(16 febbraio 2015) – “Esistono i luoghi comuni (che conosciamo) e i comuni luoghi, quelli in cui si può stare bene insieme: questo è uno di quelli” così nel cuore del concerto Mario Incudine si è espresso riferendosi al Palermo Jazz Club. Ed è un luogo raccolto, intimo e ben curato quello scelto lo scorso autunno per riproporre il gusto della musica dal vivo a Palermo.
Il concerto del 13 febbraio è stato interpretato dal cantautore ennese Mario Incudine secondo la dimensione della memoria e della riscoperta di alcuni pezzi non sempre inseriti nelle scalette dei concerti di piazza. Come il caso de “l’ultimu vespru”, una delicata cantata in cui si sente il calore di certa sicilianità contesa tra la stasi e l’attesa. L’immagine che rimane più impressa è quella contenuta in questi versi: “Io restu ccà a farimi annacari / comi lenzolu stinnutu p’asciucari / di stu ventu vinutu di luntanu / un viù nenti e mi fricu li manu”.
Lo sfondo è un luogo intimo, dicevamo, che permette di guardarsi negli occhi e di attendere il consenso del pubblico e se è il caso di accenderlo. E su questo non c’è che da riconoscere le qualità d’intrattenitore oltre che di cantante di Incudine: il suo saper coinvolgere con la forza della voce, nonché far trattenere il fiato, al pubblico muto durante le sue pause.
Tra una canzone e l’altra c’è il tempo per le riflessioni, anche condivise, che non abbassano il tiro e lo sguardo per il numero ristretto. Così s’introduce “Novumunnu” per i migranti siciliani di un tempo che vanno in nave verso l’America, o il “cunto” per quelli morti a Marcinelle, con tanto di citazione di Buttitta. E mentre l’“Italia talìa” e non ha memoria, si canta per non dimenticare e si canta anche per i migranti del mare, “ché non si può continuare con questa morte continua”.
Sul palco a riempire le casse di buona musica il piano delicato e la fisarmonica del barcellonese Antonio Vasta, il basso del messinese Pino Ricosta a grintare dietro e dare benzina, la batteria del palermitano Emanuele Rinella a scandire i versi, la chitarra la voce e le parole di Incudine a incantare e fare sentire vive immagini, suoni e colori della nostra Sicilia. Con una voce decisa, che a tratti fa tornare indietro nel tempo: voce di terra che si alza per battere il giorno, per battere l’aria, per battere il grano. Voce anche dell’antico mercato che abbannìa con cura. Voce capace di dipingere “li culura”. Canzone bellissima dedicata alla prima figlia, in cui si paragonano i colori al vento tra i capelli: “Li culura sunnu ventu intra li capiddi / ch’ormai nuddu chiù senti”.
Un concerto capace di emozionare in un luogo ottimo per ascoltare.