La cucina della tradizione siciliana è percorsa dal ciavuru d’intrecciate dominazioni. In questa terra assolata nel mezzo di tre mari, greci, saraceni, normanni, spagnoli, borboni e francesi ficiru, a loro agio, li comodi so’. Il titolo, curiusu per una rubrica di cucina, anela alla raffinatezza dei francesi, mutuato dalla sostanza dei siciliani. Scorza d’arancia è un foodblog e un libro di ricette scritto, curato e fotografato da Claudia Magistro, architetto paesaggista che in cucina ha ritrovato il suo giardino, tra erbe aromatiche e spezie che solleticano il naso. Questa rubrica sarà percorsa da profumi, evocazioni e racconti in uno stile di vaga “camilleriana” memoria, fra tradizione, innovazione e l’amore per la buona cucina.
"Scorza d'arancia" è ogni domenica online su sicilypresent.it
(13 dicembre 2015) – Santa Lucia, arancine, panelle e cuccìa. Accussì si dice ‘m Palermu.
Ora, è cosa cognita che gli arancini, in quasi tutta la Sicilia, sunnu masculi e a Palermo sunnu fimmine, io ca sugnu missinisi ma trapiantata nel palermitano da un pezzo oramà, li chiamo n’anticchia al maschile e n’anticchia al femminile, non ci bado più e non mi fa ‘mpressione, ho superato abbondantemente la questione lessicale quindi salto a piè pari l’argomento, già discusso ampiamente anche su queste pagine, e vado al tema ‘carestia’. Non vi scantate, ci mancassi puru chista ‘n menzu a tutti i pobremi che affliggono ‘u munnu ‘ntà ‘stu periodo, mi riferisco alla carestia che generò la tradizione legata a Santa Lucia.
Si cunta che all’epica, nel 1646, c’era un pitittu di morìri e la Santa fici arrivari un bastimento carico di grano; con la fame che ci avevano i siciliani mancu lo macinarono e se l’agghiuttirunu accussi, bugghiutu. Ecco come un popolo s’inventa le ricette, nasciu la cuccìa.
Si cunta puru, che ai devoti che si astengono dal mangiare pane e pasta il 13 dicembre, la Santa ci sarba la vista. Comunque, ppì nuatri, ogni ragione è buona ppì manciari a tinchitè; ci livamu il pane e la pasta per un jornu e manciamu risu in tutte le maniere, l’importante è che sia liccu. ‘n summa, autru chi scarsità.
Io oggi mi sento più propensa a mantenermi leggera picchì, cu tutti ‘sti festeggiamenti c’accuminciano accussì pristo, per qualunque ragione sacra o profana, mi finisce che addiventu ‘na padda da mettere sull’albero di Natale. Dunque, oltre alle millemila cosuzza di riso che mangerò, aggiungo questo riso pilaf bello, dietetico e buono.
Buona Santa Lucia.
per tre cristiani
difficoltà: facile
tempo di preparazione: 30 minuti
tempo di cottura: 20 minuti
un cavolo viola
250 g di riso basmati
una cipolla rossa
un peperoncino habanero orange o quello che volete
due piccole patate
olio extra vergine d’oliva
un mazzetto di prezzemolo
sale
acqua q.b.
Tagliate il cavolo a listarelle e poi a dadini dopo avere eliminato le foglie esterne dure. Ponetelo in padella con un giro d’olio, la cipolla tritata, l’habanero a pezzetti piccoli (usate dei guanti per evitare di toccare il peperoncino) e le patate pelate e tagliate a cubetti. Salate, coprite con acqua e stufate fino a quando le patate e il cavolo saranno morbidi. Versate il riso e mezzo litro di acqua salata oppure brodo vegetale. Portate a bollore, versate dentro una teglia, coprite con un foglio di alluminio e cuocete per circa 10 minuti o fino a quando l’acqua sarà assorbita dal riso. Tirate fuori la teglia dal forno, cospargete con il prezzemolo tritato e servite tiepido. Manco a dirlo, è un pilaf piccante!
Copyright © 2015 - Testo e foto CLAUDIA MAGISTRO - scorzadarancia.it