Fra musica e commozione al Teatro Massimo di Palermo si canta la speranza: nei giorni 6 e 7 marzo il palcoscenico del tempio palermitano della lirica ha ospitato lo spettacolo “Il viaggio”, ossia un’intervista del giornalista Karl Hoffmann a Malik e Adam, due ragazzi sfuggiti agli orrori della guerra dei loro paesi di origine ed approdati nelle terre europee in cerca di salvezza.
Ma ciò a cui ha assistito il numeroso pubblico presente è molto più di un’intervista classica: con sapienza e delicatezza i dialoghi tra Hoffmann e i due giovani uomini hanno toccato le sensibili corde della conoscenza e della coscienza, in un vorticoso viaggio verso l’infinito, verso l’impossibile e l’inenarrabile.
Malik Alali è nato in Siria, Adam Hallafa invece nel Ghana ed entrambi hanno la propria esistenza ferita indelebilmente dalla guerra ed hanno in comune un dono, un dono che sebbene sia un diritto non è per nulla scontato e dovuto, un diritto che va conquistato, perduto e riconquistato fino allo stremo delle forze in corpo, esso si chiama “vita”.
Malik e Adam raccontano le loro parallele ma diverse esperienze da quando si sono messi in fuga dalla loro terra natia per scappare dalle torture, dal terrore e dalla violenza della guerra e i loro racconti si intrecciano, con differenti sfumature, in un tùrbine di emozione e commozione che coinvolge ogni spettatore che rapito dalle parole dei due ragazzi non può che vedere con la propria anima e con il proprio cuore le tragedie e gli orrori vissuti dai due giovani.
Il racconto si snoda attraverso le vicende delle varie stremanti tappe e si articola con l’esecuzione di brani musicali eseguiti dal vivo e con la proiezione di immagini che documentano alcuni momenti chiave della terribile esperienza dell’emigrazione.
La regia è diKarl Hoffmane di Alberto Cavallotti, la musica di Antonio Doro, Nabil Salameh e Kevin Volans con gli arrangiamenti di Gaetano Randazzo.
Sul palco insieme ai tre protagonisti le voci di Badara Seck, Senegal, e di Nabil Salameh, Palestina; Adolfo La Volpe,Oud -Liuto arabo, e Moustapha Dembélé, Balafon. La musica è stata eseguita dal Quartetto d’archi del Teatro Massimo con il Coro Arcobaleno del Teatro Massimo diretto dal Maestro Salvatore Punturo.
Nei racconti non mancano i particolari dei numerosi viaggi fatti in pullman fatiscenti attraverso strade polverose o le dune del deserto, fra il caldo asfissiante del giorno e il gelo della notte.
Dopo aver lasciato la propria casa e i propri affetti “il peggio purtroppo doveva ancora arrivare, ci vogliono adesso almeno altri tre giorni”, e continua il racconto dei disagi e delle paure del viaggio fatto con tante altre persone su quel camion che improvvisamente ogni tanto si fermava o per fare rifornimento di carburante o per consegnare dei soldi a squallidi individui che bloccavano il passaggio.
“Io ero nascosto piccolo piccolo come un gatto, e in quel lungo viaggio mi sento solo perché non c’è nessuno che mi aiuta, tutti pensano a sé stessi, quando mi siedo sul giaciglio nessuno mi chiede come stai. La sera il deserto congelava il sangue e di notte dovevamo correre sulla sabbia avanti e indietro per riscaldarci”. “Chi ha i soldi è amico e può salvarsi, chi non ha i soldi non è amico”: è questa la cruda legge vigente su quel camion che percorre strade interminabili in cerca di un posto dove salvare la vita percorrendo un tetro ed infinito “deserto-cimitero”.
Per Malik la salvezza era la Danimarca, luogo dove abita lo zio, ma la difficile strada per raggiungerla, partendo dalla Siria, era piena di ostacoli e numerose tappe intermedie, prima Algeri, poi Tunisi, poi un pullman, poi un altro e poi un altro ancora.
“Io non voglio morire in guerra”, ricorda con determinazione Malik “e dovevo raggiungere a tutti i costi quell’aereo” e racconta di quando vide per la prima volta il mare; “io sono piccolo, forte e tenace e dovevo arrivare a tutti i costi in Danimarcada mio zio, ero sfinito come un uccello dalle ali stanche ma finalmente ci portano vicino al mare per attraversarlo, non l’avevo mai visto, là dietro c’era l’Europa. E con me migliaia e migliaia di bambini, molti ce la fanno ma altri purtroppo spariscono”.
Intanto scorrono le immagini proiettate sul palco che con forza ci danno contezza della crudele realtà dell’essere profughi in cerca di salvezza e in uno dei fotogrammi, Malik e Adam osservando i flutti del mare si stringono per mano, squarciando per sempre il velo della paura.
L’ultima parte del viaggio è quindi quello nel Mediterraneo, proprio quello di cui purtroppo siamo a conoscenza mediante l’informazione giornalistica ma di cui, comunque, non ne conosciamo che una minima porzione, ossia quella legata unicamente all’arrivo nelle nostre coste.
