Cosa sono gli Esercizi Spirituali? Servono ancora al giorno d’oggi? Lo abbiamo chiesto a don Antonio Mancuso

 

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La Quaresima è un periodo importante per la Chiesa perché nel corso dei suoi quaranta giorni vengono proposti ai fedeli dei gesti molto significativi per prepararsi alla Pasqua. Tra questi vi è anche l’iniziativa degli Esercizi Spirituali. Ne abbiamo parlato con don Antonio Mancuso, vice rettore del Seminario diocesano e Vicario Episcopale del 5° Vicariato.

Don Antonio, che cosa sono oggi gli Esercizi Spirituali in una società così secolarizzata e così ricca anche di proposte che invitano alla riflessione, ma non necessariamente a quella cristiana?

L’uomo moderno va sempre di corsa, vive in una “società mobile”, raggiunge facilmente ogni luogo, reale e virtuale, ed è raggiunto facilmente da tutti e da tutto. Si trova in un posto, impegnato in una situazione, ma, con la mente è già altrove, all’appuntamento successivo. Si gode poco il presente, il qui e ora, perché non vuole “perdere tempo” per essere pronto e disponibile per il passo successivo. Cerca, allora, in molte occasioni, di vivere più cose contemporaneamente: cammina per strada parlando al cellulare e per avere le mani libere per fare altro usa gli auricolari. Prima si connetteva con internet col pc, poi non solo col portatile, ma anche col tablet e col cellulare. Adesso con lo smartwatch, direttamente con l’orologio, senza bisogno di prendere dalla tasca il telefono. Organizza pranzi o cene di lavoro per potere mangiare e parlare di affari contemporaneamente. Insomma, l’uomo moderno ha una particolare gestione del tempo e anche nella dimensione della fede rischia di vivere e utilizzare le stesse categorie, la stessa “grammatica”, che usa nella quotidianità: non riesce a trovare il tempo giusto e adeguato per la preghiera, per la sua formazione cristiana e spirituale in modo specifico. Gli Esercizi Spirituali, allora, rappresentano un’opportunità per fermarsi a meditare, a riflettere, a confrontarsi con la Parola di Dio e alimentare la propria fede. Una parentesi per nutrirsi per poi riprendere con più slancio la vita quotidiana.

Quali sono le modalità più significative ancora diffuse oggi?

Un tempo dedicato esclusivamente all’incontro con Dio attraverso la meditazione della sua Parola. Penso che questo sia l’elemento essenziale che non può mancare. Il come, la modalità, può dipendere da chi propone gli Esercizi Spirituali, dalla guida. Ciò che non può mancare è sicuramente il silenzio, la Parola e la guida. Il silenzio è essenziale. Non siamo più abituati al silenzio. Come non siamo abituati a fermarci per un po’ di tempo, non siamo abituati al silenzio. Le due cose sono strettamente legate. Il silenzio, allora, è fondamentale. Non posso ascoltare Dio che mi parla se non faccio silenzio fuori e dentro di me. La Parola. Anche questa è essenziale. Certo, si può meditare anche un passo tratto da un santo o un padre della Chiesa, ma di fatto è sempre, comunque, qualcosa ispirata dalla Parola di Dio. La guida. La guida ha il compito di fare da sfondo. Non deve essere troppo “presente”, troppo “evidente”, deve semplicemente guidare, appunto, la meditazione. Mettere le persone a contatto con la Parola. Meno emergono le sue parole e più emergerà la Parola di Dio.

Fino a qualche decennio fa essi erano proposti a tutti a partire dai luoghi di lavoro. Anche le pubbliche amministrazioni ne curavano l’organizzazione durante l’orario di lavoro. Oggi sembrerebbe impensabile riproporlo in quelle forme. E allora quale proposta fare?

