“Partiamo da ciò che c’è (e non lamentiamoci di ciò che manca)”. Dal Meeting di Rimini un invito per la burocrazia italiana

È possibile superare il concetto di “casta” per giungere a quello di comunità professionale? È possibile tutto ciò nella così tanta vituperata Pubblica Amministrazione? È possibile migliorare la burocrazia italiana?

Questi in sintesi gli interrogativi attorno a cui si è dipanata la tavola rotonda svoltasi sabato 20 agosto al Meeting di Rimini dal titolo: “Lavoro pubblico e bene comune. Dalla casta alla comunità professionale”. Attorno a Salvatore Taormina, dirigente regionale che ha ricoperto tra l’altro la carica di dirigente generale in diversi dipartimenti e di Segretario Generale della Presidenza, si sono raccolti Giovanni Pitruzzella, che attualmente è Presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, il manager e scrittore Francesco Fabrizio Delzio e il presidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria e Vice Presidente di Confindustria, Marco Gay.

Punti di osservazione ed esperienze diverse accomunate da quanto detto da Taormina all’inizio: partire innanzitutto da ciò che c'è, cercando magari di capire perché c'è, più che attaccarsi a quello che manca. Un percorso, dunque, verso un positivo, anche se da raggiungere con fatica e nella massima chiarezza.

La prima provocazione è stata posta da Marco Gay che partendo dal suo punto di osservazione – quello del lavoro “privato” – ha affermato senza mezzi termini che è giunto il momento di superare la contrapposizione tra pubblico e privato, tra lavoro nella pubblica amministrazione e lavoro nel settore privato. “Il pubblico ha bisogno del privato – ha sintetizzato – e il privato non può fare a meno del pubblico”. Ha proseguito evidenziando la necessità di dare voce alle esperienze già in atto, come alcune presenti nella sua organizzazione, nelle quali ciò accade con continuità. “Da queste esperienze – ha spiegato – può nascere quello che chiamo ‘Umanesimo industriale’. Occorre prendere consapevolezza che il posto di lavoro non si identifica più con un luogo, ma s'identifica ormai con la persona; che non può svolgersi a prescindere, quindi, dalla valorizzazione del talento del capitale umano e della capacità di rendere fruibile e di lasciar esprimere questo talento. Questa capacità deve essere il primo obiettivo che ci si deve porre, anche nel settore della pubblica amministrazione senza cadere nel luogo comune che ‘tanto chi lavora nel pubblico non ha obiettivi di risultato, di performance, di raggiungimento di eccellenza’. Nel pubblico come nel privato ci sono talenti da valorizzare e questo è un obiettivo prioritario anche nella Pubblica amministrazione”. Sollecitato a approfondire il tema ha aggiunto: “Di fronte ad un cambiamento così veloce della società, non possiamo fermarci sulle rivendicazioni. Occorre individuare e conseguire obiettivi comuni, nel rispetto di valori condivisi. Per questo bisogna sostenere quelle comunità che tendono a conseguire il cambiamento piuttosto che di annunciarlo, e inoltre lo fanno giorno per giorno”. Ha poi spiegato che c’è assolutamente bisogno di premiare il merito sulla base di regole certe. La produttività non è sempre vista come aumento della redditività; la produttività é anche e semplicemente dire: ‘troviamo un accordo per fare meglio quello che già si fa e facciamolo con tempi e modi certi’. Premiare il merito anche nel pubblico deve esser legato al raggiungimento degli obiettivi, quindi a come la macchina funziona di più. Inoltre deve essere sicuramente prevista una responsabilità per il lavoratore pubblico, che deve essere commisurata all'obiettivo che deve raggiungere; quindi, il merito va premiato nel pubblico e nel privato anche per un motivo educativo.

Sul tema della responsabilità è intervenuto subito il manager e scrittore Francesco Fabrizio Delzio. Proprio partendo dall’analisi svolta nel suo recente libro “Opzione zero” ha citato l'economista francese Vincent de Gournay, quello che coniò il termine burocrazia, che scrisse: «Siete solo degli illusi: trasformare il governo dei funzionari in uno strumento per il bene comune è un'utopia».

