(27 febbraio 2016) – Lunedì 1° febbraio 2016 nella sala “Lucia Giannì” di Partinico è stato presentato il volume “Pina Suriano: Gli scritti”, che inaugura la collana “Scripta manent” della Biblioteca “Ludovico II De Torres” del Seminario Arcivescovile di Monreale. Curatori del volume: Giovanna Parrino, presidente dell’Azione Cattolica e don Giuseppe Ruggirello, vicerettore del Seminario e direttore della biblioteca. A conclusione della bella serata ricca di testimonianze ed incontri significativi ho chiesto di poter approfondire i contenuti dell’opera a Giovanna Parrino.
L’appuntamento è per le 12.00 dietro le absidi della Cattedrale di Monreale. Per quanto abbia cercato di essere puntuale, Giovanna Parrino mi ha proceduto. E’ già lì ad attendermi con il suo sorriso luminoso che esprime tutto il desiderio dell’incontro che faremo, in un luogo che non ho mai visitato: il Seminario della diocesi. Ci addentriamo, infatti, in un dedalo di viuzze fatte di case basse e di balconi fioriti ed improvvisamente, tra un paio di lenzuoli stesi ad asciugare ed l’insegna di un negozietto di souvenir, accompagnati sempre da piccoli cumoli di immondizia che attendono di essere portati via, ci troviamo di fronte ad un grande portone: uno squillo al citofono e si apre un ambiente assolutamente inatteso. Il seminario occupa, infatti, lo spazio interno di vecchie costruzioni, ristrutturato e reso funzionale con sobrietà ed efficienza. Accompagnati da un silenzio naturale e spontaneo, che non è frutto di alcuna imposizione, tra scale, corridoi e piccole stanze di disimpegno mi accompagna nella biblioteca, in quello che in questo momento è il suo quartier generale. Sui due tavoli sono disseminate tutte le “carte di Pina Suriano”, pronte per l’ultima sistemazione prima di tornare lì dove saranno conservate: a Partinico, nell’archivio del Santuario in cui riposano le sue spoglie mortali.
“Queste sono le mie compagne più care, quelle con cui ho trascorso più tempo negli ultimi due anni”, mi dice compiaciuta. Ed aggiunge: “Adesso che abbiamo concluso il nostro lavoro possono tornare a casa ed io tornare alle compagnie più umane, cioè quelle delle persone in carne ed ossa”.
In effetti, la cosa più incredibile del lavoro che è sfociato nella stampa del libro che raccoglie tutti gli scritti della beata da Partinico è il poco tempo utilizzato. La prima domanda è su come sia stato possibile scrivere e pubblicare così velocemente un libro di ben 848 pagine.
“Il merito è prima di tutto della beata che ci ha fatto sorgere questo desiderio e ci ha dato la passione e le energie per compiere questo piccolo miracolo editoriale. Ma molto si deve alla dedizione degli amici con cui abbiamo condiviso questi 24 mesi di lavoro”. In giro non si vede nessuno, faccio fatica a comprendere. Ma subito spiega: “All’inizio eravamo quasi una decina di giovani riuniti per fare un Master presso l’Officina di studi Medievali di Palermo sulla Conservazione e la Valorizzazione del patrimonio librario antico. Dovendo fare il tirocinio, don Giuseppe ci ha dato la possibilità di svolgerlo nella Biblioteca del Seminario arcivescovile “Ludovico II Torres” di Monreale; poi abbiamo anche costituito un’associazione culturale per attuare alcune idee che ci erano venute in mente nel corso del lavoro svolto insieme”.
