(25 febbraio 2013) – Enzo Bianchi a Palermo: “Le attese e le speranze dell’umanità e le risposte della Chiesa”. L’Arcidiocesi di Palermo, nell’Anno della Fede, ha tracciato un percorso che prevede degli incontri sulle Costituzioni del Concilio Vaticano II e martedì 19 febbraio è toccato a Enzo Bianchi, monaco fondatore della Comunità ecumenica di Bose, presentare in breve la Gaudium et Spes.
Possa, il lettore, fare uno sforzo e scusarmi se quanto segue non si rivelerà una prospettiva critica, ma sarà un’asettica, quanto più fedele e meno filtrata possibile, riproduzione dell’intervento, che – si avverte – non viene concisa appositamente per evitare di sminuirne il portato.
Dentro un momento di preghiera, prima ha preso la parola il cardinale Paolo Romeo per invitare i fedeli alla preghiera vista la decisione del Papa che investe la Chiesa tutta e, definendo il Vaticano II, «sorgente d’acqua fresca che ancora continua a sgorgare»; in seguito, continuando il suo monito introduttivo, il pastore della Chiesa palermitana ha ricordato come Gesù dicesse agli apostoli di non essere ancora pronti e che, per questo, avrebbe inviato loro lo Spirito.
Sempre incastonata dentro le orazioni, dopo la proclamazione del Vangelo (Mt, 5, 13-16), la riflessione del relatore.
Enzo Bianchi, per prima cosa, ricorda le parole di Giovanni Paolo II, dicendo che la possibilità di riflettere sul Concilio Vaticano II sia «la più grande grazia che Dio ha fatto alla Chiesa nel XX secolo», sebbene, come ha aggiunto Benedetto XVI il 14 febbraio di quest’anno, incontrando il clero di Roma, sia «ancora da realizzare in molte delle sue istanze». Proseguendo nello specifico, l’argomentazione verte sulla costituzione pastorale Gaudium et Spes, ingiungendo quanto quest’ultima fosse una lettura sul come i cristiani si collocano nella Storia e come la Chiesa nel mondo. Unicum tra tutti i documenti conciliari, una novità. E precisa, soffermandosi sull’aggettivo, che questa costituzione pastorale è pastorale proprio come Giovanni XXIII affermava di volere tutto il Concilio. Concilio che si rivelò differente da tutti i precedenti. Questa peculiarità la detiene in quanto, proprio come il termine “pastorale” richiama allo sguardo del Buon Pastore sulla Chiesa, sulla Storia, sugli uomini che la abitano e sui problemi che vi si affacciano, questo Concilio non veniva radunato affinché potesse condannare dottrine o uomini, a causa di errori nella fede ed eresie come nel passato. Al contrario, era un Concilio radunato per esprimersi positivamente per esprimere la verità. Questa era l’innovazione di quel Concilio, ripete con forza Bianchi prendendo a prestito il pensiero di Giovanni XXIII, la novità di un vero e proprio «aggiornamento» dei contenuti della fede e la «collocazione» della Chiesa tra gli uomini. Il pontefice di allora voleva una rilettura fatta con lo sguardo di Gesù caratterizzato da «sollecitudine ed ansia» per tutti gli uomini.
C’era, però, pure chi osteggiava il Concilio e vi si opponeva contestandone la sua essenza, risultato troppo innovativo della sua rottura con il passato: un concilio che fosse pastorale era diverso da un concilio dottrinale, teologico. Tale, infatti, era il pretesto addotto per indebolire l’autorità del Vaticano II e declassarlo. Risponde a questo Enzo Bianchi: non ci può essere aspetto dottrinale senza sguardo del Buon Pastore e viceversa. E ritorna con la memoria al passato, al 1983, quando la prima pagina del quotidiano “Avvenire” titolava: «Quando si declasserà il Concilio Vaticano II?».
