(20 febbraio 2013) - Una commedia degli equivoci, dei giochi di parole e dalla gestualità buffa; una commedia della famiglia e dei due giovani innamorati; una commedia della maschera: del personaggio ossessionato dallo scongiuro, dalla sciagura, dalla superstizione.
Il protagonista di “Non è vero, ma ci credo” – un classico di Peppino De Filippo – è Gervasio Savastano, un imprenditore di pomodori che per condurre gli affari dell’azienda, come quelli della vita di famiglia, si affida religiosamente alla scaramanzia. Sebastiano Lo Monaco – che quest’anno calca le scene in veste comica, dopo essersi affermato con le sue interpretazioni di Sofocle, Shakespeare e Pirandello – è armato di corno rosso e tutta una serie di riti, che non trascura in alcun modo. Non a caso la moglie, nella sua entrata in scena del primo atto (quando ancora il pubblico sta facendo la conoscenza dei personaggi) a mo’ di blandizie, in vista di una scelta che il capofamiglia non accetterebbe e non accetterà, gli regala un cuscino con il disegno di un ferro di cavallo. Cuscino che diventa improvvisamente comodissimo al comparire dell’emblema contro la malasorte.
I rovesci della fortuna del Savastano seguono pedissequamente i riti e le scelte scaramantiche del protagonista. Ed è divertente osservare come molti dei personaggi attorno a lui, si adeguino a questi riti: il caso più eclatante è quello del fidato avvocato Donati (interpretato da un Alfonso Liguori, brillante soprattutto per i cambi di tono), che viene trovato con le gambe per aria nel salone dell’appartamento del suo datore di lavoro.
Ma non tutti si adeguano alla superstizione del “padrone”, è la moglie (l’esperta Lelia Mangano De Filippo) che si rivolgerà al Savastano dicendogli direttamente “la superstizione t’ha reso scemo!”. Infatti in non pochi casi lo spettatore è di fronte ad espressioni del protagonista paradossali e involontariamente divertenti, come quando rivolgendosi al gobbo pretendente della figlia finirà col dire: “Sammaria, io vi sposerei..!”. Ovviamente la fonte dell’affetto è la buonasorte che porterebbe con sé il gobbo. Gobbo, che sarà la chiave dello svelamento finale.
La regia dello spettacolo, che è prodotto dalla compagnia “Sicilia Teatro”, è affidata al noto conduttore televisivo Michele Mirabella. È sua la scelta di ambientare la vicenda nell’Italia degli anni ’50: negli uffici con motivi geometrici in bianco e nero lontana belle èpoque, nella casa che ha appena accolto il televisore formato-“forno” in cui si vede il “Carosello”, nel salone in cui campeggia sullo sfondo uno spazioso opaco specchio che riflette la vicenda senza lasciarne distinguere i tratti. Va ricordata, a proposito della scenografia, la trovata ironica dei barattoli di pomodoro onnipresenti, simbolo pletorico dell’azienda: ne troviamo uno sulla scrivania dell’ufficio sotto la lampada, come una serie nella credenza del salone dell’appartamento Savastano.
Come scrive lo stesso Mirabella, “poniamo la nostra scena in Italia, in quegli indimenticabili anni in cui essere scanzonati non voleva per forza dire essere scostumati”. E forse quello che rimane delle scene è proprio la leggerezza di una commedia, che non ha bisogno di tralignare per risultare gradevole.
Si replica al Teatro Biondo di Palermo fino al 24 febbraio.
SPETTACOLI - "Non è vero ma ci credo" al Biondo di Palermo. Le immagini documentano alcuni momenti dello spettacolo "Non è vero ma ci credo" in scena al Teatro Biondo di Palermo fino al 24 febbraio 2013.– Sicily Present (foto gl)