Il Vangelo nella foresta amazzonica

 

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(8 aprile 2013) Il Vangelo nella foresta amazzonica. Intervista a don Lorenzo Marzullo, missionario in Ecuador. Don Lorenzo Marzullo sacerdote castelbuonese appartenente al clero diocesano di Cefalù, è stato ordinato presbitero nel 1981, per quattro anni ha esercitato il proprio ministero a Collesano e, in seguito, per ventuno anni a Caltavuturo. Nel 2006, compiuti i venticinque anni di sacerdozio, ha scelto di dedicare la sua vita alla missione. Attualmente opera in Ecuador.

 

Don Lorenzo, Papa Francesco ha ultimamente affermato: «La Chiesa è chiamata a uscire da se stessa e dirigersi verso le periferia, non solo quelle geografiche ma anche quelle esistenziali». Nella terra in cui opera si sente in periferia? Di quale tipo, geografica o esistenziale?

Papa Francesco fa benissimo ad invitare la chiesa ad uscire dall’autoreferenzialità e dalla logica della “sacrestia”. Quell’ “andate in tutto il mondo” non è solo in riferimento alla geografia, ma un invito a raggiungere il cuore dell’uomo nel contesto culturale e sociale in cui vive. Nella terra in cui vivo, infatti, l’esperienza della periferia, oltre ad essere geografica è anche e soprattutto esistenziale, in quanto operiamo in un territorio che nell’arco dei secoli ha subito gravi torti per quanto riguarda la dignità.

 

Si reputa un privilegiato o piuttosto un dimenticato?

Mi reputo senz’altro un privilegiato poiché in questo contesto ho ritrovato le motivazioni che cercavo per ridare senso al mio ministero presbiterale. Per un altro verso, sperimento anche la sensazione di sentirmi dimenticato soprattutto da molti dei miei confratelli. Per fortuna percepisco la generosa e fraterna presenza di tantissimi amici laici!

 

A proposito di loro: in cosa consiste il ruolo dei laici al suo fianco?

In America latina, i laici hanno sempre occupato un posto di grande rilievo nella pastorale diocesana. In maniera particolareggiata, i catechisti. Per esempio, nelle nostre comunità, dove andiamo pochissime volte al mese, sono loro che guidano le comunità attraverso la catechesi, la celebrazione della liturgia della Parola, le esequie dei defunti e l'organizzazione generale della vita religiosa.

 

Le sembra di “regalare il pesce” o di “insegnare a pescare”? Quando?

In passato purtroppo, anche se in buona fede, c’era una vera gara di solidarietà per regalare pesce. Oggi ci stiamo rendendo conto che è più importante insegnare loro a pescare. E lo stiamo facendo realizzando numerosi progetti che tendono allo sviluppo economico e sociale. Nelle nostre comunità abbiamo già realizzato il progetto del riciclaggio della carta e realizzazione di biglietti di auguri, quello dell’artigianato, dell’allevamento dei polli, della coltivazione e pulitura del riso, del caffè e del mais, ecc…

 

Cos’è la povertà?

La povertà ha due aspetti non sempre correlati. C’è la povertà di mezzi di sussistenza e c’è la povertà di una dignità rubata o violentata. Dalle nostre parti, molto spesso ci imbattiamo nelle due povertà, per cui il nostro lavoro, con gli operatori della Caritas, è nella doppia direzione!

 

Quali sono le cose essenziali della vita?

Quando sono arrivato da queste parti, notando la grande serenità nel volto e nel modo di agire degli indigeni, ho chiesto loro quale fosse la ricetta per raggiungere questo stato. All’unanimità mi hanno risposto: “Per noi, le cose essenziali sono tre: 1) il cibo necessario per ogni giorno. E questo la foresta, grazie a Dio, non ce lo fa mancare; 2) che la famiglia e la comunità siano unite e vivano nella collaborazione. E quando questo c’è, più siamo e meglio è (la media dei figli è di 8-10); 3) l’educazione scolastica e religiosa dei nostri figli, che grazie ai missionari ci viene assicurato”.

 

Credo che in molti desiderino sapere qualcosa di più in merito alle sue attività nella comunità in cui attualmente vive. Può raccontarci una sua giornata tipo?