Nonostante ciò, un atteggiamento positivo si staglia in risposta a queste critiche e si va oltre: per papa Giovanni e per Paolo VI, la verità è sempre pastorale, poiché viene da Dio ma ritorna all’uomo, la verità rivelata e mostrata, quasi offerta, all’uomo. Su questa scia, viene ricordato anche uno stralcio contenuto nel “Discorso di apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II”, tenuto da Giovanni XXIII l’11 ottobre 1962, soprattutto nella parte in cui si sofferma sul suo compito precipuo che consiste nel «custodire» e promuovere la dottrina. Così, la novità consiste, quasi, proprio nel fatto che non c’è nuovo dogma e si compie un balzo in avanti: si fa un’operazione di discernimento tra la sostanza della dottrina (che è immutabile) e le sue formulazioni (che, invece, cambiano al variare dei tempi). In questo senso, Bianchi affermi che “pastorale” è detto a questo proposito in senso autenticamente teologico, dottrinale, ma ricco di un profilo pastorale. Quest’innovazione prospettica ha significato mettersi all’ascolto dell’uomo perché il pastore è vero che governa le pecore ma, come ci ha insegnato Gesù, il pastore le ascolta.
Oltre a soffermarsi sull’aggettivo “pastorale”, Bianchi fa seconda precisazione, sottolineando che forse è la prima volta che qualcuno la enuncia, con la consapevolezza di assumersene la responsabilità. Il Vaticano II è stato ed è un concilio ecclesiologico, ma soprattutto, a suo dire, è soprattutto stato un concilio cristologico degli altri di tutto il secondo millennio, in quanto la cristologia, appunto, si ritrovi in modo più diffuso e preciso nei documenti: segno, questo, che al centro del Concilio c’è Gesù Cristo, non la Chiesa. Basterebbe seguire l’ordine cronologico in cui sono stati redatti i documenti per accorgerci che nella costituzione sulla liturgia c’è la riflessione su Cristo nel Mistero Pasquale, morto, risorto e operante nella liturgia, come anche nella costituzione riguardante le Sacre Scritture c’è al centro Cristo, Dei Verbum, Parola di Dio. Nella costituzione riguardante la Chiesa, c’è il corpo di Cristo, che è il Mistero della Chiesa. E nella Gaudium et Spes, in realtà, certo che si parla di Chiesa e mondo, ma lasciando disegnare questo rapporto da Gesù Cristo, l’Uomo, il Adamo per eccellenza, l’immagine della vera umanità, termine di tutta la Storia e di tutta l’umanizzazione.
A questo punto, Bianchi riferisce il pensiero di Joseph Ratzinger, allora giovane teologo presente al Concilio come esterno, che durante l’apertura della II sessione conciliare, il 28 settembre del 1963, scrive nel suo diario ancora inedito: «Ciò che mi ha colpito di più oggi è l’aspetto decisamente cristologico del discorso di Paolo VI: con quale enfasi risuonava l’espressione liturgica “Noi conosciamo solo te, o Cristo”! Come mi ha colpito la conclusione di Paolo VI, quasi un grido: “Cristo presieda lui” [questo Concilio]». Il Vaticano II è stato un concilio cristologico che ha fatto emergere in modo rinnovato il volto di Cristo: conosciuto meglio tramite la Sacra Scrittura; il Cristo, capo della Chiesa (che è corpo); il Cristo presente attraverso la liturgia; un Cristo ritrovato, amico degli uomini e che è presente nella Creazione, per salvarla. La Chiesa è corpo di Cristo. Fu Paolo VI, all’apertura della II sessione conciliare che nel discorso di apertura dei lavori, fece riferimento all’abside della basilica di San Paolo fuori le mura. V’è un mosaico in cui è raffigurato un Cristo pantocratore, ammantato di maestà regale, Re dei Re, con ai piedi un nanetto, papa Onorio III che gli bacia i piedi. Sempre Ratzinger scriveva: «Il Papa scompare di fronte al Signore, Cristo Re dell’Universo». Come in questi giorni, in cui il pontefice si è ritirato: è Cristo che regge la Chiesa, non il Papa.