“La sfida di oggi è globale e riguarda tutti. Non è un problema di confronto tra le religioni, ma fra uomini”. Intervista all’imam Mustafà Boulaalam

Boulaalam Mustafà, 40 anni, è l’imam della moschea di via Celso a Palermo. Dopo un lungo soggiorno nella capitale francese, lui che è nato in Marocco, da otto anni vive a Palermo. E’ divenuto in questi ultimi anni un personaggio di spicco della comunità islamica cittadina, perché più volte ha manifestato in pubblico la sua condanna per il terrorismo; ha preso le distanze dagli attentati di matrice islamica di questi ultimi anni, anche portando la sua gente in piazza, sostenendo che questi atti terroristici danneggiano anche la comunità islamica. Sposato con una sua compatriota conosciuta a Palermo, ha un figlio di otto anni che frequenta la scuola elementare.

La moschea è stata ricavata nella chiesa sconsacrata di San Paolino dei Giardinieri, ceduta alla Regione Siciliana dalla Curia di Palermo (su iniziativa del cardinale Salvatore Pappalardo) e scelta per il suo orientamento verso la Mecca. La ristrutturazione si è conclusa nel 1990. La gestione è esercitata direttamente dal governo tunisino attraverso il consolato che c’è a Palermo, per il tramite dell'Associazione culturale islamica. Nella moschea si raccolgono gran parte degli immigrati islamici, provenienti da numerose nazioni del mondo.

Pochi gradini e si entra subito in un altro mondo. Il silenzio indica più di ogni altra cosa che siamo in un luogo di culto. Con discreta sollecitudine Mustafà mi invita a lasciare le scarpe all’ingresso e ci avviamo verso le due sedie che ci attendono.

Le pareti accolgono numerose frasi in arabo che prontamente mi illustra. “Si tratta – dice – dei più importanti attributi di Dio: misericordioso, re, santo, pacifico, amato, grande, potente, creatore, ecc.”.

Spiccano e colpiscono una serie di orologi che “indicano – specifica subito – l’ora della preghiera durante il giorno che muta sempre, seppur di pochi minuti, col variare del sole”. Vi sono poi orologi da muro che indicano l’ora nei paesi musulmani più importanti. Più in basso su due ripiani un numero considerevole di libri. “Sono le varie traduzioni del Corano – aggiunge – per i fedeli che frequentano la moschea. Le provenienze geografiche e quindi linguistiche sono ormai tante e di conseguenza abbiamo traduzioni del Corano con le lingue parlate in tante parti del mondo”. Ed in effetti la percezione che si ha non è di essere in un angolo sperduto del pianeta, ma che questo angolo di mondo sia al centro di un mondo più ampio; di conseguenza è quasi immediata la convinzione che l’Islam sia una religione che abbraccia tutto il mondo.

Mustafà spiega poi a cosa serve l’Almirbar: “E’ una sorta di piccolo pulpito da cui ogni giorno rivolgo ai fedeli presenti l’invito alla preghiera e da lì leggo i brani del Corano oggetto di meditazione, non prima di aver indicato il tema scelto quel giorno per la preghiera comune”.

“E quale sarà chiedo il tema di oggi?”. Oggi è una particolare ricorrenza islamica e di conseguenza parleremo di quella”. “E ieri – ribatto?”. “Ieri replica sereno abbiamo parlato di educazione, e il giorno prima di come educare in particolar modo i bambini. I temi si scelgono sia sulla base del nostro calendario religioso sia sulle sollecitazioni che riceviamo dal posto o dal momento in cui viviamo”.

Per ultimo la spiegazione dello spazio in fondo riservato e coperto da drappi verdi. “E’ lo spazio riservato alle donne, – spiega – che è certamente piccolo ed angusto. Abbiamo in animo, autorizzazioni permettendo, di ricavare un soppalco che consenta loro una migliore e più diretta partecipazione ai riti. Per ora l’unico rapporto con il resto della moschea è l’altoparlante che amplifica le mie parole durante la preghiera”.

Chiedo a questo punto di raccontare la sua storia.

“Quando sono arrivato a Palermo, ho notato che la moschea era poco frequentata ed allora ho iniziato a richiamare tutti i musulmani presenti in città per la preghiera quotidiana. Solo successivamente ho preso il posto dell’Imam che dipendeva dal Consolato tunisino. Sono venuto a Palermo per lavorare ed in modo assolutamente legale. La mia attività in Moschea è volontaria, cioè non è retribuita; insomma, vivo del mio lavoro”.

Mustafà è in grado di mettere a proprio agio l’interlocutore in poco tempo, grazie al suo parlare lento e sicuro. Chiede solo aiuto quando la traduzione di alcuni termini francesi non è immediata.

Come ha fatto a incontrare tutti gli altri islamici palermitani?

“Sono andato all’Ufficio anagrafe del Comune e ho chiesto i riferimenti dei residenti in città di coloro che provenivano da altre nazioni di fede musulmana. Mi sono accorto che erano tanti ed ho iniziato ad invitarli a venire in Moschea per pregare”.

Perché ha preso questa decisione?

“Il mio primo e più grande desiderio è mostrare a tutti la bellezza dell’Islam, per evitare che i miei fratelli pensino che l’unica cosa importante nella vita sia il lavoro”.

Che significa mostrare a tutti la bellezza dell’Islam?

