(12 aprile 2013) – Il secondo appuntamento, il 21 marzo, aveva visto interloquire arti, studi biblici, e teologia.
Il terzo appuntamento del Laboratorio Filosofie e religioni. Concilio Vaticano II ed ermeneutica della continuità, svoltosi ieri presso l’ateneo di Palermo, è stato l’occasione di un fecondissimo incontro tra mondi religiosi. All’insegna dell’uomo, come sottolineava l’intervento del primo relatore, prof. Savagnone; senza timore di affrontare le grandi questioni e nel desiderio di farsi disponibili ascoltatori dell’altro, come auspicava il prof. Roccaro, coordinatore dell’iniziativa, in apertura (nella foto di Francesco Mascellino un momento del dialogo).
Perché nulla di grande può nascere tra gli uomini, e specificamente dentro l’università, senza il coraggio di porsi di fronte alle grandi esigenze dell’unità e della verità. E la verità si dà sempre in dia-logo: la sua assolutezza implica infatti la possibilità – e la necessità – che sia sempre ripensata e detta con le molteplici voci degli uomini nelle molteplici parole di cui il pensare si fa capace.
E molteplici sono state ieri le voci degli intervenuti: il prof. Giuseppe Savagnone, notissimo professore di storia e filosofia dei licei palermitani, il domenicano Marcello Di Tora, prof. presso la Facoltà teologica, l’arcivescovo ortodosso Lorenzo Casati.
Impossibile ripercorrere i loro interventi, così ricchi e densi di percorsi, ma altrettanto impossibile non mettere a fuoco almeno alcune delle provocazioni offerte agli intervenuti.
Primo: come affermano i documenti del Concilio, l’uomo è via della Chiesa, come la Chiesa è via percorribile dall’uomo. Il Cristianesimo custodisce la novità dirompente di un Dio che si fida dell’uomo, lo ama, lo salva nella sua singolarità, rispetta totalmente la sua libertà. Se viene meno l’umano Cristo diventa lettera morta e non Parola del Padre. Allora l’urgenza del mondo contemporaneo è proprio quella di recuperare e salvare l’umano. Questo implica due “no”, al cristianesimo e all’ateismo/indifferentismo abitudinari, che tagliano fuori ciò che c’è di più umano, il domandare.
Secondo: Ebraismo, Islamismo, Cristianesimo, sono «talmente simili da non potersi ignorare, talmente differenti da non potersi sovrapporre». Questo lancia una grande sfida che rappresenta, forse, la salvezza del pensare: il confronto con l’altro provoca innanzitutto una purificazione del linguaggio, cioè una possibilità di comprensione più profonda generata proprio dal fatto che l’altro mi spinge o mi invita a dare ragione di ciò che professo e mi mette di fronte alle mie aporie. Questa purificazione del linguaggio sostiene la possibilità di un dialogo vero: non tentativo di compromesso, ma impegno comune per il bene, impegno che, per il suo stesso darsi, implica la stima dell’altro.
Terzo: la religione è slancio dell’uomo o discesa di Dio?
La teologia ortodossa ha una bellissima espressione nelle parole di Atanasio: Dio si è fatto uomo perché l’uomo diventasse Dio. Il Cristianesimo è la risposta misericordiosa di Dio al grido dell’uomo – un grido spesso inconsapevole di sé – perché l’uomo possa partecipare della vita stessa di Dio. L’uomo contemporaneo non può non tornare di fronte al fatto cristiano per chiedersi se questo amore lo riguarda oppure no.