La meraviglia tra i banchi di scuola. Alcuni docenti siciliani dialogano intorno alla lettera inviata da Michele Pennisi agli studenti in occasione dell’inizio del nuovo anno scolastico
Anche questo anno, come ogni anno, è partito a settembre l’anno scolastico. Come una vecchia locomotiva a vapore si avvia lentamente, anzi all’inizio sembra quasi che non sia in grado di muoversi, e poi sbuffando alquanto inizia la sua lenta marcia, così l’anno scolastico 2016/17 ha avuto inizio. La macchina si è messa in moto lentamente, la sua velocità non sarà molta, ma la destinazione è assicurata.
Ai problemi e alle difficoltà di sempre (mancanza di aule, caro libri, professori in attesa di incarico e relative classi senza docenti) se ne sono aggiunti due particolarmente pesanti. Gli effetti della “Buona scuola” che per tanti insegnati, auto definitisi “deportati”, ha significato un trasferimento da sud a nord, al fine di raggiungere l’agognato “posto in organico” e le conseguenze del terremoto di fine agosto che ha fatto scoprire come gran parte delle nostre scuole potrebbero andar giù, come quella di Amatrice, se fossero colpite da un sisma di pari intensità.
Nonostante tutto ciò la locomotiva si è mossa portandosi dietro i vagoni carichi di studenti e docenti e con i genitori che dalle banchine dei binari augurano a tutti, soprattutto ai propri figli, di giungere sani e salvi alla meta, cioè alla conquista della promozione agognata, sia essa più o meno meritata.
In un contesto di così grande difficoltà qualcuno pensa sia accaduto un miracolo; ma senza scomodare i santi del paradiso è giusto chiedersi quale sia il fattore K, quello che consente a questo treno apparentemente così malandato di giungere alla meta.
E il fattore K, (non ce ne voglia il Ministro pro tempore, quello che dovrebbe guidare la locomotiva) sta nei vagoni, in quel mix di dirigenti, docenti, personale tecnico che è al tempo stesso titolare degli “sbuffi” di cui abbiamo appena detto, ma anche il carburate, la risorsa, l’energia in grado di far marciare il convoglio.
Prima del fischio del Capostazione si sono alternati, come in ogni cerimonia che si rispetti, i discorsi di rito: gli auguri del Capo dello Stato, del Capo del Governo, del Ministro, dei tanti Assessori regionali e comunali di cui abbonda il nostro Paese.
Ma proprio per rendere merito a quanti in questi otto mesi faranno le umane e divine cose per non far fermare il treno al primo intoppo (per esempio le ormai inevitabili proteste che, come le luminarie e i canti natalizi, caratterizzeranno il mese di dicembre) abbiamo chiesto ad alcuni docenti di “partire dal positivo”, come si dice in gergo. Di dire cioè cosa li spinge a proseguire, oltre alla certezza dello stipendio, nella loro attività professionale. Infatti essa, se per un verso è riconosciuta altamente meritoria per le responsabilità educative di cui devono farsi carico, per altro verso sembra non riuscire ad ottenere quei riconoscimenti che meriterebbe da tutta la società.
Al fine di non affidare loro un compito troppo vago abbiamo proposto di commentare e interloquire con i Messaggi (Lettera ai Ragazzi - Messaggio agli Studenti) che come ogni anno, mons. Michele Pennisi, Arcivescovo di Monreale, e delegato della Conferenza episcopale siciliana per la scuola e l’università, ha inviato a studenti e ragazzi delle scuole siciliane il 14 settembre scorso.
Nel messaggio rivolto agli studenti e alle studentesse delle scuole superiori, il presule monrealese cita questo pensiero del teologo di origine ebraica, Martin Buber: «Ogni uomo viene al mondo per qualcosa di nuovo, che non è mai esistito. Non è chiamato a fare qualcosa di un altro, ma a mettere a frutto la propria unicità e irripetibilità. Non ti si chiederà: perché non sei stato Mosè ma perché non sei stato te stesso. Gli uomini sono ineguali per natura e non bisogna cercare di renderli uguali».
