e notte, sabato e domenica, con in testa solo lo scopo di conquistare quella ragazza, peraltro nel modo più rocambolesco e trasgressivo possibile, sennò che gusto c’era poi nel raccontarlo agli altri?» Ecco, questo esempio è forse il più emblematico sul tema delle regole”.

Poi prende il libro e a colpo sicuro va a pag. 69 e legge:

“La comunità, allora, è una realtà significativa se è seriamente condotta e seguita, se è accompagnata e sorretta e, soprattutto, se in essa vive qualcosa che continuamente lancia verso nuovi traguardi e orizzonti, che aiuta a desiderare di abbattere i limiti dell’esistenza, che sollecita ad aprire lo sguardo, a desiderare tanto e tutto, a sacrificare la fatica, che spinge a voler bene anche al male, al piccolo, al fragile, all’effimero”.

Appena il tempo di finire di leggere e squilla il campanello. Bisogna andare all’aeroporto. Gli aerei non attendono. Mentre scendiamo le scale proviamo a fare ancora una domanda. Ma Silvio, bonario e sornione, risponde:

“C’è tutto nel libro. Se no che siamo venuti a fare? Leggetelo e fatelo leggere!”.

Si chiude lo sportello dell’auto, ma dal finestrino c’è tempo per un’ultima frase:

“Invitateci e torneremo”.

E allora arrivederci ad una prossima volta.


Conversazioni - "Imparare a volersi bene". Intervista a Silvio Cattarina

Nelle immagini: alcuni momenti della presentazione a Palermo del libro "un fuoco sempre acceso". L'incontro si è tenuto il 10 novembre 2015 ed è stato organizzato dal Centro Culturale Il Sentiero e dalla Cooperativa Parsifal.


Silvio Cattarina è nato a Storo, in Trentino, 59 anni fa. Laureato in Sociologia a Urbino nel 1979 ha conosciuto don Gianfranco Gaudiano con cui ha iniziato il lavoro di operatore presso varie Comunità terapeutiche fino alla nascita della cooperativa sociale “L’Imprevisto”, che gestisce a Pesaro sei strutture di accoglienza. Ad essa si è aggiunta nel 2003 la cooperativa sociale «Più in là» per le attività di tipo lavorativo. I Centri e le Comunità lanciati da Silvio Cattarina rappresentano un punto di riferimento e un modello osservato e studiato per la sua unicità e per il suo rilevante interesse oltre che per i suoi significativi risultati.

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