È trascorso quasi un mese dall’annuncio dato dal Vescovo Corrado Lorefice in occasione della Messa crismale nella Cattedrale di Palermo del giovedì santo e l’iniziativa denominata “Pane Spezzato” svolta tra le detenute del carcere di Pagliarelli ha spiccato il volo. Ne parliamo adesso con una delle promotrici Stefania Sposito, che con suo marito Domenico Anastasi e altri volontari di alcuni gruppi dell’Azione Cattolica della Diocesi di Palermo hanno seguito lo svolgimento del progetto fin dal suo nascere.
Partiamo dall’inizio: quando e come è nato tutto ciò?
Tre anni fa durante l’anno del Giubileo della Misericordia, tra noi aderenti all’Azione Cattolica di san Giuseppe Cafasso, quella vicino all’Ospedale dei Bambini, prendemmo atto che ciascuno aveva compiuto almeno una opera di misericordia, ma mancava quella di visitare i carcerati per la oggettiva difficoltà che comportava. E allora ci siamo fatti una domanda?
Quale?
Come facciamo ad incontrare i carcerati? Io e mio marito abbiamo iniziato dal modo più ovvio: bussando ai vari carceri della provincia, iniziando a portare un certo numero di copie della Bibbia agli istituti di pena, su incarico dell’Azione Cattolica Diocesana di Palermo, di cui Domenico era ai tempi presidente, senza tuttavia essere riusciti mai ad avere un contatto diretto con le varie amministrazioni.
E come è andata?
All’inizio non è andata…Tutti coloro che conoscevamo, a vario titolo impegnati come volontari all’interno dei vari istituti di pena, ce lo dipingevano come un accesso impossibile, finché non incontrammo un Cappellano del Pagliarelli Don Massimiliano Lo Chirco, allora Parroco della Parrocchia San Carlo Borromeo, che ci incoraggiò a portare avanti la nostra idea e ci diede il contatto di un’educatrice del Pagliarelli, che poi scoprii essere stata mia compagna di scuola al liceo, e che ci espresse subito il suo giudizio positivo sulla proposta e sulla sua fattività. Così avviamo l’iter burocratico per ottenere i permessi, e finalmente presentammo il progetto “visitare i Carcerati”, ma ci vollero sei mesi circa solo per concludere e portare a compimento tutti gli adempimenti formali e altri sei mesi per tradurre concretamente il progetto presentato, che venne infine curato nella sua interezza da un altro educatore. Il Progetto in questione prevedeva due momenti da condividere con i fratelli detenuti: la partecipazione/animazione delle Liturgie ordinarie e un’attività di Catechesi, secondo il Progetto Formativo dell’A.C.
E la conclusione?
Fummo autorizzati ad iniziare questa attività in un reparto maschile, chiamato “Pianeti” e lì iniziammo a incontrare settimanalmente i detenuti per una attività che era, come ho detto, esplicitamente di catechesi e partecipazione/animazione di Liturgie. Da quell’inizio sono nati poi altri progetti di attività artistiche come il canto, la pittura, ecc.
Ma come si è passati all’iniziativa “Pane Spezzato”
Il salto si è verificato quando giunse il nuovo cappellano, fra Loris D’Alessandro il quale, e siamo così arrivati a luglio dell’anno scorso, ci fece una proposta specifica: ‘Perché non pensate di mettere su un piccolo laboratorio per la manifattura delle ostie?’.
E questa idea come è nata?
Credo avesse sentito parlare di analoga iniziativa che si svolge al carcere di Opera a Milano, in un incontro tra i cappellani delle carceri italiane. Non rispondere ad un’altra opportunità che il Signore ci chiamava a fare sarebbe stata una follia e decidemmo che il laboratorio si sarebbe chiamato ‘Pane Spezzato’ non a caso, ma perché si voleva in tal modo esprimere il senso delle vite spezzate delle detenute e metterle in relazione con le ostie che sono spezzate dalle mani dei presbiteri. Dalle ostie spezzate e mangiate inizia il progetto di redenzione che si fonda su quell’amore infinito di Colui ha donato la vita per tutti.
E la reazione delle interessate?
Le donne che partecipano al progetto hanno accettato subito commosse l’idea di fare questo servizio, perché in questo modo cercano di dare un significato profondo a quest’attività a coronamento di un cammino di fede e riscatto personale che stanno facendo.
E poi cosa accadde?