Cinzia Billa, professoressa palermitana dell’Istituto alberghiero, definisce questa evidenza come una vertigine, e dice: “Da questa evidenza, l’essere venuti al mondo, scaturisce un compito: quello di essere noi stessi, e questo mi sembra già un programma affascinante e rivoluzionario”. Le abbiamo chiesto: “Perché?”. E così ha risposto: “La scuola rischia di soffocare questa urgenza, di definire tutto in programmi e indicatori per appagare l'ansia di processi che tendono a divenire amministrativi, smarrendo il compito educativo. Educare significa tirar fuori, non incasellare. E ciò implica la fatica del guardare cosa accade ogni giorno nel dialogo con gli alunni, che parte dal paragone con una proposta significativa fatta dall'insegnante”. Le chiediamo allora di dirci che cosa può oggi veramente interessare e appassionare gli studenti. “Molto semplice – risponde –. Una proposta che sia innanzitutto significativa per l'insegnante e quindi offerta agli studenti come verifica. Il guaio è che spesso siamo noi insegnati a non aver chiaro cosa ci interessa veramente, cosa sia significativo per la nostra personale questione umana. Se non rischiamo anche noi la nostra unicità perderemo anche il gusto del costruirci come professionisti aggiornati ... all'ultima tecnica (digitale o meno...)”.
Diana Cammareri, palermitana anche lei, che insegna al liceo artistico cita il riferimento alla fiducia e alla bellezza indicate nel messaggio di Mons. Pennisi: «Fiducia e bellezza non vi appaiano termini contraddittori, perché la costruzione di ogni realtà bella presuppone la fatica dell'impegno e del sacrificio. In ciò la scuola è davvero maestra di vita, giacché essa costituisce il luogo in cui nella quotidianità imparate che senza impegno non ci sono risultati positivi e che ogni successo è preparato proprio dall'impegno che lo ha preceduto”. “Ho trovato – commenta – una notevole consonanza tra quanto affermato da Mons. Pennisi e quanto ho detto in questi giorni in cui ho incontrato le classi e anche alunni nuovi. Anch'io ho voluto parlare di: bellezza, amicizia e fatica. Ho detto ai ragazzi che tutti cerchiamo la bellezza nella nostra vita, ma questa non si raggiunge senza una buona dose di fatica; essa non deve spaventarci, anzi insieme dobbiamo scoprire anche nel sacrificio la bellezza, che è il motivo per cui si capisce che vale la pena tutto quello che facciamo. La bellezza poi è legata alla ricerca del significato di noi stessi e di quello che facciamo. L’anno scorso abbiamo fatto con gli alunni alcune significative esperienze proprio cercando di raggiungere la bellezza. La fatica non ci è stata risparmiata, ma l’abbiamo accolta e superata nell’amicizia. Speriamo di fare altrettanto anche quest’anno”.
Anche Catia Candolo, che insegna in una scuola elementare della periferia palermitana, è stata colpita dal riferimento alla fatica. Dice: “In un momento in cui sembra che la didattica sia volta ad una scuola che possa risultare quanto più adeguata alle esigenze formative degli allievi e al contesto, è importante non dimenticare un aspetto dell'educazione valido in qualsiasi epoca: riconoscere che la fatica non è inutile, ma è conduzione per una crescita reale della persona. A tratti sembra che ai ragazzi non debba essere chiesto nulla che si discosti di molto da quello che loro sanno e sanno fare. Invece far fatica vuol dire che non sanno già tutto e che hanno un mondo davanti a sé da scoprire, pieno di senso e significato”.
