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(2 maggio 2013) – Due fondamentali istituzioni dell’Italia repubblicana sono state da poco rinnovate: il 22 aprile Giorgio Napolitano per la seconda volta ha giurato di fronte al Parlamento riunito in seduta comune e pronunciato il discorso da cui è tratto il virgolettato del titolo; il 28 aprile Enrico Letta e il nuovo governo hanno prestato giuramento e si sono così insediati ricevendo in seguito la fiducia del Parlamento come da prassi. Dunque, la situazione di stallo politico ha trovato una soluzione a distanza di due mesi dalle elezioni e dopo un lungo periodo di governo tecnico e polemiche roventi. I fatti sono noti. Non mancano le ragioni attraverso cui opporre partiti e punti di vista; ma sono senz’altro maggiori e più importanti i motivi per rilanciare l’urgenza di un’intesa finalizzata alla ricerca del bene comune di tutti. A Tito Livio dobbiamo una frase diventata una massima che molte volte è stata ripresa per commentare momenti della storia italiana contemporanea nei quali manca la decisione e l’opinione finisce con il prevalere sull’azione: «Mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata». Il cardinale Salvatore Pappalardo la pronuncia durante il funerale del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa; l’eco di quelle parole resta un monito valido ancora oggi.
Le questioni di questo tempo, che il termine “crisi” riassume con sintesi estrema, sono di una gravità tale da non ammettere tra le opzioni ritardi, inganni o mezze misure. Ebbene, ci sono nel corso dei secoli delle costanti universali che indicano come e verso dove evolvono le comunità. La storia offre indicazioni e insegnamenti che occorre cogliere, interpretare, valorizzare. Approfondimenti e sfumature fanno parte del lavoro attento di studiosi e specialisti che applicano i concetti nel campo della realtà. Ma non è certo difficile individuare una serie di priorità come mappa da cui ricavare il senso di marcia. Il lavoro e l’educazione, i beni culturali e l’ambiente sono tra i punti essenziali su cui convergere e intorno ai quali si prepara il mondo delle prossime generazioni e si costruisce la qualità pubblica della democrazia.
Il presidente Napolitano non ha nascosto le responsabilità politiche dei partiti e con tono fermo ne ha descritto le molte inconcludenze a cui tutti hanno assistito negli ultimi anni e che portano diritto alla mancata riforma elettorale, per citare un primo nodo non ancora sciolto e rimasto fonte di non pochi disagi e disarticolazioni del rapporto tra politica e società. In questo senso nel discorso di insediamento è stato posto l’invito a centrare il dialogo e l’impegno secondo il «linguaggio della verità», situando così temi e tensioni nell’orizzonte di un’esperienza condivisa e concreta. Ecco perché l’alternativa alla realtà è il nichilismo, cioè la distanza in vario modo teorizzata e praticata dai fatti e dalle cose, l’assenza di un significato e di un fine ideale che orienta l’agire delle persone. Anche la politica può smarrirsi dentro le strategie, perdere il contatto con la realtà delle urgenze quotidiane, non mettere alla prova un cambiamento e valutarne l’efficacia nel tempo. Giuliano Ferrara ha individuato nella «malattia nichilista» uno dei morbi che rendono la politica italiana un luogo dove è difficile costruire in vista di un fine, superando logiche ristrette alla visione di lotte contro avversari da sconfiggere (Il Foglio, 20 aprile 2013). Eppure, il ventaglio di argomenti sul quale discutere esiste ed è sotto gli occhi di tutti. All’Italia occorrono misure per liberare l’energia del talento e sviluppare le risorse di una creatività aperta e solidale. La storia oggi assegna a persone e partiti la sfida di un nuovo inizio di bene vero e comune.