“Significa conoscere e capire i contenuti del Libro sacro e fare in modo di giudicare di conseguenza la realtà, cioè come ciascuno deve comportarsi. Vi è il verso di una poesia che cito spesso che dice: ‘Uomini o donne ricordate che siete stati creati per far conoscere a tutti la bellezza di Dio’. In altri termini: non basta credere a parole, ma è necessario partire dal proprio cuore, occorre che la fede riparta ogni giorno dal cuore, perché diventi corrispondente al desiderio che ciascuno vi porta dentro”.

E adesso?

“Adesso abbiamo 11 punti di aggregazione, che chiamiamo Centri di Cultura islamica e che sono dislocati prevalentemente nei quartieri del centro storico. Il nostro obiettivo è la costituzione di un Centro di Cultura Islamica di livello cittadino, per il quale siamo già impegnati nella richiesta delle autorizzazioni e nella ricerca dei relativi finanziamenti, che sarà costruito nei pressi della Stazione centrale. Attraverso di esso vogliamo avere rapporti e rendere servizi non solo ai mussulmani palermitani, ma a tutti i palermitani, indipendentemente dalla fede che professano”.

Che tipo di esperienza fa come genitore di un bambino che frequenta la scuola elementare?

“Abbiamo creato una forte amicizia con le maestre dei bambini perché sappiamo che è l’unico luogo a cui i genitori loro possono rivolgersi per chiedere aiuto e sostegno, soprattutto nella educazione dei figli. Da parte nostra ci siamo resi subito disponibili in tutti i modi per affrontare ogni situazione, ogni eventuale problema di convivenza con la comunità islamica. Dico sempre a tutti che educare i bambini è come scrivere sulla pietra. E’ impossibile cancellare. Quindi, guai a sbagliare”.

Ha avuto modo di incontrare ostilità o difficoltà con le famiglie di bambini di altre religioni?

“Conoscere altre tradizioni e rispettarle è la prima e più importante cosa da fare. Ma vivere anche le nostre tradizioni aiuta spesso a superare eventuali divisioni che possono insorgere e a intraprendere azioni di integrazione all’interno del contesto in cui viviamo, come è il quartiere in cui abitiamo e dove si trova la scuola elementare”.

E la sua religione in questo campo è di ostacolo o di aiuto?

“In questo la mia religione mi aiuta perché mi spinge sempre a farla conoscere in tutta la sua bellezza a chiunque incontro. Certo questo non vuol dire seguire e sottomettersi alla modernizzazione, ma non vuol dire neppure vivere in un luogo ignorando gli elementi di cui è costituito. Voglio precisare che le eventuali difficoltà non dipendono dalla religione. Questo è solo un fatto di cultura, di usi e di abitudini che bisogna lasciare a casa quando si parte per altre nazioni. In questo senso io parlo spesso di ignoranza”.

E allora come comunicate i principi religiosi dell’Islam?

“Innanzitutto attraverso la famiglia, ma ci siamo accorti che non basta, perché non frequentare la moschea significa conoscere meno ad esempio i contenuti del Corano. Tutte le famiglie hanno una copia del Corano a casa, ma non è detto che tutti i componenti lo leggano e lo conoscano. Il Libro sacro è comunque un punto di riferimento, ma oggi la sua lettura è sostituita da mezzi più moderni come la televisione: in tutte le case c’è la possibilità di seguire una tv che trasmetta insegnamenti islamici”.

“E per la preghiera?”

“La preghiera è per noi musulmani fondamentale: si fa 5 volte al giorno; a questi appuntamenti nessuno manca; essa varia da un minimo di 5 ad un massimo di 15 minuti; si fa leggendo versetti del Corano o recitando preghiere. In questo momento storico ci vuole molta pazienza, soprattutto con i giovani, perché stiamo attraversando profondi e veloci cambiamenti, gli stessi con cui tutti voi dovete fare i conti, che richiedono capacità di giudizio molto forti”.

E come vivete il problema del lavoro?

“Che manchi lavoro a sufficienza per gli italiani e per noi è palese. Rispetto a quando sono arrivato in città otto anni fa la situazione è notevolmente cambiata. Sono grato ai palermitani per i tanti gesti di accoglienza e solidarietà che hanno fatto e continuano a fare. Quando devo spiegare questa situazione racconto sempre una storia che mi porto dietro dalla mia tradizione e vita in Marocco. Si racconta che c’erano due famiglie, una povera e l’altra che stava relativamente bene perché il capofamiglia era un pescatore. Quando torna da lavoro portava sempre qualche pesce a quella più povera, finché un bel giorno il capofamiglia di questa non esclamò: ‘Grazie per i pesci che ci porti, ma insegna a pescare anche a me così potrai evitare di portare a me parte dei pesci che prendi ed noi saremo in gradi di vivere da soli’. Ecco questa mi sembra la filosofia che dobbiamo perseguire. Questo è per noi il modo migliore per vivere qui: lavorare e produrre sia per noi che per tutta la comunità in cui viviamo”.

Per ultimo: vivete il sentimento della paura?

“La paura più forte ci viene se pensiamo al futuro, al domani, ai nostri figli. La società occidentale in cui viviamo è soggetta a molti e veloci cambiamenti: devo ammettere che spesso facciamo fatica a comprenderli. Ci aiutiamo con la solidarietà del nostro ritrovarci insieme, ma non per difenderci dalla società ma per aiutarci a capirla meglio. In questo senso la sfida di oggi è globale e riguarda tutti. E quindi riguarda anche la nostra religione che deve sapersi confrontare con la modernità senza demonizzarla ma senza assorbirla supinamente. Non è un problema di confronto tra le religioni, ma di confronto fra uomini”.

 

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