Sabato pomeriggio, ore 16,30. Appuntamento dinnanzi all’ingresso di Palazzo dei Normanni, lato piazza Indipendenza, per visitare la mostra del pittore Fernando Botero dal titolo: “VIA CRUCIS. La pasión de Cristo”. Motivo: il Centro Culturale Il Sentiero di Palermo ha invitato a partecipare ad una visita guidata.
Si capisce subito che la proposta ha riscosso grande successo. Ben presto si forma una lunga coda che coinvolge anche gli invitati al matrimonio che si celebrerà alla Cappella Palatina. È necessario l’intervento del personale di Palazzo dei Normanni addetto all’ingresso per separare e avviare alle relative destinazioni i due gruppi. Giunti all’ingresso della sala Duca di Montalto, dove sono esposti i quadri, ecco un altro problema: mai fino a quel momento un gruppo così numeroso si era presentato all’ingresso. Il personale delle Fondazione Federico II si adopera per una adeguata soluzione: altra coda, altra attesa, ma poi si entra.
Grazie ad un volantino preparato dal Centro Culturale, il cui testo è reperibile sul sito www.ilsentieropa.it/ e ad una presentazione di Rosalia Pipia, che ne è il presidente, l’attesa non è vana.
Quasi tutti i presenti hanno visto, almeno una volta, un quadro di Botero, ma forse non sempre ne hanno colto la particolarità delle sue figure espanse “dilatate così da assumere forme insolite, grottesche, quasi irreali”, dice il volantino del Centro Culturale. “VIA CRUCIS - la pasión de Cristo” è una serie di 27 dipinti ad olio e 17 disegni in cui il maestro Fernando Botero, come di consueto nel suo percorso artistico, unisce la tradizione della storia dell’arte occidentale ad elementi più contemporanei. Qui l’artista affronta il tema dell’arte di soggetto sacro, ma con chiari riferimenti alla condizione umana, al dolore, all’ingiustizia e alla sofferenza nel mondo di oggi.
Abituati a vedere nelle nostre chiese le figure della Via Crucis, piccole e distanti, indistinte e prive di espressioni, si fa fatica a comprendere la scelta di Botero perché, come sostenuto dal critico Giuseppe Frangi, in questo caso siamo di fronte ad una: “.. Via Crucis da murales più che da chiesa, da Sacro Monte contemporaneo, che concede qualcosa, quindi, anche al linguaggio un po' caricaturale dei fumetti”. È evidente, infatti, come la conoscenza dei murales messicani abbia contribuito alla formazione del personalissimo stile di Botero, apparentemente facile e dilettantistico, che crea così un’arte che diventa veramente popolare e in grado di parlare a un pubblico molto ampio.
Proprio per questo motivo la visione del primo quadro provoca quasi uno choc, ed il motivo è evidente: le dimensioni dell’opera, i colori, la cura dei dettagli, la rappresentazione del dolore lasciano stupefatti. La visione del quadro rimanda subito al testo di una dichiarazione dell’autore posto proprio all’ingresso del percorso: “Io non sono una persona religiosa ma ho un grande rispetto per questa tematica che è stata fondamentale nella storia dell’arte. Sono quadri dipinti nel mio stile ma realizzati senza satira, con totale rispetto verso il tema sacro. Un soggetto drammatico che ho trattato con grande riguardo”. Ed allora: perché l’artista ha voluto cimentarsi in un confronto così ardimentoso? La risposta giunge dalla visione e dalla contemplazione, quadro dopo quadro, cominciando a comprendere l’intento del pittore colombiano.