Ma ha subito precisato: “Non è esattamente questa la mia visione della Pubblica amministrazione. Al contrario, sono convinto che i lavoratori del pubblico impiego non potranno più giocare la storica carta dell'immobilismo professionale e psicologico. Non sarà certo una rivoluzione immediata, (non dimentichiamo che abbiamo nei nostri uffici una età media dei lavoratori che supera i 50 anni, la più alta d'Europa), ma la Riforma Madia esigerà tutto ciò”. Ha spiegato poi come a suo avviso si sia costruito un sistema della pubblica amministrazione che in definitiva blocca un Paese intero. “Infatti - ha detto - vi sono nella P. A. funzionari che pur essendo molto bravi non hanno ragione alcuna di assumersi una responsabilità. Questa è l’opzione zero di cui parlo nel mio libro. La conseguenza è che l’utente finisce col percepire come un eroe quel funzionario o quel dirigente che “decide di decidere”. Causa di ciò, a suo avviso è il sistema dei controlli e delle retribuzioni che “sembra fatto apposta per favorire la formazione di questa paralisi”, mentre basterebbe “dar vita ad un sistema di effettivo riconoscimento del merito che oggi è sostanzialmente assente nella pubblica amministrazione”. “Tutto questo – ha concluso – si renderà necessario per uscire dalla logica dell’anatra zoppa in cui versa la nostra P. A. e consentirle finalmente di spiccare il volo”.

“Se ci libereremo – ha aggiunto – da alcuni miti: quello secondo cui i funzionari pubblici siano mediamente meno preparati o meno capaci dei lavoratori privati e l’altro secondo cui i dipendenti pubblici siano troppi, potremo affrontare i veri problemi che immobilizzano la pubblica amministrazione, primo fra tutti quello del merito, sul quale anche la Riforma Madia inizia a intervenire. Chiariamo che merito non vuol dire premiare alcuni per punire altri, ma interrompere innanzitutto la logica dei premi a pioggia e premiare chi si assume responsabilità e rischi, come accade nel privato”.

È possibile superare il concetto di “casta” per giungere a quello di comunità professionale? È possibile tutto ciò nella così tanta vituperata Pubblica Amministrazione? È possibile migliorare la burocrazia italiana?

Questi in sintesi gli interrogativi attorno a cui si è dipanata la tavola rotonda svoltasi sabato 20 agosto al Meeting di Rimini dal titolo: “Lavoro pubblico e bene comune. Dalla casta alla comunità professionale”. Attorno a Salvatore Taormina, dirigente regionale che ha ricoperto tra l’altro la carica di dirigente generale in diversi dipartimenti e di Segretario Generale della Presidenza, si sono raccolti Giovanni Pitruzzella, che attualmente è Presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, il manager e scrittore Francesco Fabrizio Delzio e il presidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria e Vice Presidente di Confindustria, Marco Gay.

Punti di osservazione ed esperienze diverse accomunate da quanto detto da Taormina all’inizio: partire innanzitutto da ciò che c'è, cercando magari di capire perché c'è, più che attaccarsi a quello che manca. Un percorso, dunque, verso un positivo, anche se da raggiungere con fatica e nella massima chiarezza.

La prima provocazione è stata posta da Marco Gay che partendo dal suo punto di osservazione – quello del lavoro “privato” – ha affermato senza mezzi termini che è giunto il momento di superare la contrapposizione tra pubblico e privato, tra lavoro nella pubblica amministrazione e lavoro nel settore privato. “Il pubblico ha bisogno del privato – ha sintetizzato – e il privato non può fare a meno del pubblico”. Ha proseguito evidenziando la necessità di dare voce alle esperienze già in atto, come alcune presenti nella sua organizzazione, nelle quali ciò accade con continuità. “Da queste esperienze – ha spiegato – può nascere quello che chiamo ‘Umanesimo industriale’. Occorre prendere consapevolezza che il posto di lavoro non si identifica più con un luogo, ma s'identifica ormai con la persona; che non può svolgersi a prescindere, quindi, dalla valorizzazione del talento del capitale umano e della capacità di rendere fruibile e di lasciar esprimere questo talento. Questa capacità deve essere il primo obiettivo che ci si deve porre, anche nel settore della pubblica amministrazione senza cadere nel luogo comune che ‘tanto chi lavora nel pubblico non ha obiettivi di risultato, di performance, di raggiungimento di eccellenza’. Nel pubblico come nel privato ci sono talenti da valorizzare e questo è un obiettivo prioritario anche nella Pubblica amministrazione”. Sollecitato a approfondire il tema ha aggiunto: “Di fronte ad un cambiamento così veloce della società, non possiamo fermarci sulle rivendicazioni. Occorre individuare e conseguire obiettivi comuni, nel rispetto di valori condivisi. Per questo bisogna sostenere quelle comunità che tendono a conseguire il cambiamento piuttosto che di annunciarlo, e inoltre lo fanno giorno per giorno”. Ha poi spiegato che c’è assolutamente bisogno di premiare il merito sulla base di regole certe. La produttività non è sempre vista come aumento della redditività; la produttività é anche e semplicemente dire: ‘troviamo un accordo per fare meglio quello che già si fa e facciamolo con tempi e modi certi’. Premiare il merito anche nel pubblico deve esser legato al raggiungimento degli obiettivi, quindi a come la macchina funziona di più. Inoltre deve essere sicuramente prevista una responsabilità per il lavoratore pubblico, che deve essere commisurata all'obiettivo che deve raggiungere; quindi, il merito va premiato nel pubblico e nel privato anche per un motivo educativo.