Un’altra insegnante di scuola elementare Piera Giordano, sempre di Palermo, parte da avvenimenti concreti accaduti nella sua scuola: “L’augurio di Mons. Pennisi – afferma – mi giunge non appena come una delle tante ritualità di inizio d’anno scolastico, ma va dritto al mio cuore ferito in questo momento da alcuni eventi che toccano la mia vita, tra cui la recentissima morte di una collega e l’impossibilità di dare avvio alle attività didattiche a causa di lavori di ristrutturazione che si stanno svolgendo nella mia scuola. La inattività cui siamo costrette in questi giorni sta avendo come effetto quello di impedire che ciascuno di noi si possa fare trascinare dal vortice delle cose da fare così da essere favorito nella possibilità di distrarsi dal triste evento e quindi ci costringe a stare davanti ad esso, che lo vogliamo o no. Ognuno di noi sta avvertendo con maggiore drammaticità tutte le questioni relative alla propria vita e contemporaneamente si fa largo una certa paura”. Le chiediamo allora: “Come si combatte la paura?”. “Nel suo messaggio – risponde – Mons. Pennisi dice: «Dio stesso ha rivelato in Gesù un amore personale ed esclusivo per ciascun uomo, il cui volto Dio porta tatuato sulle palme delle sue mani (Cfr. Isaia 49, 16)». Abbiamo bisogno di essere consolati e confortati da questa certezza, che Gesù è con noi e ci ama di un amore personale ed esclusivo. Solamente la certezza di appartenere a Lui ci può rendere adulti capaci di promuovere occasioni di crescita umana e culturale non alzando muri, come tanti vorrebbero nella segreta speranza di superare la paura in questo modo; si tratta, invece, di considerare la possibilità di verificare se siamo disponibili a considerare quello che gli altri ci offrono e se ciò che possiamo condividere nella nostra esperienza ha valore anche per loro”.
Franca Ferreri insegna in un liceo catanese è torna sul tema del desiderio. “I ragazzi sentono il desiderio di vivere la scuola in modo entusiasmante e manifestano questo in tanti modi. Hanno, però bisogno di incontrare qualcuno che sia all'altezza dei loro desideri... insomma un maestro, uno che consenta loro di conoscere meglio le loro attese e li aiuti a vivere meglio il quotidiano, pur con la fatica che c’è dentro”. Chiediamo: “Cosa potete fare voi insegnati?”. “Normalmente – replica – noi insegnanti diamo loro delle buone indicazioni per la loro vita e cerchiamo di dimostrare che sono tali attraverso ragionamenti. Ma spesso il ragazzo non sa che farsene di queste buone indicazioni, anche perché ne riceve fin troppe. Gli studenti, ma credo anche noi, siamo alla ricerca di un motivo vero per fare tutto. L’alunno ha bisogno di conoscere i suoi desideri normalmente censurati o nascosti. In altri termini: i ragazzi cercano qualcuno in grado di sostenere le loro domande, anzi di fargliele conoscere. Se hanno chiare le domande e una compagnia che li aiuta a tenerle aperte, allora la vita diventa un'avventura. Quello che noi proponiamo nella maggior parte dei casi non è sufficiente, perché siamo noi incapaci di sostenere il loro livello di desiderio”.
Per ultimo il ringraziamento di Giuseppe Chiappa, che insegna in un altro Istituto alberghiero palermitano. “Mons Pennisi - ci dice - rivela nelle sue parole la testimonianza di un vero pastore capace di sostenere con semplicità e passione umana gli studenti e noi educatori in questo compito così difficile ed esaltante. Di fronte alle incertezze e alle paure della società liquida mi affido sempre alle parole Gaio Maio Vittorino, retore e filosofo romano che diceva: «Quando ho incontrato Cristo mi sono scoperto uomo». Queste parole mi rimettono in moto all’inizio di ogni anno scolastico. Perché non farlo con i nostri figli e i nostri allievi, facendo sempre in modo di lasciare aperta la loro libertà al mistero buono che Dio ha preparato per ciascuno di noi?”
In conclusione: qual è l’alternativa ad una scuola noiosa? Può aiutare quanto detto tanti secoli fa da Aristotele: «Gli uomini hanno cominciato a filosofare a causa della meraviglia: mentre da principio restavano meravigliati di fronte alle difficoltà più semplici, in seguito, progredendo a poco a poco, giunsero a porsi problemi sempre maggiori: per esempio i problemi riguardanti i fenomeni della luna e quelli del sole e degli astri, o i problemi riguardanti la generazione dell’intero universo. Ora, chi prova un senso di dubbio e di meraviglia riconosce di non sapere».
L’augurio della nostra redazione, disposta a pubblicare altri commenti, è che nel treno della scuola italiana oltre al registro elettronico, alle lavagne multimediali, ai collegamenti via skype, e ai viaggi all’estero, vi sia posto per la meraviglia, quel desiderio che già dai tempi di Aristotele ha aiutato i giovani a diventare adulti.