Sono costretto ad interromperla per chiedere lumi su questa biblioteca e su questo De Torres, a me francamente ignoto fino a quel momento. Prontamente risponde: “Si deve alla lungimiranza del cardinale Ludovico II De Torres, che fu arcivescovo dal 1588 al 1609, la nascita del seminario e con esso della biblioteca. Il primo nucleo fu costituito dai libri dello stesso De Torres cui via via si aggiunsero tanti altri lasciti e donazioni”. Giovanna inizia così un racconto appassionato e dettagliato che rischia di accompagnarci fino a tarda sera. Le chiedo di giungere velocemente ai nostri giorni. E così riprende: “I lasciti più recenti sono quelli di Domenico Lancia dei duchi di Brolo, arcivescovo dal 1884 al 1919, del notaio Domenico Leto, nel 1933, del compianto arcivescovo di Monreale card. Francesco Carpino, che istituì la fondazione “San Tommaso d’Acquino”, per assicurare alla biblioteca una rendita con cui far fronte agli acquisti. Per ultimi vanno ricordati i lasciti di mons. Corrado Mingo, arcivescovo tra il 1961 e il 1978, quello del rev. Antonio Palmeri arciprete di Chiusa Scalfani che nel 1968 donò la monumentale opera di Jacques Paul Migne, che consta di quasi 400 volumi relativi alla Patrologia greca e latina”. Si ferma un attimo. Io penso che abbia concluso, ma subito riprende: “Stavo dimenticando il lascito più recente, quello del comm. Salvatore Renda Pitti, formato da beni personali e da molti volumi, tra cui tante cinquecentine ed altri libri per un totale di quasi 10.000 opere”.
Conclusa la dettagliata ricostruzione della storia biblioteca torniamo al racconto della nascita del libro e dell’amicizia tra quanti hanno curato l’opera.
“In questi anni abbiamo anche partecipato a dei bandi pubblici, che però non abbiamo vinto. Tuttavia da questa apparente sconfitta sono scaturite le premesse per una inattesa vittoria: la possibilità di dedicare tempo e impegno per raccogliere in un unico volume tutto quanto ha scritto e ha lasciato la beata Pina Suriano”.
Il silenzio sembra essere leggermente scalfito da un brusio nei corridoi. Giovanna spiega che sono i seminaristi che, interrotto lo studio mattutino, si recano in cappella per la recita dell’ora media prima del pranzo, puntualmente servito alle 13, e riprende il racconto.
“Circa due anni fa la nostra amicizia e la nostra avventura ha fatto un salto di qualità nell’incontro con Don Giuseppe Ruggirello, vicerettore del seminario e direttore della biblioteca. Lui ha compreso, forse più e meglio di noi, lo stato di disagio che vivevamo, frutto di un mix di gradi aspirazioni e desideri e di altrettanta precarietà lavorativa. Ci ha formalizzato la proposta che oggi è divenuta realtà: la raccolta e la pubblicazione degli scritti della beata”.
Il mio interesse è sempre più richiamato dalla documentazione sparsa sul tavolo. Giovanna intuisce e mi rassicura. “C’è tempo per vedere tutto, con calma”. Ed allora chiedo di proseguire nella narrazione. E così riprende: “Del gruppo iniziale abbiamo accettato in quattro, tre ragazze e un ragazzo: io, Claudia D'Arcamo, Manuela Randazzo e Alessio Sola. Il compito era duplice: studiare quanto non era mai stato pubblicato fino a quel momento e verificare alla fonte le trascrizioni che don Andrea Soresi aveva fatto a suo tempo”. Ancora una volta devo chiedere informazioni su questo prete che non conosco. Giovanna, paziente e benevola, inizia a parlare del sacerdote che fu direttore spirituale della beata, ma soprattutto fu il primo che comprese il valore dei suoi scritti, raccogliendoli e catalogandoli, oltre che pubblicandone una parte nella prima biografia su Pina Suriano. Poi entra nel merito del lavoro compiuto.
