Attraverso il congresso che si tiene a Gela nel 424 a.C. si intrecciano personaggi e vicende di assoluto rilievo nel mondo antico. Aspetti del passato e prospettive del futuro ne sono oggetto e temi di una serie di manifestazioni organizzate in questi giorni a Gela. Ed è bene parlarne, perché tra conferenze e mostre d’arte si è voluto porre in risalto il valore che assume questo passaggio storico in Sicilia per la promozione del bene grande della pace nel Mediterraneo. Non mancano ottimi motivi per entrare nel vivo di fatti intercorsi oltre venti secoli addietro e, quel che più conta, trarne indicazioni e ipotesi utili all’analisi dei problemi politici internazionali contemporanei. All’origine del congresso convocato a Gela c’è l’urgenza di trovare una soluzione al rapporto conflittuale che in quel frangente oppone molte colonie e città siciliane, tra di esse soprattutto Lentini e Siracusa, caricandovi le tensioni delle differenti visioni culturali e strategiche che le legano a Sparta o ad Atene.
Le città dei sicelioti, per usare appunto l’appellativo con cui si indicano i greci stanziati in Sicilia ormai dotati di una propria riconoscibile identità, entrano così nel giro di alleanze che via via si determineranno ed evolveranno tra il 431 e il 404 a. C., cioè negli anni lunghi e complessi della guerra del Peloponneso. Tucidide ne racconta le trame e ne offre uno spaccato significativo della cultura politica greca in 8 libri che resteranno per sempre come nuova cifra del racconto storico. Con lui, infatti, la storia diviene ricerca di cause e razionalità sottese a singoli avvenimenti e conflitti della vicenda umana nel tempo.
La guerra del Peloponneso di Tucidide, dunque, resta uno strumento storiografico fondamentale sotto molteplici profili. E, per quanto attiene alla storia siciliana, ne è punto di osservazione privilegiato per poterne collocare figure e scelte politiche nell’ambito globale del Mediterraneo.
Ermocrate, stratega di Siracusa dalla lunga carriera che si conclude amaramente nella città aretusea con il prezzo della vita durante la rivolta popolare del 407 a.C., pronuncia a Gela un discorso i cui temi trattati meritano la massima attenzione. Tucidide ne riporta i passaggi con cura del dettaglio, come peraltro è solito fare nell’opera ricordata pure per il discorso di Pericle in difesa e promozione della democrazia ateniese. All’interno del IV libro ci sono le argomentazioni di Ermocrate e gli episodi descritti hanno a che fare in gran parte con quanto accade in Sicilia.
Parole e significati del discorso di Ermocrate oltrepassano secolo dopo secolo e raggiungono il nostro, lasciandovi senz’altro un segno. L’uomo politico di Siracusa premette subito agli interlocutori che la «guerra è un male» e, poi, che unità e indipendenza delle città siciliane sono l’antidoto migliore alle mire espansionistiche greche in generale e ateniesi in particolare. E, in questo senso, nella stessa circostanza afferma a chiare note che «la pace è la fortuna più grande» per ogni città, un valore rispetto al quale commisurare l’essenza della politica. Questo giudizio, prelevato dal contesto originario e portato diritto fin nel cuore dell’oggi, non smette d’essere attuale nel suo nucleo di verità e ci ricorda che persone e popoli cercano sempre la pace. E la pace, come le traversie di questo periodo purtroppo confermano ancora una volta, resta il fine della politica e il bene vero del Mediterraneo.