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«E se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto»: questa frase di don Pino Puglisi è rimasta impressa nel tempo e insieme al sorriso ne esprime senza artifici retorici l’approccio alla vita e l’esperienza del bene che non finisce la sera del 15 settembre 1993 a Brancaccio, il quartiere di Palermo dov’era nato il 15 settembre 1937. Due date di un giorno che racchiude l’alfa e l’omega di una parabola umana segnata da una morte violenta per mano mafiosa e, quindi, donata fino al sacrificio di sé per il riscatto del prossimo.
Padre Pino Puglisi è stato proclamato beato lo scorso sabato 25 maggio a Palermo, riconoscendolo appunto quale martire della fede. Massimo Naro ne ha più volte approfondito le implicazioni teologiche e sociali, mettendone a tema i molti intrecci di rinascita religiosa e civile che sono suscitati da questo sacrificio; Giuseppe Lupo, invece, ne ha tratteggiato gli aspetti letterari situandoli in una controluce interpretativa insieme culturale e sociale recensendo la trasposizione teatrale dell’opera di Mario Luzi dedicata a don Pino Puglisi, cioè “Il fiore del dolore” ( qui gli articoli su “SicilyPresent.it” di Massimo Naro e Giuseppe Lupo ).
La storia del beato Pino Puglisi è già stata raccontata e commentata sotto molteplici forme narrative, ed è bene non distaccarsene archiviandola come cosa nota che si crede di sapere. Si è parlato ampiamente degli ultimi anni trascorsi a Brancaccio e degli anni precedenti a Godrano: due contesti differenti e due diversi ordini di questioni che lo hanno provocato fin nella radice della sua sensibilità religiosa e umana. Qualche giorno fa abbiamo ascoltato dalla sua stessa voce, e per la prima volta, la registrazione delle parole che rivolge ai concittadini di Palermo a Brancaccio e lo consegnano alla memoria di tutti: «se ognuno fa qualche cosa, allora si può fare molto». Ed è questo un giudizio lampante e senza appello: la rinascita personale e pubblica inizia nella coscienza di ognuno e cresce spontanea nella condivisione, quando sono assecondati e valorizzati quei desideri infiniti di bene, bellezza, verità e giustizia che definiscono l’orizzonte del cuore umano. Quest’unità profonda della sua vita si può cogliere in tutti i momenti della sua esperienza pastorale. Chi lo ha conosciuto a Godrano ne ha descritto la tempra cristiana e la forza educativa con la quale ha interpretato l’evangelizzazione e promozione della persona. Anche questa parte della sua vita consegna al patrimonio di tutti mille motivi ed esempi di una passione inesausta verso la realtà, che si spinge in cerca della bellezza colta nella natura intorno a Rocca Busambra.
3P ha vissuto a Brancaccio come lo ha fatto nel resto dei suoi giorni terreni, rendendosi amico del Mistero che entra nel tempo della storia e apre un varco gratuito alla speranza di giorni sempre nuovi e migliori, all’attesa di un’esistenza non sopraffatta e vessata dalla morte e dal male. La sua vicenda ci ricorda che queste sono aspettative e speranze a cui convertire ogni giorno la vita nel tracciato d’una esperienza non astratta o ideologica, perché il mondo cambia se cambiano le persone e non in forza di norme o teorie. Durante l’Angelus di domenica 26 maggio Papa Francesco ha richiamato la testimonianza di don Puglisi proprio per indicare che il pentimento e la conversione al bene sono possibilità aperte a chiunque, come lo è la scelta precisa d’una vita nel segno della giustizia. Il 9 maggio 1993, ad Agrigento, Papa Giovanni Paolo II lo aveva sottolineato con energia e senza mezze misure. Padre Pino Puglisi ha posto in gioco la vita a viso aperto, con il cuore in mano e per una speranza di bene da condividere con tutti. E piace pensare che il suo sorriso, passo dopo passo, corrisponda per sempre al volto autentico di Palermo.