Storia di una vita che continua: a Villa Magnisi la mostra fotografica “Dott. Giuseppe Moltalbano. Il coraggio di essere…”

 

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(10 gennaio 2015) – È stata inaugurata giovedì 8 gennaio 2015 nella sede dell’Ordine dei Medici di Palermo, in Via Rosario da Partanna 22, la mostra fotografica “Dott. Giuseppe Moltalbano. Il coraggio di essere…”.

La moglie Angela e i figli Luigi e Valerio attorniati da alcuni dei nipoti hanno tagliato il nastro dando l’opportunità ai numerosi amici e parenti intervenuti di ripercorrere le tappe più significative della sua vita, tragicamente recisa dalle fucilate di un commando mafioso il 18 novembre 1988, capeggiato da Giovanni Brusca. Sapientemente curata dall’architetto Vincenzo Zuppardo, essa raccoglie foto d’epoca e più moderne che raccontano la storia semplice ed eroica del medico condotto di Camporeale e le numerose iniziative messe in campo dalla famiglia per onorare e ricordare la sua figura, la cui memoria è ancora viva tra quanti lo hanno personalmente conosciuto e tra quanti, i più giovani, ne hanno apprezzato la testimonianza, soprattutto attraverso l’istituzione della borsa di studio voluta dalla famiglia e a lui intitolata, a favore degli studenti di Camporeale.

L’inaugurazione dell’ennesima mostra su una vittima della mafia non può certo definirsi un evento eccezionale, soprattutto nella nostra martoriata Sicilia; eppure, quanto è avvenuto nella serata della presentazione può definirsi “evento” se non eccezionale, certamente molto significativo, se si tien conto tra l’altro che l’omicidio risale a ben 27 anni fa.

Le testimonianze rese dai familiari e dagli amici hanno avuto il sapore non di una commemorazione, ma di un accorato e affettuoso ricordo, anche perché proprio nella stessa giornata il dott. Montalbano avrebbe compiuto 90 anni.

La domanda più significativa è stata posta dal figlio Valerio il quale, dopo aver letto gli elementi costitutivi della sentenza con cui Giovanni Brusca e il suo commando mafioso furono condannati all’ergastolo, si è chiesto ed ha chiesto: “Dunque, giustizia fu fatta? Cosa c’è oltre la Giustizia, oltre una sentenza di condanna degli assassini del proprio padre”?

Ed ha suggerito due ipotesi di risposta: la vendetta oppure il perdono.

“Ma - ha proseguito - la prima, la vendetta, sarebbe solo un tradire la nostra natura umana trasformandosi in animali; la seconda, il perdono, per sua stessa natura avrebbe bisogno di un soggetto che riconosca che ciò che ha fatto è un male, che prova dolore per quanto compiuto e che si propone di non farne più. Ma questo soggetto non c’è!”

Ha poi continuato spiegando come dopo la sentenza di condanna nessuno dei familiari ritenesse che tutto potesse esaurirsi con quel giudizio. Ha raccontato dell’esperienza e del travaglio della famiglia degli anni dopo la sentenza quando “avendo davanti agli occhi la vita di nostro padre avvertivamo che anche se la giustizia terrena aveva fatto diligentemente il suo compito, la sentenza da sola non poteva rendere giustizia alla ‘vita’ di nostro padre”!

E poi ha aggiunto: “Dopo l’omicidio e per tanti anni noi familiari siamo stati considerati dei vinti, al massimo da commiserare per l’ingiustizia subita. Questo giudizio ci è stato sempre molto stretto. Potevamo, insomma, sentirci appagati da una pur giusta condanna all’ergastolo? Certamente no! Perché - ci siamo detti e continuiamo a ripetercelo fino a questa sera -, che oltre la giustizia c’è la vita, e la vita continua ed è continuata, ricca di tante altre positive esperienze, nate in modo spesso imprevisto, che ci hanno suggerito il modo migliore per onorare la figura di nostro padre. E la Vita non la puoi rinchiudere in una sentenza, non la puoi legare ad una condanna, la puoi solo raccontare, anzi meglio, la puoi solo testimoniare”!

Ha illustrato con commovente passione alcuni degli sviluppi che ne sono derivati. Nel 1989 la decisione di costruire una croce alta 12 metri sul luogo del delitto, in piena campagna, ancora oggi ben visibile in tutta la vallata della contrada Macellaroto. Ha poi ricordato dei rapporti avuti con l’amministrazione comunale di Camporeale volti a dare un riconoscimento del servizio svolto dal dott. Montalbano in paese, magari con l’intitolazione di una strada o ancora meglio del nascente poliambulatorio. Ma la richiesta non ha ottenuto risposta.

Infine si è soffermato sull’esempio più eclatante: la borsa di studio dott. Giuseppe Montalbano, giunta alla 7° edizione. Essa premia ogni anno uno studente di terza media della cittadina palermitana che abbia svolto nelle forme che ritiene più opportune il tema scelto dalla giuria. “Si tratta - come ha spiegato - di un sostegno al proseguimento degli studi superiori per gli alunni meritevoli, non di una istituzione benefica. Per questo motivo un anno non è stata assegnata e la somma è stata devoluta alla biblioteca comunale di Camporeale, intitolata a mia padre, per l’acquisto di libri”.

Il figlio primogenito, Luigi, ha ricordato i tratti salienti della vita e dell’opera professionale del padre riuscendo efficacemente a comunicare “quello che ancora c’è di vivo nella vita di mio padre e non appena il ricordo, seppur affettuoso, per un familiare morto. Una vita spesa per la famiglia e la professione, ma anche per offrire una possibilità di riscatto sociale e civile agli abitanti di Camporeale, come tanti suoi pazienti ricordano ancora oggi”.

Molto belle anche le testimonianze dell’amico e collega Francesco Piccione, che ha narrato significativi aneddoti della esperienza universitaria condotta con Giuseppe Montalbano e del nipote Gabriele, che studia storia alla Sorbona a Parigi, che ha dato un quadro storico e appassionato della mafia del palermitano negli ultimi cento anni.

La mostra rimarrà aperta nei giorni 9 e 10 gennaio 2015 dalle 9 alle 13 e dalle 16 alle 19.00.

 

Foto di Emanuele Viviano

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