“Tutto il materiale disponibile era raccolto in un unico faldone (che indica sul tavolo, ma in questo momento vuoto) che conteneva 12 buste, anch’esse allineate sul tavolo, con l’aggiunta di tre quadernetti in cui scriveva prevalentemente le lezioni di catechismo che impartiva ai più giovani, oltre ad una notevole quantità di fogli di ogni dimensione in cui annotava quanto le accadeva di significativo. Tra il materiale mai trascritto e quindi inedito, abbiamo trovato risposte alle lettere da lei inviate alle amiche. Un lavoro quasi certosino è stata la comparazione tra i manoscritti e il dattiloscritto originale, di cui ci ha fornito la trascrizione don Giuseppe. Abbiamo voluto verificare se don Soresi aveva trascritto fedelmente o aveva apportate modifiche, magari volte alla interpretazione del pensiero originale. Tutto ciò è riportato nelle note critiche che si trovano nel libro”.
Più Giovanna parla, più la sua passione si trasmette, più aumenta la mia curiosità. Vorrei alzarmi a guardare il contenuto delle 12 buste rosse sul tavolo, ma devo attende il suo via libera. Riprendo ad ascoltare, invitandola ad entrare nel merito di ciò che hanno scoperto con il loro studio. “Abbiamo verificato quanto la beata riflettesse prima di scrivere, abbiamo trovato numerose cancellature, per esempio nella scelta degli aggettivi, segno di un pensiero tutt’altro che superficiale o istintivo e talvolta anche qualche macchia, segno probabilmente di una o più lacrime versate”. Chiedo allora un loro giudizio nel merito dei contenuti del pensiero della beata. “L’aspetto più sorprendente è stata la scoperta di quanto l’appartenenza all’Azione Cattolica producesse dal punto di vista culturale. Essere dell’A.C. voleva dire – non dimentichiamo che siamo tra gli anni ’30 e ’40 - possedere una sorta di valore aggiunto di conoscenze e di giudizi frutto della partecipazione alla vita associativa. Lo stesso elemento abbiamo potuto riscontrare anche negli scritti di altri aderenti all’A.C., come per esempio Alberto Marvelli o altri beati coevi. Tutto ciò vuol dire che c’era un filo rosso che legava gli iscritti all’A.C. del tempo, frutto di una stampa associativa che curava la formazione, che proponeva un metodo, che offriva dettami che giungevano da Roma e poi venivano trasferiti a tutte le parrocchie. La beata innanzitutto faceva proprio tutto questo patrimonio e poi cercava di trasmetterlo alle “giovani” e alle “beniamine” dell’A.C. di Partinico”. Sono costretto ad interromperla per ricordarle che Pina Suriano aveva compiuto studi fino alla quinta elementare e che pertanto questa descrizione mal si addice ad una persona con un così basso tasso di scolarità. Giovanna sorride e corregge: “Si, è vero, a livello di istruzione aveva la quinta elementare, ma grazie al lavoro fatto nell’A.C, sia come alfabetizzazione che come trasmissione di contenuti culturali, riusciva a mediare quanto proveniva dal centro nazionale che dal magistero pontificio, e a renderlo interessante per le persone con cui si intratteneva. Ciò produceva valore aggiunto nella sua persona e nella comunicazione del suo pensiero. Lo studio che abbiamo fatto per esempio sulle sue conoscenze del Vecchio e Nuovo Testamento dimostrano che ne aveva una assoluta e approfondita conoscenza, oltre che una indubbia capacità interpretativa”. Continuo a mostrarmi perplesso, se non scettico. Ed allora Giovanna mi fa notare un particolare che mi era sfuggito. “La beata non parlava mai in dialetto. E questo era un elemento di distinzione voluto e preteso a quanti la attorniavano e lavoravano con lei. Distinzione non vuol dire in questo caso presunzione, ma elevazione; il loro gruppo doveva fungere quasi da battistrada, nel pur ristretto ambiente partinicese. Infatti, nelle riunioni leggevano, per esempio il Vangelo, in italiano e lo commentavano sempre in italiano. Nelle poesie abbiamo trovato talvolta delle espressioni dialettali, ma sono scelte appositamente fatte perché sono espressioni poetiche, non perché frutto di un parlare abituale e comune. Certo utilizzava un italiano semplice, popolare, ma si esprimeva sempre in italiano. La sua famiglia era molto semplice, suo padre era un bracciante agricolo, che per motivi di lavoro era stato anche fuori e sua madre era una casalinga. Forse a casa parlavano in dialetto, ma lei fuori con le amiche, anche in momenti di svago o privati parlava sempre in italiano. Pina era una donna moderna a partire dalle scelte più semplici che compiva: tornare tardi la sera, entrare in tutte le case per visitare ammalati e infermi. Per ultimo non dimentichiamo il suo impegno in occasione della prima volta del voto alle donne nel 1948”.