La nostra giornata tipo è: sveglia alle ore 6,00; preghiera e meditazione; veloce colazione e partenza per i villaggi, che sono circa 35, sia per la celebrazione della messa che per la visita alle famiglie. Pranzo nelle comunità e trasferimento in altre comunità; dalle 18,00 alle 20,00 riunione con i vari gruppi della parrocchia.

 

Da giovane le chiedo: che prospettive hanno i giovani che la circondano? Quali aspirazioni nutrono nel cuore, come guardano al futuro?

A causa della percezione che hanno di un paese in via di sviluppo, le loro aspirazioni per il futuro sono animati da grande speranza. Le aspirazioni sono: il matrimonio, il lavoro, una famiglia serena, una comunità unita.

 

Cosa vorrebbe dire ad un giovane che aspira a prestare servizio in terre come la sua?

Mi permetto di dire a tutti i giovani, anche preti, che fare una esperienza missionaria sarebbe vitale ed indispensabile per aprire finestre interessantissime nel panorama della loro vita. Questa è la testimonianza che danno tutti i giovani che hanno fatto questa esperienza dalle nostre parti. 

 

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(8 aprile 2013) Il Vangelo nella foresta amazzonica. Intervista a don Lorenzo Marzullo, missionario in Ecuador. Don Lorenzo Marzullo sacerdote castelbuonese appartenente al clero diocesano di Cefalù, è stato ordinato presbitero nel 1981, per quattro anni ha esercitato il proprio ministero a Collesano e, in seguito, per ventuno anni a Caltavuturo. Nel 2006, compiuti i venticinque anni di sacerdozio, ha scelto di dedicare la sua vita alla missione. Attualmente opera in Ecuador.

 

Don Lorenzo, Papa Francesco ha ultimamente affermato: «La Chiesa è chiamata a uscire da se stessa e dirigersi verso le periferia, non solo quelle geografiche ma anche quelle esistenziali». Nella terra in cui opera si sente in periferia? Di quale tipo, geografica o esistenziale?

Papa Francesco fa benissimo ad invitare la chiesa ad uscire dall’autoreferenzialità e dalla logica della “sacrestia”. Quell’ “andate in tutto il mondo” non è solo in riferimento alla geografia, ma un invito a raggiungere il cuore dell’uomo nel contesto culturale e sociale in cui vive. Nella terra in cui vivo, infatti, l’esperienza della periferia, oltre ad essere geografica è anche e soprattutto esistenziale, in quanto operiamo in un territorio che nell’arco dei secoli ha subito gravi torti per quanto riguarda la dignità.

 

Si reputa un privilegiato o piuttosto un dimenticato?

Mi reputo senz’altro un privilegiato poiché in questo contesto ho ritrovato le motivazioni che cercavo per ridare senso al mio ministero presbiterale. Per un altro verso, sperimento anche la sensazione di sentirmi dimenticato soprattutto da molti dei miei confratelli. Per fortuna percepisco la generosa e fraterna presenza di tantissimi amici laici!

 

A proposito di loro: in cosa consiste il ruolo dei laici al suo fianco?

In America latina, i laici hanno sempre occupato un posto di grande rilievo nella pastorale diocesana. In maniera particolareggiata, i catechisti. Per esempio, nelle nostre comunità, dove andiamo pochissime volte al mese, sono loro che guidano le comunità attraverso la catechesi, la celebrazione della liturgia della Parola, le esequie dei defunti e l'organizzazione generale della vita religiosa.

 

Le sembra di “regalare il pesce” o di “insegnare a pescare”? Quando?

In passato purtroppo, anche se in buona fede, c’era una vera gara di solidarietà per regalare pesce. Oggi ci stiamo rendendo conto che è più importante insegnare loro a pescare. E lo stiamo facendo realizzando numerosi progetti che tendono allo sviluppo economico e sociale. Nelle nostre comunità abbiamo già realizzato il progetto del riciclaggio della carta e realizzazione di biglietti di auguri, quello dell’artigianato, dell’allevamento dei polli, della coltivazione e pulitura del riso, del caffè e del mais, ecc…

 

Cos’è la povertà?

La povertà ha due aspetti non sempre correlati. C’è la povertà di mezzi di sussistenza e c’è la povertà di una dignità rubata o violentata. Dalle nostre parti, molto spesso ci imbattiamo nelle due povertà, per cui il nostro lavoro, con gli operatori della Caritas, è nella doppia direzione!

