Paola Mastrocola, L’esercito delle cose inutili, Einaudi, Torino 2015
Vi è una scena, assai toccante, nel capolavoro di Fellini La strada in cui il Matto (Richard Basehart) spiega a Gelsomina (Giulietta Masina) che tutto in questo mondo, nel disegno di Dio, è utile, anche un sasso.
Ho pensato a quel dialogo dopo aver letto il bellissimo romanzo di Paola Mastrocola L’esercito delle cose inutili edito da Einaudi.
L’esercito delle cose inutili è una favola originale e accattivante che offre lo spunto per mille riflessioni. Come ogni favola – favola per adulti, ma adatta anche ai ragazzi – va gustata abbandonandosi al mondo fantastico e al linguaggio immaginifico in cui è immersa; un mondo fantastico e un linguaggio immaginifico però ricco di sfumature allegoriche e a cui si contrappone, seppure con sapiente leggerezza affabulatoria, l’asprezza della realtà quotidiana.
Protagonisti principali della storia sono Raimond, un asino giunto sulla soglia della vecchiaia, non più utile per svolgere il lavoro che ha sempre fatto: trasportare pesi, Res, un libro uscito fuori dai circuiti commerciali miracolosamente scampato al macero, Guglielmo Strossi, detto Ulliulli, un bambino di 11 anni timido a cui i genitori per Natale hanno regalato un asino (appunto Raimond) da adottare a distanza. E protagonista è anche un paese con tanti prati sterminati, il Paese delle cose inutili. Lì abitano Raimond e Res. E non sono di certo soli. Il Paese delle cose inutili è popolato dai tipi più strani: i raccoglitori di conchiglie, i costruttori di aquiloni, i collezionisti di francobolli, gli avvitatori di lampadine, i mangianastri, le vecchie radio, le macchine da scrivere in disuso, gli orologi fuori tempo, i letterati. Tutte persone o cose apparentemente prive di utilità, e perciò poste ai margini della società.
Ma verrà il loro momento. Quando si renderà necessario faranno valere la loro forza solidale e diventeranno un autentico esercito capace di organizzare e mettere in moto un’efficacissima spedizione.
La prosa di Paola Mastrocola, scrittrice affermata già vincitrice col romanzo Una barca nel bosco del Premio Campiello 2004, è lunare e divertente; in certi tratti la vena paradossale s’intinge di accenti lirici. Così nella storia d’amore, tristissima, di una ballerina di plastica rinchiusa dentro un carillon con un cavatappi depositato, nella fiera del paese, accanto al suo stand: «Ci fu un attimo in cui ci trovammo accanto… Un attimo, e ci avrebbero caricati ognuno nel suo camion e portati via. Non ci saremmo visti più… Allora ebbi coraggio e glielo dissi, che mi ero innamorata, che per me era tutto, che se voleva potevamo vivere per sempre insieme… Lui scoppiò a ridere e mi disse: Ma dài! Ma cosa sei? A cosa servi, cosa vivi a fare, tu?».
Il finale del romanzo apre risvolti impensati e si segnala, oltre che per la felicità creativa, per i molti messaggi cui allude, non ultimo la forza immaginifica della lettura.