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(13 agosto 2013) – Questa sera a Santa Margherita di Belìce sarà conferito a Mario Vargas Llosa il «Premio letterario “Giuseppe Tomasi di Lampedusa”». Si tratta di un evento annuale che giunge così alla decima edizione e che ormai caratterizza il profilo dell’estate nella città conosciuta nel mondo come la “Terra del Gattopardo”, un’identificazione dovuta alle note narrazioni dello scrittore siciliano. La manifestazione, che sarà presentata dalla giornalista Rosanna Cancellieri, si svolgerà a Piazza Matteotti dirimpetto al Palazzo Filangeri Cuto e vedrà la partecipazione del cantante Mario Biondi e dell’attore Gianfranco Jannuzzo. Lo spostamento dell’evento in una piazza esemplifica senza altri giri di parole l’attenzione che vi è attribuita e il gradimento del pubblico, non solo locale, cresciuto in maniera evidente anno dopo anno. Ed è proprio questa la motivazione sottolineata da Tanino Bonifacio, direttore scientifico dell’Istituzione Tomasi di Lampedusa, che è rilanciata da Franco Valenti, sindaco della città, nello stesso comunicato stampa con cui sono state spiegate le ragioni del premio letterario allo scrittore peruviano naturalizzato spagnolo.
Mario Vargas Llosa si aggiudica questa decima edizione del premio attribuito nel nome dell’autore di quel fine affresco storico in forma romanzata che è Il Gattopardo, una tra le opere capaci di raccontare con intensità e suggestioni straordinarie l’intersecarsi tra persone e generazioni siciliane dei mutamenti politici e sociali che conducono all’unificazione italiana, a un cambiamento destinato appunto a diventare epocale sotto molteplici aspetti. Il Nobel per la letteratura del 2010 è stato premiato per Il sogno del Celta, romanzo pubblicato con i tipi di Einaudi nel 2011 e per l’opera critica dedicata a Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Ed entrambe le specificazioni addotte per motivare il premio mostrano senza mezze misure l’incidenza sociale che può esplicitare un racconto e la trama etica che può tratteggiare perfino la singola pagina di un libro.
«Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi»: più di altri passaggi narrativi, questa è la frase rimasta nel tempo quale cifra culturale complessiva di un certo modo d’essere, di una maniera tipica di interpretare e vivere l’avanzare della storia tra frenate e accelerazioni, cioè tra i cambiamenti di cui non è sempre facile cogliere il senso e il segno, l’origine e il fine. La Sicilia è terra di miti e mitologie, di visioni che lungo i secoli si sono sedimentate prendendo termini di sacralità e immutabilità. Ed è qui che il giudizio su persone e cose sembra essersi caricato di un ultimo e inevitabile fatalismo, di una distanza dall’esperienza come dimensione attraverso cui riporre nella vita quelle immagini ideali trasposte in forme letterarie epiche e poetiche, narrative e saggistiche. A Mario Vargas Llosa il Premio Nobel per la letteratura è stato attribuito perché le sue opere riescono a scavare dentro la «strutture del potere» tracciandone una sorta di «cartografia» e narrando come l’individuo vive tra sconfitte e vittorie la propria quotidiana battaglia contro il potere ingiusto e vessatorio. E questo sta a voler dire che la letteratura incide nel presente, tiene insieme dentro un paragone critico ideali di giustizia e fatti della vita, svela con le parole le trame nascoste che impediscono cambiamenti e miglioramenti per la libertà e il bene di tutti.