 

Quali sono le cose essenziali della vita?

Quando sono arrivato da queste parti, notando la grande serenità nel volto e nel modo di agire degli indigeni, ho chiesto loro quale fosse la ricetta per raggiungere questo stato. All’unanimità mi hanno risposto: “Per noi, le cose essenziali sono tre: 1) il cibo necessario per ogni giorno. E questo la foresta, grazie a Dio, non ce lo fa mancare; 2) che la famiglia e la comunità siano unite e vivano nella collaborazione. E quando questo c’è, più siamo e meglio è (la media dei figli è di 8-10); 3) l’educazione scolastica e religiosa dei nostri figli, che grazie ai missionari ci viene assicurato”.

 

Credo che in molti desiderino sapere qualcosa di più in merito alle sue attività nella comunità in cui attualmente vive. Può raccontarci una sua giornata tipo?

La nostra giornata tipo è: sveglia alle ore 6,00; preghiera e meditazione; veloce colazione e partenza per i villaggi, che sono circa 35, sia per la celebrazione della messa che per la visita alle famiglie. Pranzo nelle comunità e trasferimento in altre comunità; dalle 18,00 alle 20,00 riunione con i vari gruppi della parrocchia.

 

Da giovane le chiedo: che prospettive hanno i giovani che la circondano? Quali aspirazioni nutrono nel cuore, come guardano al futuro?

A causa della percezione che hanno di un paese in via di sviluppo, le loro aspirazioni per il futuro sono animati da grande speranza. Le aspirazioni sono: il matrimonio, il lavoro, una famiglia serena, una comunità unita.

 

Cosa vorrebbe dire ad un giovane che aspira a prestare servizio in terre come la sua?

Mi permetto di dire a tutti i giovani, anche preti, che fare una esperienza missionaria sarebbe vitale ed indispensabile per aprire finestre interessantissime nel panorama della loro vita. Questa è la testimonianza che danno tutti i giovani che hanno fatto questa esperienza dalle nostre parti. 

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CONVERSAZIONI – Il Vangelo nella foresta amazzonica. Le immagini documentano alcuni momenti della missione di don Lorenzo Marzullo in Ecuador. Le foto sono tratte dal profilo Facebook di Don Lorenzo Marzullo, che ringraziamo. – Sicily Present 


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Come missionario è facile immaginare che per quanto si possa dare e fare, è sempre molto di più ciò che si riceve in dono. In questi mesi ha incontrato migliaia di persone, inoltre sta conoscendo la cultura della popolazione locale. Qual è la lezione più bella che le stanno insegnato? Se vuole, ci può raccontare qualche esperienza che le ha lasciato il segno.

È profondamente vero che più che dare ho ricevuto tantissimo da questa meravigliosa gente, che, tra le tante cose che mi hanno insegnato, quella che più di tutte mi ha segnato è il saper vivere di essenzialità senza perdersi dietro a tanti fronzoli che, oltre a tanto tempo, ci fanno sprecare energie preziose e ci distolgono dall’obiettivo vero! Di esperienza potrei raccontarvene tantissime. Vi propongo questa che mi ha toccato particolarmente:

Un giorno, mentre tornavo da un villaggio, dove ero andato per celebrare la messa, con battesimi e matrimoni, lungo la strada dissestata, sono stato fermato da una giovane mamma che teneva in braccio un bambino. Dai suoi agitati gesti ho intuito che era successo qualcosa di grave. In effetti, appena sono sceso, ho notato il capo sanguinante del bambino. Aveva una profonda ferita al capo, che si era procurata, cadendo dalla scala in legno della sua poverissima casa. La mamma piangeva disperatamente, i fratellini erano ammutoliti e spaventati, il piccolo quasi rantolava, con un lamento che straziava il cuore.

Siamo saliti sulla jeep e, il più velocemente possibile, ci siamo diretti verso il più vicino ospedale, che si trovava a circa un’ora e mezzo di viaggio.

Durante l’interminabile avvicinamento al pronto soccorso, la mamma continuava a piangere disperatamente cercando di asciugare con la sua camicetta il sangue che fuoriusciva abbondantemente. Sinceramente non credevo che saremmo arrivati in tempo.