Sul tema della responsabilità è intervenuto subito il manager e scrittore Francesco Fabrizio Delzio. Proprio partendo dall’analisi svolta nel suo recente libro “Opzione zero” ha citato l'economista francese Vincent de Gournay, quello che coniò il termine burocrazia, che scrisse: «Siete solo degli illusi: trasformare il governo dei funzionari in uno strumento per il bene comune è un'utopia».

Ma ha subito precisato: “Non è esattamente questa la mia visione della Pubblica amministrazione. Al contrario, sono convinto che i lavoratori del pubblico impiego non potranno più giocare la storica carta dell'immobilismo professionale e psicologico. Non sarà certo una rivoluzione immediata, (non dimentichiamo che abbiamo nei nostri uffici una età media dei lavoratori che supera i 50 anni, la più alta d'Europa), ma la Riforma Madia esigerà tutto ciò”. Ha spiegato poi come a suo avviso si sia costruito un sistema della pubblica amministrazione che in definitiva blocca un Paese intero. “Infatti - ha detto - vi sono nella P. A. funzionari che pur essendo molto bravi non hanno ragione alcuna di assumersi una responsabilità. Questa è l’opzione zero di cui parlo nel mio libro. La conseguenza è che l’utente finisce col percepire come un eroe quel funzionario o quel dirigente che “decide di decidere”. Causa di ciò, a suo avviso è il sistema dei controlli e delle retribuzioni che “sembra fatto apposta per favorire la formazione di questa paralisi”, mentre basterebbe “dar vita ad un sistema di effettivo riconoscimento del merito che oggi è sostanzialmente assente nella pubblica amministrazione”. “Tutto questo – ha concluso – si renderà necessario per uscire dalla logica dell’anatra zoppa in cui versa la nostra P. A. e consentirle finalmente di spiccare il volo”.

“Se ci libereremo – ha aggiunto – da alcuni miti: quello secondo cui i funzionari pubblici siano mediamente meno preparati o meno capaci dei lavoratori privati e l’altro secondo cui i dipendenti pubblici siano troppi, potremo affrontare i veri problemi che immobilizzano la pubblica amministrazione, primo fra tutti quello del merito, sul quale anche la Riforma Madia inizia a intervenire. Chiariamo che merito non vuol dire premiare alcuni per punire altri, ma interrompere innanzitutto la logica dei premi a pioggia e premiare chi si assume responsabilità e rischi, come accade nel privato”.

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Ha poi introdotto il tema del sistema delle regole. “Abbiamo legiferato – ha precisato - in Italia allegramente, in maniera sovrabbondante, per decenni. E nessuno si è mai preoccupato, purtroppo neanche il legislatore, della coerenza, della chiarezza, dell'efficacia di queste regole. Allora è giunto il momento di occuparci anche delle regole e non solo dei risultati che queste regole producono nella società”.

Prima di concludere è tornato sul tema della staffetta generazionale. “Nella riforma Madia – ha replicato - c’era un annuncio in tale direzione. Ma per poter realizzare la staffetta generazionale ci vogliono fondamentalmente soldi, nel senso che dobbiamo rinunciare alla politica ultra decennale del blocco del turnover. E dobbiamo iniziare a investire in maniera selettiva, chirurgica, qualitativa sui giovani Ecco questo rappresenta un segnale di cambiamento psicologico prima ancora che operativo, nella qualità delle competenze, decisivo per rilanciare la pubblica amministrazione e fare in modo che quella famosa anatra zoppa di cui parlavamo prima possa ricominciare a camminare e poi magari provare a volare”.

Numerosi i temi introdotti da Pitruzzella. Ma prima di iniziare ha voluto ringraziare gli organizzatori del Meeting per l’invito che gli hanno rivolto che “mi ha consentito – ha detto – di conoscere questa straordinaria esperienza umana su cui poter costruire un futuro soprattutto per le nuove generazioni”. “Nella mostra sui 70 anni della Repubblica – ha aggiunto – c’è un continuo riferimento alla necessità di ricercare il bene comune. Quello che Peppone e don Camillo, sapevano trovare nei momenti in cui erano in gioco le sorti del Paese. Questo obiettivo è particolarmente urgente oggi, anche nella P. A.”.

Entrando nel merito ha fatto appello proprio alla necessità di una battaglia culturale ed etica tra coloro che hanno una qualunque responsabilità per “ricercare le ragioni dello stare insieme”.