Una “barca di plastica che si chiama gommone” la prima, una “barca grande e di legno” la seconda: questi i mezzi con cui Adam e Malik attraverseranno il Mediterraneo, la prima si piega al centro dal troppo peso, imbarcando acqua, la seconda è molto grande ma si riempie presto e più persone salgono più si ha la sensazione che diventi piccola.
Le barche vacillano durante l’interminabile viaggio e i nostri amici hanno fame, sete e sanno di non farcela in quanto ormai non hanno più forza alcuna in corpo, l’uno rannicchiato a terra al centro della barca in una pozza di acqua salata e lurida mista a benzina al centro di tantissimi uomini e l’altro impaurito dalle urla, dai pianti e dai gesti degli adulti terrorizzati dal cadere in acqua.
“Io non so nuotare e un uomo senza conoscermi mi ha stretto a sé con un improvviso senso di protezione salvandomi ancora una volta la vita, poi durante il viaggio, l’uomo che mi stringeva cade dalla barca nel vuoto e muore nel nulla,proprio lui che mi ha salvato la vita”.
Poi finalmente arriva una nave all’orizzonte che li prende per mano e li farà scendere, ponendo termine al viaggio di Malik, di Adam e di altre migliaia di bambini, di donne e di uomini che con coraggio hanno portato in salvo la propria vita.
Al termine del racconto un grande coro conclusivo accompagna gli applausi del pubblico che insieme a Malik, Adam e Karl guardano le immagini.
Presente in sala il Sindaco di Palermo Leoluca Orlando che ringrazia Hoffman e la produzione di aver consentito al pubblico palermitano di “vedere l’invisibile”, vivendo istante dopo istante tutto il tragico iter vissuto dai nostri fratelli al di là del Mediterraneo che con fiducia e speranza approdano nelle nostre coste in cerca di una nuova vita e forse non è un caso che lo spettacolo sia andato in scena proprio il 6 marzo, ossia il “Giorno dei giusti”, proprio per rendere omaggio a tutti i giusti delle nazioni e a tutte le vittime di discriminazioni politiche, sociali o razziali che spesso, in nome della libertà perdono la propria vita.
Fra i giusti vanno senza dubbio inseriti tutti i migranti, quelli che sono tornati a vivere una nuova vita e quelli che, cercandola, l’hanno purtroppo persa, cadendo nell’oblio e cancellando la propria esistenza terrena sotterrandola fra le dune di un deserto o inabissandola nelle profondità del mare.
“Siamo orgogliosi di vivere in questa città armonica, oggi riconosciuta dal mondo intero come una capitale dell’accoglienza”, conclude il Sindaco Orlando che termina citando Bertolt Brecht: “vennero a prendere i Rom, ma io non sono Rom e non ho protestato per difenderli, vennero a prendere gli Ebrei ma io non sono ebreo e non ho protestato, vennero a prendere gli africani, gli omosessuali, i comunisti ma io non ho protestato per loro; poi vennero a prendere me, ma non era rimasto nessuno che protestasse per difendermi”.
Ad Adam ed a Malikil il pubblico augura libertà e vita con l’affetto di Palermo tutta che stringe i due piccoli eroi, in un fragoroso applauso che cinge loro e tutti i loro fratelli e sorelle, vittime di questa grande tragedia contemporanea.
L’incontro termina tracciando i momenti finali del viaggio fino all’arrivo in una grande stazione ferroviaria, “che così grande non l’avevo mai vista”.
E finalmente per Malik il felice epilogo si concretizza con l’arrivo in Danimarca che teneramente viene giudicata molto bella per il sol fatto, per noi purtroppo scontato, che non vi siano bombe, anche se, ci confessa, “quando passa un aereo ho ancora un po’ paura”.
Ma la legge danese offre qualcosa in più: essa consente a chi vi abita di essere raggiunto da un parente che ne faccia richiesta: ecco che grazie alla legislazione vigente anche i genitori di Malik Alali raggiungono la Danimarca, ponendo fine al calvario vissuto fino a quei giorni e riunendo così felicemente tutto il nucleo familiare, adesso stabilmente residente in Europa.
Adam ha invece deciso di rimanere in Italia, studia la nostra difficile lingua e frequenta un corso di scuola guida: attualmente lavora e studia a Lampedusa; prima di salutare il pubblico tende un ricordo a sua nonna la quale, dopo una sua recente chiamata, con rassegnazione non ha creduto che fosse realmente il suo amato nipote, credendolo non più in vita.
Un interminabile applauso di tutto il pubblico introduce il grande coro finale di pace e fratellanza sulle note di un celebre successo di Jovanotti, cantato dal coro, dagli ospiti e dalla platea tutta: “la vertigine non è, paura di cadere, ma voglia di volare”.
Fra i tanti sorrisi e molti occhi lucidi per la commozione termina “il viaggio”, un viaggio visto con gli occhi di bambino, è il viaggio di Adam e di Malik, di Karl e di tutti noi, che mediante la partecipata narrazione di quest’avventura abbiamo arricchito la nostra mente e il nostro cuore nella speranza che tutta questa sofferenza umana possa finalmente terminare.
SPETTACOLI - 'Il viaggio' di Karl Hoffmann: intervista a due ragazzi che hanno deciso di vivere oltre gli orrori della guerra
(ph. Carlo Guidotti)