Nel frattempo il bambino piangeva flebilmente. Essendo seduti accanto a me, ho messo la mia mano in quella del bambino, che a poco a poco ha cessato di piangere ed a stringermi forte un dito. In quella stretta ci leggevo la sua forte voglia di attaccarsi alla vita.

Dentro di me pregavo il Signore che non deludesse la nostra speranza in un suo miracolo.

Appena arrivati all’ospedale, subito il bambino è stato sottoposto ad un delicato intervento. Mentre eravamo in sala di attesa è stata la mamma a stringere fortemente la mia mano.

Passate circa tre ore, è uscito il medico e con un cenno del viso ci ha fatto capire che c’era un poco di speranza. A notte fonda sono tornato a casa, fortemente scosso per quanto vissuto. L’indomani ho invitato i bambini della parrocchia a pregare per il piccolo.

È stato un momento commovente! Nei giorni successivi sono andato spesso a trovare il bambino, di circa tre anni, all’ospedale. Ogni volta prendeva il dito e lo stringeva forte. Finalmente dopo un mese e mezzo è rientrato a casa, sano e salvo! Quando sono andato a visitare il suo villaggio, ho trovato l’intera famiglia davanti la porta della cappella. Il bimbo appena mi ha visto, con passo esitante, mi è venuto incontro e mi ha dato un piccolo sacchetto. L’ho aperto con grande curiosità e dentro c’era una CIPOLLA. Era il suo regalo! L’ho preso in braccio e, con un forte nodo alla gola, l’ho baciato. Quella era per me il più bel regalo ricevuto nella mia vita!!! Ancora oggi, a distanza di tanto tempo, conservo i resti essiccati di quel meraviglioso dono. Ogni volta che la guardo, mi viene in mente il misero obolo offerto dalla vedova nel tempio e che Gesù ha elogiato come un gesto di vera e totale donazione e gratitudine.

 

Sta pensando a qualche progetto da realizzare per venire incontro alle tante esigenze della popolazione locale? 

Già, come ho accennato sopra, abbiamo realizzato diversi miniprogetti. In questo momento sto pensando alla realizzazione di bagni per i bambini delle scuole di alcuni villaggi e la costruzione di qualche cappella che ci permetta di celebrare in un luogo coperto!

 

Ha nostalgia dell’Italia?

Direi una menzogna se lo negassi. Le persone care, i cibi, gli odori, i monumenti… Ma quando mi trovo in Italia sento nostalgia del bell’Ecuador!

 

Alla Chiesa cattolica si rimprovera di ritenere che il cristianesimo sia la radice dello sviluppo dei popoli. Così si negherebbe che Dio lavora per lo sviluppo anche attraverso le altre religioni. Cosa ne pensa?

Gesù stesso ha detto: “Chi non è contro di me, è per me”. Dio opera in tutti i suoi figli, sia che lo riconoscano, sia che non lo riconoscano. La verità è impressa nel cuore di ogni uomo per il fatto di essere stato creato a sua immagine e somiglianza. Conosco persone di altre religioni ed anche non credenti che sono di vero esempio per tutti noi!

 

Perché qui in Italia la fede non sembra sposarsi affatto con lo sviluppo?

Perché molto spesso si è fatto un grande errore, ovvero di dividere l’uomo in anima e corpo. La Chiesa si è occupata dell’anima trascurando il suo corpo. In realtà l’uomo è una unità per cui trascurando una delle sue dimensioni si trascura la sua identità.

 

Talvolta i missionari sono accusati di “proselitismo” e di voler “violentare” le coscienze portando ad altri popoli l’annuncio di Cristo. Cosa risponde?

Questa accusa aveva un fondamento nel passato. Oggi lo stile è completamente cambiato e ci si avvicina alla gente in punta di piedi e con molto rispetto della loro cultura e del loro senso di religiosità.

 

C’è bisogno di missionari anche in Italia?

Tutta la chiesa è chiamata ad essere missionaria, nel posto, nelle culture e nei contesti in cui opera. Per ritornare a quanto si diceva all’inizio, bisogna uscire dalle sacrestie.

Spero fortemente che il Papa latinoamericano dia una forte spinta in questa direzione!

 

Grazie per la sua testimonianza e per il suo operato. 

 

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