La sofferenza per Botero non è quella sublimata o astratta di certa iconografia dei secoli scorsi, ma quella umana e concreta di ogni uomo, di ogni epoca storica e di ogni circostanza della vita. Ecco perché la maggioranza dei quadri raffigura la crocifissione, inserita in contesti sempre diversi e sempre presenti. Quella ambientata in pieno Central Park a New York colpisce più di tutti: i grattacieli che ne costituiscono lo sfondo sembrano voler gridare che il dolore del Crocifisso riguarda tutti, tutti noi, qui ed oggi. L’enormità del corpo di Cristo non è determinata solo dai volumi, ma anche dal confronto con le minuscole figure dei passanti che passeggiano tranquillamente per i sentieri del parco, dei quali solo una coppia è collocata vicino alla base della croce, forse una madre e un figlio, che sembrano fermarsi a contemplare la scena mentre gli altri continuano le loro attività quotidiane: come a voler dire che la vita continua. Botero sceglie di mostrare un Cristo umano, sconfitto, piuttosto che un Gesù trionfante, divino. Della Crocifissione l’autore propone diverse versioni, ogni volta cercando di dire qualcosa di diverso e sull’argomento dichiara: “Ho voluto presentare il dramma di Cristo come se fosse vissuto da un essere umano. L’unica allusione alla divinità di Cristo è rappresentata nell’opera Sepoltura in cui appare un angelo che vola sopra la scena”.
La sofferenza per Botero non è solo attualità, ma anche vicinanza, prossimità fisica, oltre che spirituale. Ed ecco le raffigurazioni della flagellazione, anch’esse diverse tra loro, ambientate non nel cortile del Sinedrio, ma nel cortile di casa, di casa nostra, cioè nel luogo della nostra vita, quella di ogni giorno. Ed in ogni scorcio ecco apparire una persiana semi aperta da cui sbuca il volto atterrito, ma anche incuriosito, di uno di noi, di uno di noi che guarda in quel momento il quadro, quasi a domandarsi: ma che succede a casa mia? E chi è quell’uomo flagellato, ignoto e al tempo stesso familiare?
La sofferenza di Cristo per Botero ha anche uno spessore storico, cioè ha attraversato duemila anni prima di giungere fino a noi. Ed ecco che nelle raffigurazioni della cattura compaio personaggi con fogge che esprimono le varie epoche storiche, come a dire che essa è accaduta in ogni epoca. Tra queste anche un auto ritratto che Botero spiega così: “Masaccio si è autoritratto accanto a Gesù nella Cappella Brancacci a Firenze; Pinturicchio negli affreschi di Siena e Michelangelo nel Giudizio Universale alla Cappella Sistina. Io ho indossato il miglior vestito della festa per apparire umilmente nell’opera, accanto a Cristo. E non poteva essere diversamente”.
La sofferenza per Botero è una condizione drammaticamente e profondamente umana. Ma allora torna la domanda iniziale: perché tanto interesse per la morte di un uomo, che lui non riconosce come Figlio di Dio? La risposta è forse nella sezione della mostra dedicata agli studi che l’artista ha compiuto prima di accingersi a dipingere la Via Crucis. “Ho letto tutto sull’argomento. A quei tempi, i pittori mescolavano la realtà quotidiana con la Storia. Come molti artisti, nelle mie opere cerco di mescolare la verità storica con alcune libertà, come ad esempio l’uso di personaggi contemporanei collegati all’immagine del Cristo”. I disegni, piccoli, minuziosi, dettagliati esprimono l’attenzione dell’artista frutto della cura con cui ha guardato al fatto storico che vuole rappresentare. Nulla è lasciato al caso, tutto nasce dalla conoscenza.
Alla fine del percorso forse le domande sono aumentate, insieme all’ammirazione per la libertà dell’artista. Valgono in conclusione le sue parole.
“Spero che la gente riesca a capire che un artista deve prendersi certe libertà. L’arte dovrebbe dare all’uomo momenti di felicità, un rifugio di esistenza straordinaria, parallela a quella quotidiana. Invece, gli artisti oggi preferiscono lo shock e credono che basti provocare lo scandalo. Nella Via Crucis non è stato questo il mio obiettivo”.
ARTE - "La pasión de Cristo": La Via Crucis di Fernando Botero esposta a Palermo
(ph. Cristina La Manna)