Morte di Adamo è considerato il capolavoro di Elena Bono, la casa editrice Marietti, dopo sessant'anni dalla sua prima uscita, ha pubblicato il libro recentemente con il titolo Morte di Adamo e altri racconti dopo aver già dato alle stampe l'anno scorso La moglie del procuratore che, nella prima edizione originaria del 1956, faceva parte della raccolta.
Arricchisce il libro una interessante prefazione di Alessandro Banfi e una postfazione di Francesco Marghitti e Stefania Segatori che contribuiscono a farci conoscere più a fondo questa autrice e questi suoi racconti di cui, per primo, Emilio Cecchi aveva capito la grandezza. Scriveva ad Elena Bono, infatti, in una lettera scritta di getto prima ancora di aver finito di leggere per intero il libro: "È un libro bellissimo... non voglio tardare a dirle cento volte brava! Credo assolutamente di non sbagliarmi".
Morte di Adamo è il racconto d'inizio che dà il titolo a tutta la raccolta e in cui è rappresentato il rapporto tra Dio e l'uomo che da Adamo in poi viene vissuto nella storia attraverso il dramma della libertà.
I protagonisti degli altri racconti sono figure secondarie tratte dai Vangeli e nell'insieme ritraggono l'uomo così com'è fatto, di grandezza e di debolezza, ma con una grande nostalgia dentro di un bene assente conosciuto, incontrato in qualche momento della vita, perduto e sempre cercato. In tutte le storie Gesù non è protagonista, solo in due racconti compare in modo discreto e silenzioso tanto quanto basta per rendere più grande il desiderio di incontrare nuovamente chi viene avvertito come il solo che può donare la salvezza. È l'atteso, colui che non si conosce ma di cui è pieno il cuore come il poeta Lagerkvist ha espresso nei suoi versi: "Uno sconosciuto è il mio amico, uno che io non conosco. / [...] / Per lui il mio cuore è colmo di nostalgia. / [...] / Chi sei tu che colmi il mio cuore della tua assenza? / Che colmi tutta la terra della tua assenza?".
Questo è un libro che parla di Gesù anche se Lui non si vede, già nel racconto iniziale Dio ad Adamo morente fa una promessa: "Darò nelle tue mani mio figlio... in Lui la mia somiglianza con te sarà rinnovata per sempre. Dio e Adamo in Lui saranno uno solo". Nell'Adamo rappresentato da Elena Bono convivono il bene e il male di Abele e Caino perché entrambi suoi figli e perché l'uomo non è mai interamente bene o interamente male e soffre di questo tanto da far gridare: "Ecco, mi hai dato due figli, [...] l'uno ha il volto del mio peccato e della mia umiliazione; nell'altro Tu ti sei compiaciuto, [...] Sino alla fine dei giorni sarò Caino e Abele, perseguiterò la tua somiglianza e gioirò dei tuoi ritorni in me, ucciderò e sarò ucciso nel tuo nome. Sino alla fine. E non ho nessuna speranza".
Il dramma di Adamo e in lui di tutti gli uomini sempre nella storia è il dramma della libertà a cui l'uomo vorrebbe rinunciare per sottrarsi alla fatica del vivere all'altezza del suo essere fatto a somiglianza di Dio. Quando Adamo chiede a Dio: "Perché mi hai creato?", Dio risponde: "Io volevo contemplarmi nell'opera delle mie mani. [...] Tu solo, Adamo, eri la mia somiglianza". Allora Adamo capisce che Dio ha a che fare in qualche modo con il suo peccato, con la sua ribellione: "Perché mi hai tentato?". E Dio rivela il dono più grande che ha fatto all'uomo, la libertà di andare anche contro il Padre, la libertà di rinnegare l'amore da cui è stato generato; "Adamo [...] io volevo il tuo spirito in ogni momento dei tempi. Non l'ho preso io, tuo Dio, volevo che tu me lo dessi, in ogni momento dei tempi". Questo dialogo mette in evidenza quanto per Dio è irrinunciabile la libertà. A costo di perdere la sua creatura, l'uomo può aderire a Lui solo come essere libero, del resto "cosa sarebbe una salvezza che non fosse libera?" come dice Peguy.
Alessandro Banfi lo sottolinea nella prefazione: "si tratta di un Dio misericordioso, ma che non si impone [...] Dio vuole conquistare la libertà dell'uomo e quindi lasciarla tale. La scelta è di tutti i giorni".
Il senso ultimo di Adamo è nella sua somiglianza con Dio e se questa è stata ferita dalla sua ribellione, Dio interviene e promette il figlio che verrà a risanare questa somiglianza ferita, ma la libertà dell'uomo rimane a decidere ogni momento di aderire o no alla sua origine. "Darò nelle tue mani mio figlio" dice Dio "Tu l'ucciderai, nuovo Abele, servendoti dell'albero, me l'offrirai in sacrificio e mangerai la sua carne e berrai il sangue suo. Egli prenderà sopra di sé i tuoi peccati [...] Starà come segno di pace tra noi".
È rivelatrice la citazione dal vangelo di Matteo ad inizio di tutto il libro: "non la pace, ma la spada" a significare proprio che il senso di tutta la storia è Cristo prima ancora della sua venuta e dopo. Come i protagonisti di tutti i racconti a partire da Adamo devono rapportarsi con la sua presenza, l'uomo di tutti i tempi è chiamato a riconoscerlo o rifiutarlo e anche nell'accettarlo la libertà è messa a dura prova. Cristo divide il cuore di ogni uomo, è venuto a portare non la pace ma una spada che ci divide dentro, siamo Abele e Caino a seconda di come rispondiamo a Dio che ci interpella nelle circostanze.
Questo è anche il libro in cui il peccato viene avvertito come una mancanza, un venir meno dell'uomo alla presenza di Dio, come una lacerazione nel rapporto con Lui e il dolore che ne deriva è per la distanza che appare incolmabile nei suoi confronti; è una percezione diversa da quella dell'uomo lontano da Dio che identifica il peccato con l'incapacità di raggiungere la perfezione. Sono ferite diverse, una può accogliere la misericordia di Dio ed essere risanata, l'altra rischia di rimanere impotente di fronte al proprio limite.