Per illustrare lo stato della P. A in Italia ha spiegato come di fronte alla crisi che nel 2008 ha coinvolto l’intera Europa ci siano stati Paesi che l’hanno subita meno e altri che l’hanno subita di più. “La differenza tra Paesi del nord Europa e paesi del sud (Italia, Grecia, Spagna, Portogallo, ecc.) che vi sono ancora dentro – ha spiegato – sta nello stato di salute della loro burocrazia. L’Italia non ha mai avuto una burocrazia, forte, autorevole, come la Germania ad esempio; la nostra per vari motivi è stata succube di interessi particolari. Una burocrazia che si autoalimentava piuttosto che servire il bene comune. Basti pensare all’uso clientelare che la politica ha fatto della burocrazia. Esempio sotto gli occhi di tutti: le assunzioni fatte nel Mezzogiorno come strumento per creare consenso politico o le rendite di posizioni acquisite da taluni per i rapporti avuti con i politici del luogo”. Continuando a spiegare queste differenze ha detto che in quei Paesi del nord Europa prima è nato lo Stato con una forte burocrazia e poi è arrivata la democrazia. “Da noi è avvenuto il contrario e ciò probabilmente ha reso la burocrazia succube del potere politico. Per questo motivo – ha proseguito – la burocrazia deve essere un coro professionale autorevole con uno spirito di corpo, con una sua professionalità e non deve essere alla ricerca di un padrino politico”.

Quanto poi ai temi della Riforma Madia, Pitruzzella ha volto subito precisare che essa non può esaurirsi con l’applicazione di una legge, quanto piuttosto con il seguire un processo, forse lungo, di cambiamento “che riguarda non solo le regole, ma anche la cultura e gli stili comportamentali”.

Pitruzzella è intervenuto ancora sul tema del merito per precisare che non “è stato inventato oggi”. “Se ne parlava – ha aggiunto - già nella riforma Bassanini. Perché non ha funzionato? Perché in realtà la politica non fissava programmi obiettivi non stabiliva risorse e mezzi adeguati agli obiettivi da raggiungere. In un'impresa si fissano costantemente dei target e quant’altro riguarda l'attività che si è posta, si stabiliscono dei mezzi magari limitati ma con dunque tendenzialmente adeguati al raggiungimento dell'obiettivo perché altrimenti c'è un giudice supremo il mercato che fa fuori tutti. Ebbene, la politica non ha mai fissato programmi, obiettivi. Quindi quella che dovrà essere la scelta di un dirigente sulla base del merito e la sua valutazione sulla base della sua capacità per raggiungere gli obiettivi che aveva accettato di raggiungere, ebbene tutto ciò non c'è stato”.

Per finire ha richiamato l’attenzione del numeroso pubblico su tre questioni.

“La prima – ha detto - è l’educazione. Bisogna intervenire sulla formazione professionale, sulla preparazione e sulla cultura della nostra burocrazia. La seconda riguarda il merito. Stiamo attenti però perché la burocrazia oggi è soffocata da eccessi di responsabilità formale. Se il pubblico funzionari quando opera corre costantemente il rischio di andare incontro al giudizio della magistratura penale questo può creare ulteriori complicazioni”. Come ultima ha scelto la questione della eccessiva produzione legislativa del nostro sistema che provoca incertezza in tutti, soprattutto tra gli operatori economici. “Quando un operatore economico straniero – ha raccontato – decide di investire in Italia, nessuno è in grado di dargli certezza sui tempi necessari per impiantare la sua impresa. Così non saremo mai competitivi. Facciamo le riforme, ma poi fermiamoci un attimo perché cambiare continuamente le leggi non fa bene a nessuno”.

Taormina ha concluso ricordando che “siamo alla conclusione del nostro percorso odierno che vuole essere più che un punto di arrivo un punto di partenza. Da quello che ci siamo detti emerge che c'è una prima responsabilità da condividere in forza di quella dimensione comunitaria del lavoro pubblico che è stata evocata a più riprese”. Poi ha aggiunto: “Al di là della qualità dell’azione legislativa e della valorizzazione del merito, urge il recupero di una ‘spinta ideale’ che spesso manca. Bisogna insomma fare i conti con la spinta della libertà umana di cui nessun ‘sistema perfetto’ è in grado di fare a meno”. Ha infine anticipato che la Fondazione per la Sussidiarietà si farà carico delle sollecitazioni giunte dalla tavola rotonda per dar vita ad un primo strumento di scambio di esperienze tra quanti hanno a cuore la nascita di una comunità professionale tra coloro che dalla Lombardia alla Sicilia lavorano nella Pubblica Amministrazione.

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