Sì, decisamente, oggi proposte del genere sarebbero impensabili. Oggi, ordinariamente, gli Esercizi vengono proposti o nelle parrocchie o, comunque, da chi si occupa di spiritualità. E le forme sono quasi sempre le stesse. Si fanno esercizi di breve durata, solitamente nelle parrocchie, nei saloni parrocchiali, in case di esercizi o anche in albergo ma, ancora una volta, non devono mancare i tre elementi di cui sopra.

Solitamente si fanno, soprattutto, in preparazione dei tempi forti. Alcune comunità preferiscono farlo in un unico momento e se possono anche in un luogo diverso dalla parrocchia. Nella maggior parte dei casi, invece, si fanno in tre giorni diversi, in continuità, scegliendo una tematica unica. Insomma, si cerca di venire incontro alle esigenze delle persone, scegliendo modalità più adatte al contesto di questo tempo.

Chi partecipa agli esercizi spirituali? Che tipo di persone sono? Cosa cercano? Sono più interessati i giovani, le donne, gli anziani?

Non è facile rispondere a questa domanda. Trattandosi di una proposta che nasce prevalentemente in un contesto parrocchiale o di gruppo, di fatto, i partecipanti sono le persone di quel contesto o di quel gruppo. Insomma, se una parrocchia è frequentata maggiormente da persone anziane, saranno loro a partecipare agli Esercizi Spirituali. Nel caso, invece, dei movimenti, l’età media solitamente è più bassa. Trattandosi di pratica religiosa, mi viene da pensare, per esperienza personale, che la maggioranza è comunque costituita da donne. La Messa feriale, infatti, tranne pochissimi casi è frequentata nella maggioranza da donne. Insomma, si tratta di persone che comunque, curano in qualche modo la propria vita spirituale. Lo ribadisco, prendersi un tempo da dedicare alla propria formazione spirituale, oggi non è facile. Chi ci riesce e chi decide di farlo, lo fa perché è molto motivato.

Gli esercizi spirituali sono un gesto rivolto alla singola persona, seppur fatto insieme ad altri. Come si veicola la dimensione ecclesiale e/o comunitaria? È ancora accettata o prevale il c. d. rapporto personale con Dio?

Anche questa è una domanda particolarmente difficile. La fede nasce in un contesto comunitario ed ecclesiale. Non può esserci cammino di fede senza Chiesa. Certo, il rapporto con Dio è e rimane personale, ma sempre in un contesto ecclesiale. Non a caso, quando i discepoli chiedono a Gesù l’insegnamento sulla preghiera Lui risponde dicendo: “Quando pregate dite Padre nostro”. Ecco, nella preghiera per eccellenza, non diciamo “Padre mio”, ma “Padre nostro”. Spesso nella meditazione di questo passo del Vangelo ci si sofferma sul termine “Padre”. Io, invece, vedo nel termine “nostro”, una ricchezza e una originalità unici. Se tutti possiamo rivolgerci, personalmente, a Dio chiamandolo “Padre nostro”, allora, concretamente, ci consideriamo tutti “fratelli”. Questa doppia e inscindibile dimensione è, di fatto, qualcosa di originale e difficile da comprendere e da far capire soprattutto nell’attuale società che va sempre di più diffondendo il modello individualistico, dove l’altro diventa il mio rivale e il mio antagonista. Parlare, oggi, di comunità, di fraternità, di relazione e di dimensione comunitaria ed ecclesiale è complicato e, purtroppo, le nostre comunità devono vivere la sfida, difficile ma sempre bella, di sopravvivere nonostante il contesto individualista del tempo presente. È una sfida, appunto, e fa parte di quelle sfide che solo se affrontate senza paura di andare controcorrente possono portare frutto, il frutto di sperimentare la bellezza di vivere con un Dio come Padre, con la Chiesa come madre e con tanti fratelli e sorelle che hanno in comune l’obiettivo di amare, di sentirsi amati e di crescere, anche attraverso gli esercizi spirituali, in questo amore.

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