Questo progetto più ampio è stato da subito sostenuto da tutta l’Azione Cattolica diocesana: approvato a settembre all’Assemblea Diocesana è divenuto parte integrante delle iniziative promosse per le celebrazioni dei 150 anni dell’A.C. Nell’occasione è stato stabilito che 50 centesimi delle nostre tessere sarebbe stato devoluto all’attuazione del progetto ‘Pane Spezzato’. Quindi a settembre stesso è iniziata l’attuazione del progetto, con l’acquisto dei macchinari, del materiale di supporto (grembiuli, tovaglie, cuffie, ecc.) e della materia prima, la farina e l’acqua da parte dell’Azione Cattolica Diocesana.
E i rapporti con l’Amministrazione penitenziaria quali sono stati?
Molto buoni, fin dall’inizio, grazie alla sensibilità e disponibilità della Direttrice la dottoressa Francesca Vazzana. Lei ha preso a cuore questo progetto e lo ha sempre sostenuto; grazie a lei ci sono stati affidati due piccoli locali, dell’ex cucina, nella sezione femminile dove abbiamo impiantato il laboratorio, essendo il progetto dedicato alle donne.
E oggi?
Le detenute che prendono parte al progetto al momento sono sei, ma sappiamo dovrebbero diventare otto. Noi di A.C. siamo otto volontari che a turno per alcune ore al giorno coordiniamo le sei detenute in tutte le fasi della produzione delle ostie.All’inizio abbiamo dovuto scontare un po’ di inesperienza, cui abbiamo supplito chiedendo aiuto a tanti che da tempo fanno questo lavoro, trovando sempre grande disponibilità. Abbiamo ottemperato a tutti i canoni del Diritto canonico, nonché alle norme di carattere igienico alimentare e abbiamo rispettato quanto previsto dai canoni liturgici. Adesso siamo già in grado di produrne a sufficienza per le richieste che ci vengono dal “mercato locale”. Ma giungono anche telefonate da fuori Sicilia. Non chiediamo un corrispettivo economico, ma un’offerta e già parecchie parrocchie si sono fatte avanti.
E come si inserisce in tutto ciò il Vescovo Lorefice?
L’8 febbraio è venuto a trovarci per benedire i locali e il progetto. In quella occasione è nata l’idea di utilizzare queste ostie per la Messa Crismale del giovedì Santo. E così è stato: ne ha parlato nel corso dell’omelia alla Messa Crismale e da quel giorno la notizia sì è sparsa a macchia d’olio e ne hanno parlato in tanti, in tutt’Italia.
Ma allora fate catechesi o azione sociale?
L’attività materiale e solidale che facciamo attraverso le ostie è uno strumento per fare catechesi. Certo non solo in termini tradizionali, cioè con in mano il Catechismo della Chiesa Cattolica nello specifico dell’attività, relativo ai paragrafi sull’Eucarestia, ma attraverso un messaggio palpabile che tramite la farina e l’acqua arrivi all’impalpabile che è il Corpo di Cristo. Attraverso questo processo deve accadere una rinascita che non è solo di quelle vite spezzate, ma di ciascuno di noi. Come in effetti accade.
Che tipo di rapporto si instaura con le detenute?
Molto bello e significativo. Ma lo voglio esprimere con quanto già accaduto attraverso un racconto. Una detenuta che è andata via perché ha ottenuto gli arresti domiciliari; prima di salutarci, tra le lacrime, ci ha chiesto: ‘E adesso chi mi continua a formare’? Noi abbiamo risposto: ‘Vai nella tua parrocchia. Adesso sei tu che devi ricominciare, cercati le persone con cui continuare il cammino iniziato con noi, troverai anche lì l’A.C.’ Questo è il senso ultimo della nostra testimonianza cristiana: far incontrare tutti con il Salvatore e con la sua Chiesa. Un altro esempio significativo è quando accade nei casi in cui le detenute sono sole a portare avanti la manifattura delle Ostie: formalmente non si fa catechesi, ma loro ugualmente vivono un momento di comunione, con la preghiera iniziale, la recita del Rosario e altre forme di preghiera. Anche questo è fare e vivere la Chiesa. E poi c’è sempre il Cappellano, fra Loris, che accompagna tutti nelle celebrazioni domenicali e in ogni momento della giornata, quando lo chiedono.
Come concludere questo racconto?
Evidenziando la particolarità e l’originalità di questa storia. In tutte le carceri sono tanti i volontari che rendono un servizio sociale, da cui deriva una testimonianza cristiana che spesso porta a percorsi di conversione e redenzione. In questo caso è accaduto il contrario: dalla catechesi si è giunti al servizio. Ma il risultato è sempre lo stesso. Aiutare queste persone a rinsaldare la propria vita spezzata e consegnarla alla Misericordia di Dio, l’unico che può interamente riscattarle nel suo abbraccio paterno.