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(20 novembre 2014) - Riproponiamo quest′editoriale nel giorno in cui ricorre il venticinquesimo anniversario della scomparsa di Leonardo Sciascia.
(27 novembre 2012) – A Leonardo Sciascia sono stati dedicati di recente diversi momenti di ricordo e studio. Il 20 novembre ricorreva, infatti, il ventitreesimo anno dalla sua scomparsa. Sulle nostre pagine abbiamo dato conto del convegno organizzato a Palermo dagli Amici di Sciascia presso la sede del Cerisdi al castello Utveggio e pubblicato la sintesi dell’intervento svolto il 16 novembre da Massimo Naro (Leonardo Sciascia e la verità come domanda aperta). I risultati di questo convegno hanno ribadito che il Maestro di Racalmuto non è stato appena uno scrittore di cose e storie siciliane, ma uno dei massimi intellettuali italiani del Novecento. Le sue opere, al pari dei suoi interventi pubblici sulle pagine dei giornali o nella vita pubblica, hanno raccontato la condizione dell’uomo e pungolato riflessioni sulla politica nazionale attraverso considerazioni d’alto profilo etico collocate oltre lo spazio angusto del luogo comune.
La letteratura assume in Sciascia una precisa dimensione civile e democratica fin dalla giovanile Favola sulla dittatura; le questioni italiane e siciliane sono molteplici e lui vi risponde attraverso trame narrative dense di suggestioni e richiami al bene della giustizia. Certo, su questo sfondo si stagliano i temi sciasciani dell’irredimibilità e della reversibilità rispetto alla storia della Sicilia: ricerche e interpretazioni non mancheranno di arricchire nel corso degli anni il già ampio ventaglio di giudizi e punti di vista. Le domande suscitate dalle sue pagine sono destinate a permanere in attesa di altre opinioni e repliche. Del resto, quello di Sciascia è l’illuminismo di un uomo libero che usa la ragione nell’orizzonte di un’apertura totale verso la realtà. E la realtà è essa stessa una grande domanda aperta sul significato ultimo delle cose. La Sicilia, con le afflizioni e contraddizioni che i secoli le hanno consegnato insieme a una ricchezza straordinaria di bellezze naturali e culturali, gli appare allora il palcoscenico dove l’umanità mette in scena le proprie grandezze e miserie.
Sciascia, dunque, lega a filo doppio la propria esistenza di scrittore ai destini dei siciliani ricavandone lo spunto per un rilancio verso vicende non chiuse tra i soli confini dell’isola. Lo dicono argomenti e trame dei suoi racconti e lo ribadisce la frase da lui lasciata a margine della vita e consegnata al discernimento dei posteri: «Ce ne ricorderemo, di questo pianeta». Si tratta di un passaggio letterario e umano posto al vaglio di diverse interpretazioni e Matteo Collura ne ha offerto una dettagliata analisi ripercorrendo l’utilizzo che più volte Sciascia fa della frase di Auguste de Villiers de L’Isle-Adam e i motivi per i quali essa assume un valore così rilevante e, in fondo, decisivo. Ebbene, queste parole giungono a noi non in forma interrogativa o esclamativa. Esse, invece, sembrano trascritte come a voler narrare una verità semplice velata tra poche parole che aprono domande e sottendono risposte riposte tra le pagine delle sue moltissime opere. E la prima evidenza che recano è il valore assoluto e non delimitabile di persone e cose. Il mondo merita «una certa attenzione», per richiamare il suo giudizio. La scommessa di Pascal arriva a questo punto. Ecco perché le pagine di Sciascia sfidano la morsa del tempo e diventano letteratura che cerca la via vera di una vita senza fine.