L’intervista che pubblichiamo oggi, sulla Lettera dei Vescovi di Sicilia per i 25 anni dell’intervento di San Giovanni Paolo II nella Valle dei templi, è di Nicoletta Purpura, direttrice del Centro P. Arrupe di Palermo.
Cosa ricorda di quel 9 maggio del 1993? Che cosa le provocò?
Studiavo per gli ultimi esami del mio percorso universitario ed assistevo a parte della celebrazione in televisione, insieme ai miei familiari. Come tutti, sono rimasta colpita e profondamente commossa dalla veemenza con cui il nostro Papa attaccava coloro che definiva i “responsabili”, quelli che, fino ad allora, non erano stati mai apostrofati così apertamente in una diretta televisiva urbi et orbi, in più con una esortazione così ferma a convertirsi di fronte alla prospettiva del ‘giudizio di Dio’. Il grido “sgorgato dal cuore” da san Giovanni Paolo II ha risvegliato in me la speranza che la società civile potesse avere nella Chiesa cattolica un alleato forte, vigoroso ed autorevole, schierato coraggiosamente in prima linea di fronte alla prepotenza e crudeltà mafiosa di cui la Sicilia è vittima quasi rassegnata, pronto ad imbracciare le armi della fede e denunciare il male imperante sferzandolo con la stessa autorità con la quale Gesù scacciava i demoni che si impossessavano degli uomini.
Che conseguenze vi sono state, a suo giudizio, sulla società siciliana?
La società siciliana ha avuto una specie di shock benefico dalle parole pronunciate in quella occasione, ed ha continuato ad avanzare in quel processo di presa di coscienza sempre più significativo che si era avviato in particolare nel ’92 con le stragi di Falcone, Borsellino ed i loro compagni. Una netta consapevolezza di dovere ingaggiare, superando la rassegnazione ed organizzandosi come collettività, una lotta contro un male talvolta evidente, talvolta nascosto nelle pieghe di una politica collusa, di una burocrazia compiacente, che hanno schiacciato la nostra terra limitandone fortemente la bellezza e rendendo per tanti anni pavidi ed insicuri i siciliani. Una lotta, in fondo, contro la nostra tendenza atavica a considerare che “così è e così sempre sarà”, che è, a mio parere, la nostra debolezza più grande.
La lettera dei Vescovi siciliani era necessaria per commemorare l’evento, cioè per non perdere la memoria, o per rilanciare il discorso nel contesto attuale?
Si, credo fermamente che la Chiesa non debba stancarsi di incoraggiare apertamente ed in modo concreto questo processo di cambiamento, offrendo non soltanto spunti di riflessione, ma un sostegno concreto attraverso quelle che sono le proprie possibilità: il pentimento cristiano è uno strumento potentissimo, soprattutto per coloro che subiscono la scelta di una vita di peccato da parte di alcuni dei loro familiari (mogli, figli, madri e padri) e che possono avere una parte importante nell’accompagnare la propria famiglia verso una sincera conversione al cospetto innanzi tutto di Dio e poi degli uomini.
Come giustamente si preoccupano i Vescovi siciliani è fondamentale, tuttavia, che il loro discorso “non soffra di una certa inefficacia performativa: cioè non giunga a interpellare e a scuotere davvero i mafiosi” ed, al contempo, che prosegua quella spinta pedagogica che negli ultimi decenni è stata capace di “far crescere generazioni nuove di credenti”, caratterizzati da un reale senso di appartenenza alla Chiesa, anche se “Chiesa santa di peccatori”. La scelta di scrivere insieme questo documento è stata profetica: la storia ci ha insegnato che non bisogna lasciare solo chi è in prima linea, poiché solo se agiremo in modo compatto riusciremo ad ottenere un reale cambiamento. L’arrivo tanto atteso di Papa Francesco a Palermo segnerà senz’altro una tappa importante di questo processo.
Lei lavora molto con i giovani e per la loro formazione. Che difficoltà incontra nel suo impegno professionale’ i giovani che percezione hanno dell’impegno della Chiesa contro la mafia?
Il beato Pino Puglisi aveva compreso come l’alternativa ad un destino criminale era togliere i ragazzi dalla strada, dare loro opportunità di crescita sana, di una formazione sana, attraverso la pastorale giovanile, ma anche attraverso la scuola o la formazione professionale, che potesse ribaltare tanti destini apparentemente segnati.
In questo momento storico dovremmo tutti interrogarci con preoccupazione sul futuro dei nostri giovani in Sicilia, soprattutto di quelli più fragili, per i quali non ci sono molte opportunità di scelta, quelli che crescono senza modelli positivi, che si sentono abbandonati dalle istituzioni e dalla loro stessa terra. Occorre proseguire l’opera di Padre Pino e di tanti come lui, perché i nostri giovani, sia quelli che appartengono alle fasce più deboli, tra i quali anche i numerosi migranti, sia quelli apparentemente senza problemi particolari, possano confrontarsi realmente sul proprio futuro, stabilire dei legami, contrastare la mentalità mafiosa ancora radicata, valorizzare la propria creatività e partecipare attivamente ad una reale rinascita, da tutti i punti di vista, della nostra terra. In questo il ruolo di noi adulti e delle istituzioni i cui operiamo è fondamentale: non bastano più le parole, occorre essere capaci di organizzarsi, agire in modo unitario, offrire modelli e valori ai quali i giovani possano aspirare, metterli al centro del nostro lavoro, perché sono loro la nostra speranza!
Come giudica tutto ciò dal punto di vista del suo impegno ecclesiale?
La mia lunga esperienza nella pastorale giovanile e degli adulti nell’ambito della spiritualità ignaziana e le varie attività di volontariato svolte mi hanno rafforzato su tanti fronti dandomi la certezza che, se si lavora sui giovani e con i giovani, non si sbaglia.
La Chiesa può avere commesso (ed ancora certamente commetterà) tanti errori, può essere stata debole, poco coesa, contraddittoria, ma essa è composta da uomini che, come tali, possono sbagliare. Solo una comunità ecclesiale viva e caratterizzata da un forte senso di appartenenza può ridurre le fragilità che vi si manifestano ed essere un sostegno sicuro per coloro che vi si rivolgono. È importante favorire nei giovani esperienze profonde che possano radicarli nella fede, appassionarli nel servizio, aumentare in loro il desiderio di una vita buona. La Sicilia è una terra meravigliosa e controversa: capace di dare ma anche di togliere tanto. Come certamente dirà Papa Francesco durante la sua visita a Palermo: non lasciamoci togliere anche la speranza che qualcosa possa cambiare, se solo riusciremo a volerlo, una volta tanto, veramente…