Non ci sono differenze tra il desiderio di bellezza avvertito da Dante Alighieri settecento anni fa e da noi adesso, quando la linea del tempo ha raggiunto da oltre un decennio il terzo millennio. E ciò vale in riferimento agli uomini e alle donne di tutte le epoche. Sì, perché questa è una verità che non ammette contraddizioni e operazioni dialettiche o sofismi di vario genere. Lo ha detto con parole chiare Ignazio Spataro, introducendo l’incontro “Versi divini, vini diversi” che ha avuto luogo domenica 6 luglio sul palcoscenico del teatro di Segesta.
Qui Franco Nembrini, che è docente e rettore del centro scolastico “La Traccia” di Calcinate, comune poco distante da Bergamo, ha tenuto una magistrale lettura di Dante. L’incontro, che è stato organizzato dal centro culturale “La Traccia” di Castellammare del Golfo e dal centro culturale “Il Sentiero” di Palermo, si è svolto in uno tra gli scenari più belli e incantevoli della Sicilia.
Le parole di Nembrini e il panorama dell’area archeologica di Segesta hanno portato in risalto la verità indiscutibile che vede nella ricerca della bellezza e della felicità il centro multiforme dell’avventura umana nei secoli. La domanda di verità, bene, bellezza e giustizia caratterizza la persona come valore assoluto in sé e ne indica la misura infinita dei desideri. Dante è figlio del suo tempo e per un medievale questo giudizio ha il tratto della certezza riconosciuta con il convergente contributo di fede e ragione. Dopo l’ingresso nella modernità cambieranno la percezione e valutazione dei parametri con i quali mettere in rapporto l’esperienza della vita con i valori e si estenderanno dubbi sistematici e scetticismi nella maniera di pensare e ponderare la realtà delle cose.
Una «cattedrale di parole dove niente è fuori posto»: la Divina Commedia può essere colta in questi termini. E Nembrini, anche mettendo in campo senza reticenze la propria esperienza pedagogica e personale, ha documentato l’insieme ampio dei motivi per cui questo capolavoro permane attuale e valido ai nostri giorni.
Vi è potente il richiamo alla vita come cosa buona che merita l’eterno e chiede a ciascuno l’impegno di un cammino da fare senza soste attraversandone il dipanarsi sovente tortuoso e indecifrabile delle vicende. «Per aspera ad astra» è la locuzione latina che ne è sintesi ricca di spunti letterari e umani. Del resto, i tre canti danteschi sono la trama verseggiata di questa «promessa» mantenuta, la narrazione del fatto che la felicità non può mancare alla vita perché, altrimenti, si smentirebbero domande e desideri infiniti di cui ogni persona è originalmente costituita. A Segesta, come ha puntualizzato Nembrini a margine della sua conferenza, anche le pietre raccontano che questo desiderio di bellezza c’è sempre stato e ha portato gli uomini a costruire templi e teatri, cioè i luoghi dove le attese della persona diventano canto e racconto.
Nella foto: un momento della conferenza tenuta da Franco Nembrini al teatro di Segesta domenica 6 luglio 2014.