Ritengo che finalmente sia giunto il momento di osservare più da vicino il carteggio sul tavolo, ma si è fatta l’una. In seminario si pranza. Ed ecco entrare don Giuseppe Ruggirello. Sapeva della mia visita e preso atto dell’ora tarda mi invita a pranzo.
Attraverso scale e altri corridoi mi conducono in sala mensa. Attorno ad un tavolo a ferro di cavallo sono in attesa i seminaristi. A capo tavola i superiori e gli ospiti. Durante il pranzo don Giuseppe mi aggiorna sui prossimi impegni. C’è in programma una presentazione del libro a Palermo, una ad Agrigento ed una più in là nel tempo a Roma. Elogia il lavoro svolto dai ragazzi, così li chiama, ma ci tiene a precisare che si tratta solo dell’inizio, perché ritiene che la pubblicazione degli scritti genererà fatti nuovi e imprevedibili. A tavola c’è anche don Carmelo Vicari, il parroco di Sant’Ernesto a Palermo, la parrocchia che nel mese di ottobre ha ospitato per quattro giorni le reliquie della beata. È venuto a comunicare a don Giuseppe la decisione assunta in parrocchia di ristrutturare la cappella della Misericordia presente in chiesa con due immagini: una del beato Pino Puglisi e una della beata Pina Suriano. “Abbiamo indetto un concorso sotto la guida di un apposito comitato e secondo delle tappe già definite contiamo di inaugurare la cappella a conclusione dell’anno della Misericordia. Sono due beati che hanno sperimentato la Misericordia, la stessa che tutti noi vogliamo invocare nel corso di quest’Anno santo”.
Durante il pranzo c’è tempo per conoscere i seminaristi di Monreale, che provengono da tanti paesi diversi della diocesi e che ogni giorno scendono da Monreale a Palermo per frequentare le lezioni alla Facoltà Teologica di Sicilia. C’è tempo per conoscere le storie di alcuni e la passione per la Chiesa che anima tutti, anche se “gran parte del nostro tempo per ora va dedicato allo studio”, spiegano.
Terminato il pranzo possiamo tornare il biblioteca, accompagnati anche da don Giuseppe, il quale inizia coll'indicarmi le diciture e il contenuto delle 12 buste arancione, quelle accuratamente ordinate da don Soresi secondo la tipologia degli scritti che contengono e che è stata fedelmente riportata nei 12 capitoli del libro. Colpisce subito la scrittura ordinata e chiara (a quei tempi la bella scrittura si insegnava a scuola) ma anche la ricerca delle parole e delle frasi più adatte, così come Giovanna aveva anticipato. Ma l’attenzione è colpita dai quadernetti che utilizzava per le sue lezioni di catechismo alle ragazze dell’A.C., la cura dei disegni esplicativi, colorati con i modesti mezzi di cui disponeva, i riferimenti alle Sacre Scritture. C’è anche qualche foto d’epoca e poi scritti non facilmente classificabili, non sempre datati o databili, su fogli molto grandi e fuori dall’ordinario che racimolava chissà dove. Don Giuseppe li sfoglia con fare attento e riguardoso. Un pizzico di commozione emerge fra tutti. Il tempo trascorre veloce. C’è sul serio il rischio di fare sera. Ci lasciamo con l’impegno a tornare e con la certezza che ancora una volta la beata Suriano ha fatto nascere una nuova amicizia.